
Come in una partita a poker, avventurosa e interminabile, due sorelle di natali aristocratici scartano e giocano le carte della loro vita, di quella delle loro dieci figlie e delle cinquanta nipoti. In una Napoli ironica e piena di colore, un racconto punteggiato da figure femminili, portatrici di un destino di passione: per il gioco, insopprimibile vizio di famiglia e per le disgrazie del cuore, cui si abbandonano anima e corpo. L'equivoco di un grande amore al centro di una saga familiare, che alterna commozione e comicità sullo sfondo di un'inarrestabile decadenza.
Una donna monumentale, Antonia, avvolta in un caffettano rosso. Una scultrice avanti con gli anni, grassa e malata. Una donna giovane, aspirante scrittrice, accetta di scriverne la biografia ed entra in rapporto con lei, un rapporto difficile, che genera incontri e conversazioni registrate. Un file che man mano si riempie, un file chiamato Matrioska, perché Antonia assomiglia a una bambola russa con i pomelli rossi e gli occhi bistrati, una bambola che ne contiene altre, sempre più piccole. I ricordi della scultrice, le storie d'amore, la relazione appassionata con un giovane gay si intrecciano con altre storie, con la quotidianità della giovane biografa, con la sua vita di madre, con le sue aspirazioni a scrivere davvero in modo creativo.
A Roma, in una casa dei quartieri alti, una ragazza s'ammala d'una crisi depressiva. Il bel volto dalle labbra sigillate, il corpo ancora quasi adolescente abbandonato inerte nella penombra, appaiono ai famigliari come un rimprovero, muto, severo, che non sanno spiegarsi. Affiorano allora in superficie, tra i famigliari, conflitti sopiti, gelosie infantili, rimorsi, sentimenti repressi. Da questo interno a più voci, si alza e prende forma il racconto, che essenzialmente è la storia d'un rapporto tra padre e figlia: un rapporto ansioso, doloroso, fatto di ruvide carezze, di confessioni subito interrotte, di reciproca pietà. (Natalia Ginzburg)
È estate, Marina è in montagna con il figlio piccolo, sola di fronte alla propria incapacità di essere la brava madre che dovrebbe, che vorrebbe, essere - una sensazione che si affanna a nascondere alla famiglia e persino a se stessa. Il suo padrone di casa, Manfred, è un montanaro rude e silenzioso, che nasconde con la ruvidezza il trauma di un doppio abbandono: quello della madre e quello della moglie, che gli ha portato via anche i figli. Il figlio di Marina accidentalmente cade dal tavolo, il sangue scorre, lei è incapace di reagire. Manfred salva il bambino e scopre il "segreto" di quella donna che ha continuato a spiare: Marina non è in grado di accudire il suo bambino. Ben presto però anche Manfred viene smascherato come l'uomo traumatizzato e angosciosamente solo che è: lo smascheramento è tanto più doloroso perché avviene dopo un incidente (in montagna, là dove lui dovrebbe sentirsi più sicuro e forte) nel quale rischia di perdere la vita ma viene salvato da Marina. Per un attimo lunghissimo sono stati l'uomo e la donna che si guardano, si sfidano, si desiderano - e forse si vogliono morti, tanto è intollerabile e estremo il loro desiderare.
Sara è un'antropologa e la passione scientifica l'ha spesso tenuta lontano dalla famiglia. Franco, che pure l'ha molto amata, ha infine scelto una donna più stabile, più confortevole. I figli hanno conquistato a poco a poco una sufficiente autonomia: Matilde è docile, apprensiva, presentissima al mondo, vorrebbe prendersi cura di tutti e specialmente di Sara; Alex fa l'antropologo come la madre, ma in Canada, con lei oscilla tra aggressività e indifferenza. Un giorno però Sara se ne va, sparisce. Lascia una lettera, nient'altro. Franco, in attesa della spiegazione che gli è stata annunciata, ripercorre le tappe di un matrimonio che non è mai finito. Alex e Matilde, lontani, si parlano e riannodano i legami dell'infanzia, ricordano il dolore della separazione. Sara intanto vive in un tempo diverso dal loro. Sembra guardarli dall'alto di un passato che è il suo, ma è anche il passato di tutti. Lontana eppure vicina come mai prima, la sua fuga si colma progressivamente di senso e di umana magia. Cristina Comencini scrive la storia di una donna che vuole guardare nel mistero dell'esistere, nei segni che i destini generali lasciano nel cerchio delle famiglie, dentro le rovine che anticipano in realtà una storia nuova.
Grande è la sorpresa di Publio Aurelio quando, coinvolto nel crollo di un'antica tomba sull'Esquilino, rinviene al suo interno lo scheletro di una donna orribilmente inchiodata al sepolcro. Nessuno ha mai sentito parlare di simili riti barbarici nell'Urbe, anche se in alcune remote province dell'impero si narra di demoni femminili dai piedi di bronzo, chiamati dai greci "empuse", che userebbero sedurre giovani maschi di bell'aspetto per portarli lentamente alla morte, succhiandone il sangue. Secondo le leggende di quei lontani popoli, uccidere questi demoni non basta, occorre inchiodarne il corpo per impedire loro di risorgere nuovamente dal sepolcro. Alieno da ogni superstizione, il senatore dà avvio a un'indagine che lo porterà a incontrare una folla di personaggi eccezionali...
Il senatore Publio Aurelio Stazio ha appena deciso di mettere la testa a partito rinunciando alle sue numerose eccentricità per mostrarsi ligio alle convenzioni - o almeno per fingersi tale - quando l'Urbe viene insanguinata da una serie di omicidi esplicitamente dedicati a lui, le cui vittime sono tutte donne con cui in passato era stato in rapporti intimi. Non volendo ammettere alcuna responsabilità nella tragica fine delle donne uccise - diversissime per aspetto, carattere, ceto sociale e stile di vita - il patrizio reagisce cercando ostinatamente un legame capace di unire le vittime al di là della sua persona, scavando a fondo nel passato di ciascuna, fino a portare alla luce molti inconfessabili e antichi segreti. Ma intanto i suoi avversari approfittano della situazione e della malattia del suo vecchio amico Claudio, ora imperatore di Roma, per estrometterlo dal Senato, accusarlo dei delitti e farlo dichiarare con false prove nemico di Roma, aspettandosi che si tolga di mezzo da solo dandosi dignitosamente la morte. Ma Aurelio è risoluto a vendere cara la pelle...
È appena sorta l'alba quando Pomponia si precipita alla statua di Cornelia nel Portico di Ottavia alla ricerca dell'ultimo indizio della caccia al tesoro che sta appassionando l'intera città di Roma. Ma stavolta ad attenderla non c'è un indovinello o un disegno misterioso, bensì un indizio orribilmente macabro, davanti al quale la brava matrona stramazza al suolo. Poco dopo corre a bussare alla porta del suo migliore amico, il senatore Publio Aurelio Stazio, per chiedergli aiuto. Intanto un'umanità varia e composita si sta scatenando dietro agli indizi: un ragazzo acuto ma pasticcione, un noto campione di trigono, una donna affascinante dal carattere impossibile, i giovinastri della banda di quartiere che imperversa alla Suburra, un ambiguo segnapunti, tre popolane in cerca della maniera per sbarcare il lunario e uno strano forestiero che assomiglia in modo impressionante al senatore. Ma mentre Aurelio si dedica a far luce sugli enigmi - spalleggiato da valenti collaboratori quali l'astuto liberto Castore, il fido amministratore Paride e l'anatomopatologo Ipparco, precursore dei moderni medici legali - lo sconosciuto ideatore della caccia al tesoro alza la posta e comincia a lasciare come traccia i cadaveri delle sue vittime: quello che era parso a tutti un innocuo passatempo si è trasformato in un gioco di morte, e in palio forse non c'è un immenso tesoro, ma la vita stessa dei concorrenti.
In una silloge di racconti quasi tutti autobiografici l'ex brigatista rossa Geraldina Colotti descrive le condizioni, talvolta disumane, della vita carceraria, ma anche storie di operai annichiliti dal crollo dell'Unione Sovietica, o di immigrate infanticide e rancorose. Sarebbe stato lecito aspettarsi una scrittura violenta: ci si trova invece di fronte a un testo asciutto ed energico, ma sempre armonioso nel suo essere veicolo di una concezione umanissima, solidale, quasi fraterna nelle più diverse e, spesso, tragiche situazioni.
Sono trascorsi 500 anni da quando il veneziano Aldo Manuzio pubblicò questo sfuggente romanzo, ritenuto il più bel libro della storia della stampa, ma l'opera mantiene intatto il suo fosco fascino. E non cessa di suscitare stupore, interrogativi e acri polemiche. Risolta la questione dell'autore, che Giovanni Pozzi ha identificato in un Francesco Colonna frate indocile e libertino, resta il mistero del linguaggio che fa del "Polifilo" uno spericolato e intrepido esperimento senza passato e senza futuro. Ma che cosa narra? Una storia d'amore. Polifilo ritrova in sogno l'amata Polia superando una serie di prove iniziatiche: un viaggio dell'anima, intrapreso in lotta con Amore per raggiungere la vera Sapienza.
Sono trascorsi 500 anni da quando il veneziano Aldo Manuzio pubblicò questo sfuggente romanzo, ritenuto il più bel libro della storia della stampa, ma l'opera mantiene intatto il suo fosco fascino. E non cessa di suscitare stupore, interrogativi e acri polemiche. Risolta la questione dell'autore, che Giovanni Pozzi ha identificato in un Francesco Colonna frate indocile e libertino, resta il mistero del linguaggio che fa del "Polifilo" uno spericolato e intrepido esperimento senza passato e senza futuro. Ma che cosa narra? Una storia d'amore. Polifilo ritrova in sogno l'amata Polia superando una serie di prove iniziatiche: un viaggio dell'anima, intrapreso in lotta con Amore per raggiungere la vera Sapienza.
55 a. C. Una flotta da guerra giunge in vista di una terra ignota, popolata da feroci guerrieri, capaci di incutere timore persino ai soldati di Giulio Cesare. Di fronte al panico che coglie le truppe, un uomo si lancia nelle acque gelide. È Lucio Petrosidio, aquilifero della Decima Legione. Come un solo uomo, dietro la sua aquila, la legione degli immortali va all’assalto. Per Cesare e per Roma, Lucio e i suoi compagni, Massimo, Quinto, Valerio, si batteranno senza tregua per conquistare la Britannia, e per proteggere Gwynith, la schiava dai capelli rossi che ha conquistato il cuore dell’aquilifero. Fino a un luogo chiamato Atuatuca, dov’è in agguato un destino di sangue...
35 a. C. Dal ponte di una nave, un uomo osserva le coste della grande isola ormai prossima. Al suo fianco il gladio dei legionari, nella mente i ricordi di un’epopea di guerra e di morte, in cui aleggiano i fantasmi dei compagni caduti. È per dar pace a quei fantasmi, e alla sua coscienza, che il vecchio soldato sta tornando in Britannia. Perché da allora c’è una donna in attesa del suo uomo e c’è una battaglia iniziata vent’anni prima che aspetta lui per concludersi definitivamente.