
Cape May, New Jersey. Un protagonista senza nome recita il suo monologo. Ha appena ricevuto la visita di una lei magnetica e misteriosa, cui si è ispirata segretamente tutta la sua vita: è arrivata inaspettatamente a casa sua, e gli ha dato un appuntamento - si rivedranno il giorno dopo, alle undici, all'inaugurazione della ferrovia turistica, per partire insieme. Nel pomeriggio, nella notte e nel mattino seguente lui sminuzza, intaglia e sutura il suo passato e il suo presente tra incontri e flash-back, cercando di ricomporre i pezzi di un'esistenza vissuta ostinatamente in esilio. Ne ha l'urgenza proprio ora che il destino gli si è rivelato all'improvviso. Una giornalista, Ilaria D'Amico, il suo romanzo d'esordio. Scritto al presente, in presa diretta, proibito ogni fronzolo. Una storia americana dove l'emozione, la malinconia e il tormento invadono lo spazio fisico del racconto, al punto da informarne nascostamente ogni più piccola scena, e ponendo la loro misura estrema al teatro della vita.
La cosa più affascinante del sesso non è il sesso, ma tutto ciò che gli ruota attorno: in una sola parola, la vita. È per questo che Leonardo, Eva e Giorgio, dovendo parlare di sesso, raccontano le rispettive esistenze (audaci e innocenti allo stesso tempo) a un intervistatore che vorrebbe scrivere un libro sul piacere, e che invece si ritrova in continuazione a fare i conti con il loro dolore. Del resto, nel gioco erotico, tutto è così terribilmente intrecciato: non solo il piacere e il dolore, ma anche la trasgressione e le regole, la libertà e il possesso, l'eccitazione e la noia, l'io e la maschera. Quelle che i nostri eroi indossano in questo romanzo corrispondono ai tre ruoli chiave del gioco: Leonardo (nome in codice: Mister Wolf) è il bull, maschio alfa che applica al sesso seriale la disciplina e la meticolosità degli antichi samurai, Eva (la First Lady) è la sweet, regina e schiava del desiderio maschile, Giorgio (il Presidente) è il cuckold, tradito consenziente che sguazza nella sua impotenza ma non rinuncerebbe mai a manovrare i fili. Insieme formano il triangolo più classico e scabroso dell'intera geometria erotica, quello in cui l'ossessione maschile di possedere e offrire l'oggetto del proprio desiderio s'incastra con l'aspirazione della donna ad appartenere, finalmente, solo a se stessa. Recitano dei ruoli, Mister Wolf, la First Lady e il Presidente. Ma quanto più il corpo è il loro abito di scena, tanto più la loro anima si denuda, rivelando ai nostri occhi l'umanità struggente, tenera, e talvolta esilarante, di tre protagonisti fuori dagli schemi, eppure così simili a ciascuno di noi.
Angelika Berger compie vent'anni il 16 dicembre del 2000. Sta passeggiando con suo padre per le strade di Parigi, in cerca di un regalo, quando un ragazzino annoiato, dalla finestra della stanza dentro cui è rinchiuso a studiare, compie un gesto destinato a cambiare la loro vita per sempre. Angelika si ritrova sola. Non ha mai conosciuto sua madre, è cresciuta con Hans, professore di filosofia schivo e votato allo studio quanto al proprio compito paterno. Quando finalmente riesce a trovare le forze per svuotare il loro appartamento, decisa a scrollarsi di dosso il dolore, Angelika si imbatte in una piccola cassaforte, di cui il padre le ha lasciato la chiave. Al suo interno sono custoditi un diario, una foto sbiadita, un fazzoletto con una minuscola macchia di sangue. Tracce di un passato che non avrebbe mai creduto possibile. È solo l'inizio di un disvelamento che porterà Angelika da Parigi a Londra, da Londra a Nancy, ma soprattutto indietro nel tempo, fino agli anni Quaranta. E allora, durante la guerra, in una piccola località polacca, che si sono svolte le vicende destinate a segnare per sempre la vita della sua famiglia, e di molti altri personaggi... Sulle spalle di Angelika si riversa il peso di colpe terribili e lontane di cui, però, si sente inevitabilmente responsabile.
Perché Adele decide di ritirarsi in una villa isolata sul mare? Da cosa fugge? Cosa l'ha ferita? Aveva tutto ciò che si può desiderare: un lavoro, un'amica speciale, una sorella adorata anche se tanto diversa da lei, Nina, e soprattutto un grande amore, Thomas, il ragazzo "con un viso da apostolo". Una fatalità sembra unire i personaggi, legati dal «Libro tibetano dei morti» come da un lungo filo rosso che attraversa le loro vite. Sin dall'infanzia, Adele è governata da un costante senso di insicurezza, mentre Nina è sfrontata e incosciente; una è mossa da un insopprimibile bisogno di consenso, l'altra si è sempre presa ciò che la vita ha potuto offrirle, anche a costo di compromettere gli equilibri. Adele e Nina, unite da uno sconfinato amore reciproco. Ma il destino distribuisce privilegi e infligge punizioni senza alcun criterio. Una serie di scoperte che colpiscono al cuore i personaggi del romanzo condurrà a una verità sconvolgente. Francesca d'Aloja s'interroga su quanto sia ingannevole la conoscenza delle persone, e mette in scena un affresco sui rapporti d'amore, di amicizia e di sangue. Nulla esiste al mondo di più simile e nulla di più distante di due sorelle; nessun segreto dovrebbe sussistere tra due vere amiche. È giusto perdonare o il perdono non è che una scorciatoia, un tappeto sotto cui nascondere la polvere? Adele sembra aver rinunciato a comprendere l'enigma della vita: fino a quando, nel silenzio della pineta dove si è rifugiata, farà irruzione una presenza misteriosa e tutto ciò che pareva inanimato tornerà a respirare, e a vivere.
Il guardiano dei giardini del cielo rappresenta in modo illuminante la cifra dello scrittore. Il racconto è, per D'Alessandro il luogo interiore dove nasce il suo prototipo che, in quanto tale, contiene l'ideazione narrativa nella sua forma primigenia e più pura. È la secentesca camera ottica del pittore, dove dall'oscuro si genera l'esperimento dell'immagine e del colore. L'umanità, la pietas come dimensione anarchica dell'anima e rivelatrice della sua essenza più misteriosa, la contemplazione di un orizzonte ultraterreno sono i temi di fondo, distinguibili oltre la molteplicità dei soggetti. Lo stile dei racconti privilegia la chiarezza rispetto alla sperimentazione, rinvenibile invece nei suoi romanzi. D'Alessandro professa il culto della pagina nitida, tersa, sorretta da dialoghi veloci. L'obiettivo perseguito è commuovere il lettore, sensibilizzarlo poeticamente a una realtà superiore a ogni parola, farlo innamorare di ciò che legge.
Nello sperduto Monastero abruzzese di Monte Monaco, una coppia di giovani ricercatori si ritrova a studiare gli enigmatici affreschi di uno sconosciuto pittore medioevale (detti della Madonna triste). Per una serie di sfortunate coincidenze, il custode, a stagione turistica ormai terminata, li chiude dentro, credendo che se ne siano già andati. Da quel momento inizia il loro calvario, fatto di fame e di sete, fino a quando, dopo una settimana di prigionia, vengono ritrovati in fin di vita. Ricoverati in ospedale, Luca e Manuela sono perseguitati da strani sogni, che persistono anche dopo la loro completa guarigione. I due scoprono di avere rivissuto, ciascuno con un’angolazione diversa, la stessa tragica vicenda di orrori e violenze occorsa alla piccola comunità che viveva a Monte Monaco negli anni in cui furono realizzati gli affreschi.
Destinatari
Un romanzo destinato al grande pubblico.
Autore
Giovanni D’Alessandro nasce a Ravenna da famiglia abruzzese nel 1955. Laureato in Legge, vive e lavora a Pescara. Conoscitore profondo della letteratura anglosassone e appassionato d’arte, esordisce nel 1996 con il romanzo Se un Dio pietoso (Donzelli Editore) caso letterario, finalista ai premi Viareggio e Palazzo al Bosco, vincitore dei premi Penne-Mosca e Convegni Maria Cristina, tradotto in diverse lingue straniere. Nel 2004 pubblica I fuochi dei Kelt (Mondadori) con cui vince il premio Scanno, e nel 2006 La puttana del tedesco (Rizzoli) insignito del premio Fenice Europa 2007. Con le Edizioni San Paolo è apparso il suo primo libro di racconti, Il guardiano dei giardini del cielo (2008), premio Maiella e Sulle rovine di noi (2009).
Punti forti
Il ritorno al romanzo di un autore già noto, che si contraddistingue per un ritmo veloce e una lingua scorrevole.
Temi di forte impatto sul pubblico: la vita di
coppia; il conflitto tra generazioni e la baronia universitaria; la violenza che il potere scatena sugli uomini calpestando ogni sentimento e rispetto; la pietà e il perdono come possibilità di sottrarsi alla logica della storia; il misterioso e magico rapporto tra arte e memoria.
Quanto le guerre e gli odi nazionalistici possono creare una profonda tana d’odio nel cuore delle persone? Quanto possono cambiare, anche a distanza
di anni, i progetti e le esistenze di chi ne è stato vittima? Giuseppe Vergnani, che un tempo si chiamava Jusuf Samirovic, è un giovane medico adottato da una coppia italiana, dopo essere sopravvissuto alle atrocità delle guerre che portarono alla divisione nella ex Iugoslavia. La sua crescita e la consapevolezza umana, di persona profondamente ferita, passano attraverso la riscoperta delle proprie radici, divenuta, a un certo punto della sua vita, necessaria. Per ritrovare pienamente se stesso, Peppe torna
sui luoghi in cui ha visto, bambino, i genitori massacrati da un odio assurdo quanto violento. La riscoperta di sé e il bisogno di fare verità sugli assassini, lo trascinerà dentro un vortice di passioni in cui amore, odio, tenerezza e vendetta si daranno appuntamento in un unico e fatale luogo. Un romanzo forte, etico, dalle cupe tinte shakespeariane e con un finale che è un inno alla speranza e alla memoria.
L'autore
Giovanni D’Alessandro nasce a Ravenna da famiglia abruzzese nel 1955. Laureato in Legge, vive e lavora a Pescara. Conoscitore profondo della letteratura anglosassone e appassionato d’arte, esordisce nel 1996 con il romanzo Se un Dio pietoso (Donzelli Editore) caso letterario, finalista ai premi Viareggio e Palazzo al Bosco, vincitore dei premi Penne-Mosca e Convegni Maria Cristina, tradotto in diverse lingue straniere. Nel 2004 pubblica I fuochi dei Kelt (Mondadori) con cui vince il premio Scanno, e nel 2006 La puttana del tedesco (Rizzoli) insignito del premio Fenice Europa 2007. Con le Edizioni San Paolo è apparso il suo primo libro di racconti, Il guardiano dei giardini del cielo (2008), premio Maiella, e Sulle rovine di noi (2009).
L'autrice racconta il nostro Novecento. attraverso le voci di sette personaggi, che dalla prima guerra mondiale al 31 dicembre del 1999 riescono a restituirci con immediatezza, quasi in presa diretta, le fasi salienti di un tempo che è passato ma insieme è ancora preferite dentro la nostra vita. A rendere la lettura ancor più avvincente è il legame che corre attraverso queste voci: un vincolo di sangue, d'affetto e di ideali che parte da due sorelle, l'una crocerossina volontaria durante la Grande Guerra, l'altra militante socialista nella Torino di Gramsci e dei Consigli.
Teresa non è una bambina come le altre: nasconde un segreto e per questo ha scelto di chiudersi in un mutismo che la isola e, al tempo stesso, la protegge. Alessandra, al contrario, è una giovane maestra esuberante. Fa parte di quella folta schiera di donne che, all'inizio del Novecento, si spinse nei paesini più sperduti a insegnare l'alfabeto. Un lavoro da pioniere. Difficile, faticoso, solitario. Anche Alessandra è sola, per la prima volta nella sua vita. Ma le piace insegnare e sfida con coraggio i pregiudizi e le contraddizioni di una società divisa tra idee antiche e prospettive nuove. Nuovo è pure il mestiere di Adelmo, che cerca di farsi strada nel mondo appena nato del giornalismo moderno. Una sfida esaltante per un giovanotto ambizioso e di talento. E le occasioni non mancano in questa Italia ancora giovane, una nazione tutta da inventare. È il 1906, siamo nelle Marche, all'epoca una delle zone più povere della penisola. La maestra e la bambina sono nate qui. Una ad Ancona, l'altra a Montemarciano. Un piccolo paese sconosciuto, che di lì a poco conquisterà, insieme alla vicina Senigallia, le prime pagine dei quotidiani nazionali. Il nuovo secolo infatti porta sogni strani. Come il suffragio universale. Esteso alle donne, addirittura. Ed è per inseguire questo sogno che dieci maestre decidono di chiedere l'iscrizione alle liste elettorali. Sarà un giudice di Ancona, il presidente della Corte di Appello, a dover prendere la decisione. Lodovico Mortara, il giudice delle donne.
Gaia, 38 anni, porta la taglia 38, vive nel centro di Milano e in equilibrio perfetto sul suo tacco dodici si muove disinvolta tra sfilate e locali alla moda: del resto ha un marito che le garantisce una grande agiatezza, un amante il cui profilo su Facebook dice sempre "innamorato", una figlia che va alla scuola steineriana, due amiche di nome Ilaria e Solaria, un iPhone, un iPod, un iPad e una psicanalista che a ogni seduta pronuncia queste parole: "Sono trecento euro". Madre in carriera, può vantare l'invenzione dell'apericena, rito che ha ormai contagiato l'intera penisola, e la soddisfazione di non avere fatto mancare nulla alla figlia Elettra senza per questo trascurare il lavoro. Nessuna sbavatura, insomma. Eppure il passato bussa, implacabile, nel sonno. Un incubo ricorrente, che sembra voler riportare a galla qualcosa... Prima o poi Gaia dovrà decidersi a parlare di suo padre. E dei suoi tre anni di black-out. Anche perché a un tratto nel suo presente si è aperta una piccola crepa, destinata ad allargarsi come la tela di un ragno e a mandare in pezzi le sue sicurezze: il licenziamento dall'agenzia di comunicazione dove lavora, un'impasse sentimentale inattesa, la carta di credito bloccata, Elettra che lancia segnali di un disagio sempre più ineludibile...
Bruno Bruni è uno scrittore di nicchia. Ha esordito come poeta, poi - su consiglio del suo agente - si è dedicato alla narrativa, senza mai sfondare. Ma non si dà per vinto, e, mentre per vivere traduce opere di fantascienza cyber-punk, cerca di scrivere il Grande Romanzo Italiano, quello che farà scattare l'agognato passaparola e correrà allo Strega, quello che tutti - editori, critici e lettori - stanno aspettando. Ma più ci prova più si allontana dalla meta e si deprime davanti al foglio bianco. La sola consolazione nella vita di Bruno è Selvaggia: una ragazza d'oro, che fa la pole dancer in un locale notturno, che è libera e schietta quanto il suo nome. E che continua ad amarlo e a credere in lui ostinatamente. Fino a quando viene licenziata e la situazione si fa ancora più preoccupante. E qui che Bruno si lascia andare e si fa crescere la barba. Gli basta una giornata per rendersi conto che al supermercato, per strada, al ristorante, in palestra, tutti lo scambiano per Nanni Moretti. Sarà Selvaggia a convincerlo a sfruttare le doti da imitatore che ha fin da bambino, a studiare la biografia e l'eloquio del regista e a trasformarsi in un suo clone. Spacciandosi per Moretti e la sua assistente, i due cominciano a girare l'Italia approfittando dell'ospitalità generosamente offerta da sindaci e organizzatori di festival, che non vedono l'ora di far assaggiare loro i piatti tipici del territorio, intrattenerli con gli avvincenti racconti della storia locale e proporsi per una particina nel nuovo film del maestro. Bruno inizia a sentirsi sempre più a suo agio nei panni di Nanni Moretti, ed è sull'orlo di una crisi identitaria che rischia di compromettere i suoi grandi progetti narrativi, quando alla coppia si presenta un'occasione irrinunciabile: un invito alla Mostra del Cinema di Venezia.
Attila e Zazzi hanno quattordici anni e sono amici per la pelle. A prima vista non si direbbe. Sono diversi in tutto: il carattere, le famiglie d'origine, il loro sguardo sul mondo. Attila è un Charlie Brown che sogna spesso a occhi aperti, con un padre assente, una madre bigotta, una sorella che se n'è andata a Milano e un nonno anarchico un po' bizzarro ma con qualche lampo di saggezza. Francesco Zazzi detto Franz invece è sguaiato, aggressivo, dichiaratamente fascista, incontrollabile negli slanci che punteggiano le sue giornate, sempre sopra le righe ma anche profondamente libero. A unire i due ragazzi c'è solo un'amicizia profonda e indissolubile, di quelle che possono nascere solo a quell'età.