
"Ne abbiamo vissuti di inferni, in questi anni: il Covid, la guerra, la delusione della politica... Più di tutti ne hanno sofferto i ragazzi, i giovani, che all'alba della vita si trovano di fronte un orizzonte nero - anche perché troppo spesso hanno davanti adulti che sanno solo lamentarsi e maledire, che non sanno più testimoniare una letizia, non hanno più ragioni sufficienti per sperare. Così, abbiamo pensato di proporre a loro, ai ragazzi e ai giovani, ma anche agli adulti che con i ragazzi condividono la fatica della vita, questa versione della Divina Commedia. Perché anche ai tempi di Dante c'era l'inferno: c'erano le epidemie, le guerre, le ingiustizie... Ma Dante dall'inferno è uscito. Ha attraversato tutto il male del mondo, lo ha guardato in faccia, ne ha condiviso il dolore; ma poi ne è uscito. Per questo vale la pena di leggere la sua opera oggi, anche e forse soprattutto per un ragazzo: perché ci dice che, per quanto buio sia l'inferno, si può uscirne; per quanto brutto sia il male che ci affligge, si può sempre uscire "a riveder le stelle". Basta un adulto come Virgilio, basta una compagnia umana certa della meta." (Franco Nembrini) Età di lettura: da 11 anni.
Franco Nembrini è un professore di liceo che con le sue lezioni di letteratura riempie i teatri, le parrocchie e i centri culturali di tutt'Italia - e anche fuori d'Italia: ha girato il mondo dalla Siberia al Brasile - trascinando giovani e adulti alla scoperta dell'opera che, a suo dire, riesce a tirar fuori le domande più profonde e più vere dell'uomo: la "Divina commedia". Con questo libro, che ripercorre la fortunata trasmissione televisiva da lui condotta su TV2000, Nembrini si inserisce in una gloriosa tradizione che, a partire da Vittorio Sermonti e Roberto Benigni, sottrae Dante al chiuso delle accademie per restituirne un'interpretazione popolare e attraente, permettendo così a noi lettori, grazie alla sua guida nell'immortale viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, di riscoprire ancora una volta il fascino senza tempo del più bel libro che sia mai stato scritto.
Dario è un uomo di mezza età, separato, insegnante in congedo perché sta per subire una delicata operazione chirurgica. I due figli, Leonardo e Betta, vanno spesso a trovarlo, distraendolo ogni volta con nuovi racconti, mentre lui si dedica volentieri alla cucina e tenta di dare i giusti consigli. Il padre anziano, affidato alle cure di una badante moldava, non fa altro che parlare di politica.
Sospeso in un limbo di attesa, Dario non vuole soccombere alla paura, un compito che chiama a raccolta tutto l'istinto. Inizia allora a ricercare il piacere a pagamento frequentando annunci su internet; ma ha bisogno di qualcosa di più e di diverso da una semplice prestazione sessuale: uno spazio e un tempo abitabili.
È così che incontra Gao. Lei ha i capelli «castano-rosso all'henné» e non parla italiano. In Cina ha lasciato un figlio adolescente e un marito violento e insoddisfatto che minaccia di raggiungerla al più presto per accampare diritti ormai scaduti.
Tra lei e Dario comincia una relazione che cresce giorno dopo giorno nello stare bene insieme, senza artifici, e senza quella fastidiosa «necessità di fare» che è un male comune a tante storie. Una relazione in cui apprendere una lingua per comunicare significa cimentarsi con i piccoli gesti quotidiani, con il silenzio, la condivisione e la cura. E significa soprattutto scoprire che la diversità non impedisce di provare gioia. Finché non arriva l'ultimo passaggio a rischio.
"Chi ha rivelato Roma ai romani è stato un non romano, un veneto, Silvio Negro, capo della redazione romana del Corriere della Sera e vaticanista di fama europea", scrive Stefano Malatesta nell'introduzione a questa nuova edizione di "Roma, non basta una vita", l'opera più nota del giornalista e scrittore considerato il creatore della nuova informazione vaticana, l'inventore del vaticanismo moderno. Volume postumo, pubblicato per la prima volta dopo due anni dalla morte di Negro - il titolo si deve a Dino Buzzati, grande amico dell'autore -, il libro segna una svolta rilevante tra i cultori della "romanità". Prima di Negro imperavano, come scrive Malatesta, "romanisti, cultori e retori di una romanità medio-borghese, che avevano come numi tutelari non il grandissimo Belli ma Trilussa e Pascarella". Con Negro, scrittore che aveva vinto il Premio Bagutta nel '36, dopo Gadda, Palazzeschi e Comisso, l'aneddotica romanesca assurge a genere letterario in grado di illuminare, più di numerosi e ponderosi saggi, l'arte e la storia autentica della capitale. Come il flâneur di benjaminiana memoria, Negro conduce il lettore negli angoli più riposti della capitale, là dove "l'anima e il corpo" della Città eterna possono offrirsi davvero allo sguardo. Non soltanto, dunque, il Colosseo, San Pietro, i Fori, il Campidoglio e così via, ma la piazzetta che si schiude inaspettata, con la sua luce insolita, tra i palazzi. Prefazione di Emilio Cecchi.
Nella Milano che vive l'attesa febbrile dell'Expo, la scomparsa del professor Attilio Scienza, a sole due settimane dal suo discorso inaugurale della grande manifestazione, non è certo una buona notizia. Perciò al Viminale hanno subito pensato a lui: schivo, in perenne conflitto con i giornalisti che non ama, di poche chiacchiere e molti fatti, Cosulich è l'uomo che risolve i casi in tempi record. Il commissario si mette sulle tracce dello scienziato e subito comprende che il movente si cela in una scoperta di Scienza, ma le piste sono tante: la ricerca e il business agroalimentare globale, la genetica, gli ogm, in un turbinio di personaggi - ambigui o pittoreschi ma sempre avidi - che ruotano intorno all'evento di risonanza mondiale. Su tutte, Cosulich è però affascinato dall'interesse dello studioso per il vigneto appartenuto nel lontano Rinascimento a Leonardo da Vinci. Quasi un'ossessione, quella di Scienza, per il giardino nel pieno centro di Milano dove il genio produsse realmente il suo vino, mentre dipingeva l'"Ultima cena". Saranno una lettera anonima e un crescendo di misteri a spingere Cosulich in un tunnel senza tempo ma dai protagonisti odierni e tutti molto, troppo interessati all'Expo. La malavita organizzata e un noto tycoon russo, un imprenditore dell'olio senza scrupoli e la giovane e ambiziosa assistente del professore, scienziati attempati e donne fatali...
Cosa unisce l'on. Angelo M. Predieri, fondatore e leader dell'estremo centro, e il dott. Saverio Dioguardi, procuratore della Repubblica di un'oscura provincia? Cosa lega il potente cardinale Terenzio Magliano e Lavinia Salvi, nota giornalista di lungo corso? Forse un disperato bisogno di apparire in un mondo nel quale, se non appari, semplicemente non sei. O forse una prepotente vocazione al comando, una voglia mai appagata di piegare le vite degli altri ai propri disegni. Li accomuna, sicuramente, una certezza: in un'Italia che si è fatta angusta, più povera, dove la coperta è più corta per tutti, solo i lupi con i denti affilati possono farcela. E solo il più feroce fra i lupi potrà vincere il gioco. Il gioco delle caste.
Fra le grandi svolte di una vita, diventare nonni è forse quella che porta con sé l'emozione più forte: una miscela dolcissima ma esplosiva di felicità e paura, trepidazione e gioia. A raccontarci, con lucidità e irresistibile brio, questa condizione dell'animo è Gino Nebiolo, che si è lasciato ispirare dai propri ricordi personali per intessere un ironico e intelligente diario familiare. Tutto comincia quando il figlio e la nuora annunciano a lui e alla moglie Cecilia l'arrivo di un nipotino. I futuri nonni sono felicissimi, tuttavia da quel momento in poi ogni passo è motivo di batticuore, equivoci, apprensione o piccole baruffe. Dalla prima ecografia all'esame di licenza media, passando per la scelta del nome e i pomeriggi ai giardinetti, i balocchi tecnologici e lo Zecchino d'Oro, i nonni vivono l'esperienza di partecipare, più o meno a distanza, alla crescita del nipote in un costante tripudio di emozioni, ritrovandosi spesso al centro di situazioni buffe se non esilaranti. "Avete contato bene le dita?" è un libro che riesce a parlare a tutte le generazioni: permette ai nonni di identificarsi e magari commuoversi, ai genitori di sorridere e riflettere, ai nipoti di divertirsi e diventare un po' più saggi.
Chi fu realmente Cristoforo Colombo, l'"Ammiraglio del Mare Oceano", scopritore ufficiale del continente americano, prima celebrato dai potenti, poi morto in miseria e solitudine? Fu davvero un impavido navigatore, eroe senza macchia oppure un ipocrita privo di scrupoli, incapace di rispettare la parola data e le regole dell'onore? Rodrigo di Triana, soldato e disertore nonché marinaio, non nutre l'ombra di un dubbio al riguardo. Perché in quel famoso 12 ottobre 1492 non è l'Ammiraglio il primo ad avvistare l'isola di San Salvador. Chi grida il fatidico "Terra, terra, terra!" non è l'esploratore genovese, ma lui, Rodrigo, imbarcatosi sulla Pinta per sfuggire alla miseria e per sete di avventura. Cristoforo Colombo è stato solo lesto a rubargli la scena, e a intascarsi i diecimila pezzi d'oro della Corona spagnola. Da allora Rodrigo di Triana è ossessionato da un unico pensiero: vendicarsi di chi lo ha tradito e derubato di quanto gli spettava. La sua è un'odissea sullo sfondo degli ultimi anni della Reconquista: il regno dei cattolicissimi Ferdinando e Isabella; la caduta di Granada, ultimo baluardo moro nella penisola iberica; le persecuzioni razziali benedette dall'Inquisizione. Tra guerre, esplorazioni, pirati, picari, briganti, cupe prigioni, taverne dove tutto può succedere, un romanzo, frutto di anni di ricerche, per rileggere la prima pagina della storia moderna e lasciarsi trasportare dalla fantasia.
All'inizio è solo un bambino come tanti, nato in Senegal da un padre pugile che vive nel mito di Muhammad Ali e che sogna per il figlio un futuro importante. Poi quel bambino, il nome dato in onore del campione che per ben due volte riesce a incontrare, un pugile lo diventa davvero, costretto dal padre a durissimi allenamenti a ogni ora del giorno e della notte, chiuso in una palestra, piegato dai colpi quando tutti i suoi amici sono per strada a giocare. Ma come Ali comprende ben presto la via che gli ha aperto il padre è l'unica alternativa possibile a una vita segnata dalla criminalità e dalla droga. In breve tempo il ragazzo, ormai campione del Senegal, vede crescere in sé il desiderio di superare i confini di un Paese sempre sull'orlo del baratro. Da qui il viaggio verso la salvezza, la terra promessa. Dopo qualche mese in Francia, il visto che sta per scadere, Ali decide di andare in Italia e di provare a cercare lì la realizzazione di quel sogno che insegue da sempre. Non è facile, in un Paese di cui non conosce la lingua, senza il permesso di soggiorno, né una casa in cui stare, guadagnando qualche spicciolo per sopravvivere facendo l'ambulante sulle spiagge. Ma la sua tenacia e il desiderio inarrestabile di tornare sul ring lo guidano attraverso un percorso di crescita e lo portano dove voleva. Grazie all'incontro con Federica, una donna italiana conosciuta in treno e divenuta poi sua moglie, e agli amici di Pontedera, la piccola città che lo ha accolto, Ali potrà ricominciare a combattere e a vincere, e si troverà esattamente dove suo padre lo immaginava fin da bambino: sul tetto del mondo.
Vi siete mai chiesti come fosse la realtà prima della creazione universale, dato che Dio - ovviamente - esisteva già pure allora? L'autore racconta una storia indipendente da teorie religiose codificate, e spiega in forma di romanzo cosa accadde veramente nel tempo antecedente la Genesi e la nascita dell'Universo. La verità su cosa "fisicamente" siano il Paradiso, l'Universo e le sue particelle chiamate "tachioni" è raccontata in una lunga fiaba per adulti costruita all'interno di una "realtà quantistica", dove "tempo" e "spazio" non sono quelli che si conoscono. L'Umanità prega Dio sin dall'alba dei tempi: è arrivato il momento di capirne la vera ragione, tramite le rivelazioni di questo romanzo: non spaventatevi se il Paradiso esiste davvero.
Ispirato dalla leggenda di una setta "segreta" veramente esistita, composta da sicari e vendicatori, il romanzo di appendice «I Beati Paoli» venne scritto da Luigi Natoli tra il 1909 e il 1910 e pubblicato a puntate sotto lo pseudonimo di William Galt sul «Giornale di Sicilia». Il romanzo, ambientato nella Sicilia del primo XVIII secolo, mescola elementi di fantasia e personaggi realmente esistiti, come don Girolamo Ammirata, l'unico membro della setta finora identificato con certezza. Natoli profuse una cura scrupolosa nel ricostruire fedelmente l'ambiente della Palermo del tempo, utilizzando rigorosamente fonti storiche e le relazioni a stampa apparse all'epoca su feste e cerimonie pubbliche, e la sua narrazione si discosta solo in pochi momenti dalla realtà storica. Un «romanzo popolare», quindi, come lo definì Umberto Eco, importante quanto «I Viceré» e «Il Gattopardo», essenziale a vario titolo nella costruzione identitaria siciliana.
Pubblicato a puntate sul "Giornale di Sicilia" tra il maggio del 1909 e il gennaio del 1910, I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano innalzava a epopea letteraria un'antica leggenda del popolo siciliano. Ma Luigi Natoli faceva qualcosa di più che scrivere, da una favola popolare, le puntate straordinariamente avvincenti e misteriose, capaci di inchiodare nelle portinerie il popolo attorno a chi era in grado di leggere e che "quasi con prepotenza salivano negli appartamenti della borghesia siciliana". Di fatto creava il mito compatto di una società segreta a protezione degli oppressi: la setta tenebrosa dei Beati Paoli e il loro tribunale implacabile, entrava nelle dicerie e nelle fantasticherie popolari come verità storica indiscussa e nostalgia segreta di riscatto. Un successo enorme, dovuto sì all'aderenza ad un sentire popolare, ma anche all'arte di avvolgerlo in un intrico fittissimo di vicissitudini private derivanti da segreti inconfessabili, da odi di famiglia o di società; di imprese coraggiose e cospirazioni vili; di sentimenti e passioni invincibili; di personaggi tragici nel bene e nel male. Raccontati in un linguaggio sensibile a tutti i vari ritmi e le tensioni della trama, e soprattutto così ricco e moderno da spiegare come mai la tenuta ne sia straordinariamente duratura, rispetto alle opere del genere.