
«Vrades pro sempere!», fratelli per sempre: questo si giurano Zosimo e Nemesio il giorno in cui quest’ultimo lascia il paesino di Crapiles per andare a iscriversi all’università. Zosimo, che a Crapiles ci è nato, rimarrà a fare il pastore: come suo padre, come il padre di suo padre. Sebbene così diversi, i due ragazzi sono stati amici dal giorno in cui la famiglia di Nemesio è arrivata in paese dal «continente». Ed è stato proprio il piccolo forestiero, coi riccioli che sfuggivano da sotto il cappello foderato di pelliccia e «due occhi color prugna acerba», a staccare da una grondaia una lunga «spada di ghiaccio», a spezzarla e a regalarne una metà a Zosimo, che lo guardava stupefatto: «Questa è la spada del generale inverno,» ha dichiarato con la serietà di cui sono capaci i bambini «che si divide solo con un nuovo amico!». Da quel momento sono stati inseparabili: Zosimo ha portato Nemesio a casa sua, dove lo hanno accolto come un figlio, gli ha insegnato a mangiare formaggio di pecora con il pane crasau, e a cercare nei boschi i nidi dei colombacci. Nessun dubbio, nessun sospetto, nessun cattivo pensiero può scalfire nell’animo puro di Zosimo l’amore per l’amico. Così come nessuna malalingua potrebbe gettare un’ombra su quello per la bella Columba, di cui fin da piccolo è innamorato e che sta per diventare sua moglie. Dopo la partenza di Nemesio le loro strade si divideranno, ma solo per tornare a incrociarsi molti anni dopo: e allora, cadute le maschere, scoppierà il dramma.
In questo romanzo Niffoi ci racconta con mano sicura una vicenda di amore e di amicizia che conferma le sue straordinarie doti di narratore di storie, anzi, di vero e proprio cantastorie: uno di quelli ancora capaci di incantarci con una fantasia lussureggiante – e con la musica di una lingua potentemente suggestiva.
Il mondo eccessivo, feroce e comico dei modi di dire barbaricini.
«La volta che Itria Panedda Nilis riprese a sognare era un pomeriggio rovente di fine estate, con un sole che abbruschiava la pelle e spaccava le pietre». Da Melagravida i sogni se n'erano andati dopo un terremoto, quando la terra si era spaccata «come una melagrana matura». Ma quel giorno Itria Nilis – «conosciuta a Melagravida e nel circondario col nomignolo di Panedda per via delle sue carni morbide e bianche come il latte appena cagliato» – fu come sopraffatta da «una sonnolenza strana», e sognò, e quando tornò in sé si sentì (lei, vedova da quattro anni) come accesa da un fuoco, e corse verso l'ovile del capraio Martine. Lui, quel fuoco che Itria aveva addosso, glielo spense volentieri – ma la pagò cara. E questo accadeva sulle rive del lago di Locorio, dove da allora hanno cominciato a verificarsi fatti assai strani. Il parroco aveva un bel sostenere che non c'era nessun mistero, che era solo opera del Maligno: tutti lo sapevano, anche se pochi avevano visto Itria Panedda Nilis «che si spogliava e ballava, e cantava e volava sopra le acque del lago». Così comincia questo romanzo di Salvatore Niffoi, che ancora una volta, sin dalle prime pagine, immerge il lettore in un'atmosfera magica e insieme concretissima, in cui la vita quotidiana di un paesino della Barbagia (fatta di fatica e di dolore, di miseria e di ferocia) si illumina di visioni in cui compaiono il diavolo e i morti ammazzati, ma anche madonne con le «tette grosse e dure, labbra alabastrine e capelli di seta» – e, sull'altare maggiore di un santuario abbandonato, finanche un dipinto raffigurante una specie di «grosso ragno meccanico»: lo stesso rappresentato sul frontespizio di un libro stampato da Aldo Manuzio nel 1499...
L'arte e i temi della narrativa di Salvatore Niffoi si esprimono compiutamente in questo volume che raccoglie tutti i romanzi dello scrittore sardo targati Il Maestrale: cinque libri in uno, cinque storie su un'umanità dolente che s'affanna contro il destino. Si compone così il "ciclo dei Malfatati", un nome che ricalca il sardo malefadados: gli sventurati, donne e uomini colpiti da una sorte avversa. Come i memorabili personaggi di questi libri: dal postino di Picherfa che tenta di riscattare una vita grama rispondendo alle lettere che ancora arrivano all'indirizzo di un giramondo morto in disgrazia; a Cristolu, il frate che si farà bandito per vendetta; fino alle cinque donne alla ricerca di un "nuovo Adamo" sopravvissuto all'Apocalisse, nell'ultimo inverno del mondo.
salvatore Niffoi (1950) è nato e vive a Orani (Nuoro). Con Il Maestrale pubblica i romanzi: Il viaggio degli inganni (1999); Il Postino di Picherfa (2000; tradotto in Francia); Cristolu (2001); La sesta ora (2003); L'ultimo inverno (2007).
Nel 2007 esce per la collana "La Biblioteca della Nuova Sardegna" il romanzo La leggenda di Redenta Tiria, poi (2005) ripreso da Adelphi che in seguito pubblica: La vedova scalza (Premio Campiello 2006); Ritorno a Baraule (2007); Collodoro (2008); Il bastone dei miracoli (2009); Il pane di Abele (2009); Il lago dei sogni (2011).
A Pirocha, come in tutta l'isola di Degnasàr e come nell'intero pianeta, non piove più da molti mesi. I pozzi gorgogliano ultimi lamenti, i fiumi espongono scheletri di sassi bianchi, i mari iniziano ad evaporare. In questo mondo riarso la vita resta sospesa sotto un sole implacabile. Persino Filò, prostituta-intellettuale di Pirocha, che su questo Dio distratto e sordo alle suppliche ha maturato una teoria tutta sua, resta senza lavoro. Poi, un giorno, la pioggia spezza la maledizione. Un'euforia matta prende tutti, restituiti alla vita. Però è un preludio di diluvio: peggio dello scampato deserto. Cinque donne, le prescelte visitate dal colombaccio messaggero, Filò in testa, attraverseranno lo sconquasso, temendo l'ultimo inverno del mondo, per trovare rifugio nel monastero cistercense di Taladdari, abbandonato e solitario sulla montagna, ma già covo di banditi sanguinari. Attenderanno una primavera che fiorisca dal fango, e sarà forse un'altra infanzia del mondo. Con un problema: la procreazione della specie, e chissà se a valle non si trovi una possibilità: un Adamo sopravvissuto al cataclisma.
Questo libro di Nievo è un romanzo di educazione dei sentimenti. È incentrato sulla figura di Carlo Altoviti che attraverso le sue vicende sentimentali ripercorre il processo di formazione dell'Unità d'Italia, dal senile tramonto della Repubblica di Venezia fino agli avvenimenti del 1856. Alle vicende di Carlo fa da contraltare - modernissima e spregiudicata - la Pisana, un personaggio femminile di assoluta complessità, di cui il protagonista si innamora fin dalla più tenera età. Quando Venezia viene svenduta da Napoleone con il trattato di Campoformio, vediamo la Pisana sdegnarsi verso il suo amante còrso, un ufficiale napoleonico di stanza in Veneto. La Pisana fugge a questo punto verso Milano, Firenze e Roma assieme a Carlo. Questi verrà a sua volta fatto prigioniero dai sanfedisti mentre combatte in difesa della Repubblica partenopea. Condannato a morte, viene rocambolescamente salvato proprio da un intervento della Pisana. Dopo la caduta di Napoleone, Carlo diventa liberale e si arruola tra le forze di Guglielmo Pepe. Ferito e catturato, viene processato per alto tradimento. Ancora una volta l'intervento della Pisana riesce a salvargli la vita e a farlo esiliare a Londra, dove lei amorevolmente si dedicherà a curarlo e a rimetterlo in sesto. Ma stremata dalle privazioni la Pisana muore, non nell'animo di Carlo, però, che continuerà a ricordarla per sempre come propria guida spirituale.
Varie, extravaganti, occasionali, queste novelle - scritte tra il 1854 e il 1860 - si distribuiscono lungo la breve stagione creativa di Nievo intrecciandosi con i testi maggiori, nutrendosi degli stessi motivi. Esse rappresentano dunque un tassello di un'opera leggibile per rapporti e analogie oltre e più che per linee evolutive; ma rivelano anche, nella molteplicità tematica e formale, il percorso di uno scrittore alla ricerca di sé, aperto a sperimentazioni diverse. Il volume, introdotto dal "Giornale di Pellestrina", diario di una vacanza trascorsa da Ippolito studente fra mare e laguna, ha al suo centro "Le maghe di Grado". In uno scenario simile al precedente, con Venezia sullo sfondo, l'autore narra l'apparizione in paese di cinque giovani donne, il miracolo che trasforma in paradiso un luogo ostile, l'addio melanconico all'idillio estivo: un esperimento giocato su tonalità ironiche e serie, rievocative e riflessive, di felice riuscita. "La vigilia delle nozze" che chiude il volume appartiene, insieme alla "Voce della coscienza", alla tipologia della novella femminile. Nievo ne interpreta in modo personale, e ambivalente, la vocazione didattica e, per celebrare la simbiosi dell'amore coniugale, inscena il racconto del suo contrario, con discordia e separazione finale.
Compiuto da Nievo nel 1858, il romanzo uscì postumo nel 1867 e si impose subito ai lettori italiani. L'ottantenne Carlo Altoviti ripercorre la propria esistenza dall'infanzia quasi magica nel castello di Fratta, alla maturità gravata dalla malattia e dall'esilio londinese. Intrecciata alla vicenda personale scorre la storia del nostro Risorgimento: un'affresco dentro il quale si muove una galleria animatissima di personaggi tra cui spicca la figura appassionata dell'amata Pisana. Uno dei romanzi più belli della letteratura italiana, qui presentato in edizione critica e con un vasto commento.
Romanzo per molto tempo conosciuto col titolo di "Confessioni di un ottuagenario", titolo voluto dagli editori, che lo pubblicarono postumo nel 1867, perché i lettori non avessero il dubbio si trattasse di un libro di propaganda politica. Il protagonista, Carlo Altoviti (Carlino) che l'autore dice essere nato nel 1775, narra nel 1858, i propri casi intrecciandoli con quelli dell'Italia, dal crollo della società settecentesca sotto i colpi dei nuovi tempi rivoluzionari, al temprarsi della nazione italiana durante la Restaurazione, alle prove di libertà sui campi di battaglia.
L'ultima rivelazione dei Milites Christi sta per sconvolgere la Chiesa di Roma Le profezie divine di Tertulliano si stanno puntualmente avverando e un pericolo strisciante minaccia la Chiesa di Roma: è quello che credono di avere scoperto l'anziano sacerdote della chiesa di Santa Maria della Catena di Palermo e il parroco della basilica di Santa Prassede a Roma, studiosi di Storia romana. Alcuni fatti accaduti nel II e III secolo dopo Cristo - a partire dalle maggiori persecuzioni dei cristiani - sembrano inequivocabilmente connessi a episodi dei giorni nostri. Il Vaticano liquida le riflessioni dei due religiosi come poco rilevanti, ma i due sacerdoti, dopo una sparatoria di fronte a una chiesa, spariscono. Delle indagini sulla loro scomparsa si occupano il capo della squadra Mobile di Palermo, Giovanni Barraco e il questore di Roma, Ettore Midiri, assistiti da monsignor Matteo Cattaneo, uomo della Santa Sede, che già in passato ha collaborato con loro. Chi può avere interesse a chiudere la bocca ai due sacerdoti? Quale nervo dolente hanno inconsapevolmente toccato? Una profezia che sta per avverarsi. Un nemico subdolo e strisciante pronto a uccidere.
Il libro è formato dall'intreccio di storie raccontate, di immagini, di spiegazioni delle une e delle altre, allo scopo di dare un'idea più precisa degli anni fra il 1590 e il 1630. La città al centro di questi racconti è Bologna. Le storie sono quasi tutte tratte dagli atti dei processi del tribunale criminale del Torrone (così detto dalla grande torre in cui aveva sede), che operò in città dal 1535 circa al 1796.