
"Oggi questo celebre resoconto di un semplice sottoufficiale alpino che si trova a combattere nel settore centrale del fronte russo, proprio quando l'esercito dell'Unione Sovietica sferra il suo potente attacco demolitore, acquista rilievo speciale. Man mano che i fatti narrati si allontanano nel tempo, il diario del sergente diventa più intenso e assume i caratteri dell'esperienza perenne. La testimonianza scritta, rispetto agli eventi storico-geografici da cui è scaturita, intrattiene lo stesso rapporto che potremmo supporre fra la moneta e il suo conio." (Dalla postfazione di Eraldo Affinati)
Una piccola comunità dell'altipiano di Asiago esce stremata dalla Grande Guerra: ovunque macerie, povertà, disoccupazione. Chi non emigra ha davanti a sé un solo, pericoloso mestiere, quello del "recuperante": battere la montagna alla ricerca di residui bellici da rivendere ai grossisti di metalli per pochi centesimi. Giacomo, il protagonista del romanzo, impara il mestiere fin da bambino, al seguito del padre. Nel silenzio dei monti, impara a dialogare con i soldati scomparsi, ma anche a conoscere e decifrare il linguaggio segreto di piante e animali.
Questo libro è il percorso di una vita. Nato da un profondo rispetto della natura, del suo equilibrio e della sua grazia, rievoca grandi avvenimenti della Storia e piccole vicende personali, in un flusso scandito dall'alternarsi delle stagioni. Nella memoria dell'autore ogni cosa ha lo stesso spazio, la stessa dignità; ogni frammento trova la giusta collocazione all'interno di un quadro che Rigoni Stern, "uomo di montagna", dipinge dei colori più vivi. Accanto alla campagna di Russia e alla drammatica esperienza del Lager riemergono così episodi apparentemente marginali, che tuttavia danno il senso di una vita: dai suoi giochi di ragazzo alle prime battute di caccia, da una visita alla Reggia di Versailles al "bel gallo" regalato all'amico Vittorini, che però, a mangiarlo, si rivela "selvatico e coriaceo"... E poi ancora antichi riti e vecchie tradizioni, uomini e affetti di altre epoche, alberi e animali destinati ad annunciare il nuovo clima e la nuova stagione, luoghi e paesaggi forse dimenticati ma sempre carichi di storia e di ricordi: su tutto lo sguardo, a volte divertito a volte malinconico, dell'autore, testimone del suo tempo e di un passato che continua a riaffiorare.
Russia, inverno 1942. Il sergente maggiore Mario Rigoni guida una compagnia di mitraglieri degli Alpini nelle operazioni belliche sul fronte orientale. Questo è il racconto della sua vicenda, realmente accaduta, vissuta in prima persona. Alla narrazione della vita di trincea sulla linea del fronte lungo il fiume Don segue quella della ritirata dalla disastrosa spedizione in Russia: il lungo esodo dei soldati sotto il fuoco nemico, attraverso le praterie coperte di neve. È il racconto della sofferenza e dell'orrore di un'esperienza che ha portato quegli uomini al limite delle loro capacità. Pubblicato nel 1953 e subito accolto con grande favore da lettori e critici, questo romanzo è una preziosa testimonianza di uno degli episodi che più rappresentano la memoria italiana della Seconda guerra mondiale. Età di lettura: da 12 anni.
Alcuni anni fa, mentre stava lavorando al progetto di un libro fotografico, Claudio Rigon ritrova in un museo della sua città alcune piccole fotografie di soldati insieme a carte, lettere, quaderni, documenti: tutto è intestato a un certo capitano Michel. Vi sono anche delle buste contenenti molti fogli ripiegati. Dicono di pattuglie in perlustrazione nella notte davano alle trincee austriache, dell'arrivo del rancio, di un bombardamento, di morti. Dicono che si è davanti al Monte Ortigara. Sono fonogrammi, i messaggi con cui alcuni reparti di un battaglione alpino si erano comunicati disposizioni e informazioni. Vanno dal 24 giugno al 24 luglio del 1916. Il capitano Michel, appena promosso, era giunto allora a prendere il comando di un battaglione decimato, rimasto senza ufficiali. Nella vita civile era insegnante di storia e filosofia. Dopo aver letto tutti quei fogli Claudio Rigon li ha incrociati, messi in ordine, ha inquadrato ogni dettaglio nel contesto. E soprattutto li ha fatti parlare, sfiorandoli con una voce calibrata, esatta, mai invadente e mai retorica, che da forza e collante al racconto.
Con questo romanzo inizia il futuro di Jole e Sergio, figli di Augusto e Agnese De Boer, coltivatori di tabacco a Nevada, in Val Brenta. Vent'anni lei, dodici lui, dopo tante vicissitudini i due fratelli sono pronti ad affrontare la più grande delle sfide: lasciare la propria terra, che nulla ha più da offrire, per raggiungere il Nuovo mondo. Un'avventura epica che ha in sé l'incanto e il terrore di tante prime volte: per la prima volta salgono sul treno che li porterà fino a Genova dove, vissuti da sempre tra i profili aspri delle montagne, vedranno il mare - immenso, spaventoso eppure familiare, amico, emblema di vita e speranza. Per la prima volta la Jole e Sergio sono soli di fronte al destino e lei sa che - presto o tardi - dovrà raccontare al fratello la sorte tragica toccata ai genitori. Nella traversata che dura più di un mese, stesa su una brandina maleodorante, mentre la difterite dilaga a bordo e i cadaveri vengono gettati tra i flutti, la Jole sente ardere in sé la fiamma della speranza, alimentata dalla bellezza sconosciuta del mare e da un soffio di vento che di tanto in tanto torna a visitarla, e in cui lei è certa di riconoscere l'Anima della Frontiera, il respiro universale che il padre Augusto le ha insegnato a riconoscere. Con la forza d'animo e la grazia che conosciamo, la Jole, con i boschi e le montagne di casa sempre nella mente e nel cuore, affronta esperienze estreme che la conducono, pur così giovane, a fare i conti con temi cruciali e di bruciante attualità - il senso di colpa di chi è costretto ad abbandonare la propria terra, il rapporto tra nostalgia e identità, l'importanza di coltivare pazienza e speranza per inventarsi il futuro e continuare a vivere. Si conclude con questo romanzo la "Trilogia della Patria", la saga della famiglia De Boer.
Domenico ha dodici anni ed è sempre vissuto nel villaggio dove è nato, ai piedi delle Dolomiti. La montagna è il suo mondo e questo mondo non ha segreti per lui. Gli piace guardare le cime mentre va a scuola, dove la professoressa gli racconta di Tom Sawyer, o attraversare i boschi mentre va al torrente a pescare, sognando avventure straordinarie. Continua a farlo anche se da un po' di tempo tutti lo mettono in guardia, perché il rischio di imbattersi nell'orso di cui tanto si parla in giro è grande. Un orso ormai diventato una leggenda nella valle: terribile, gigantesco, feroce come da quelle parti non se ne vedevano più. E non riesce a credere che suo padre, sempre così distante, ubriaco, perso, sia lo stesso uomo che adesso vuole dare la caccia all'orso e vuole partire per quella spedizione sulle montagne insieme a lui, solo loro due, via per giorni e giorni a contatto con una natura aspra, selvaggia. Ma è proprio questo che accadrà. Domenico sarà coinvolto in un'esperienza unica, spaventosa ed eccitante, dalla quale apprenderà che la natura, per quanto pericolosa, non sarà mai crudele come gli uomini. Un romanzo d'avventura che è insieme il racconto folgorante di una formazione, di ciò che succede per la prima volta, e che sarà per sempre.
Il Brenta da una parte, il Piovego dall'altra. Due corsi d'acqua stringono a tenaglia una terra piatta, umida e tignosa dove l'afa d'estate è mortifera. Tra queste campagne c'è San Vito Oltrebrenta. Una chiesa, tre condomini e qualche villetta su una strada lunga e dritta che spacca in due l'intero paese. Con un bar da una parte e uno dall'altra. In mezzo, cinesi, zingari, una banda scalcinata di delinquenti locali, una statua di Sant'Antonio e un carabiniere che crede di sapere il fatto suo. Un romanzo che gioca con i dialetti, i colori, il sangue e le corrotte geometrie umane e sociali di una terra epica.
Salvatore Petrachi ha un solo scopo nella vita: entrare nella piccola élite che decide le sorti del Salento, la terra dove vive. Faccendiere titolare di una ditta di security, Petrachi è proprietario con Adamo Greco, amico d'infanzia ed ex contrabbandiere, di un ristorante di lusso attorno al quale ruotano numerose attività illegali. Grazie ai servigi che compie per un avvocato legato alla politica, Petrachi è sul punto di portare a compimento la sua scalata sociale quando un fatto di sangue in un campeggio di Frassanito mette lui e Greco in una posizione che minaccia tutto quello che i due hanno costruito negli anni. Il cinismo, la spietata pulsione al dominio e alla manipolazione di Petrachi lotteranno però per non morire e, anzi, volgere la situazione a proprio favore anche se questo dovesse significare compromettere le esistenze e le speranze del variegato coro di personaggi che incontra sulla sua strada. Con uno sguardo atipico nel panorama italiano, lucido, disincantato ma anche pieno di vitalità, Daniele Rielli alterna stili e registri fra loro diversi che vanno dal dramma a momenti di dirompente ilarità. Il risultato è un romanzo polifonico in cui la narrazione dei giochi di potere nella provincia italiana, in crisi ma ancora saldamente in mano a piccoli gruppi d'interesse, si rivela pretesto per raccontare l'indistricabile rapporto fra vita e male.
Gli irresistibili rituali dei promotori di Startup, riuniti in congresso a Londra. Il matrimonio fra due miliardari indiani – per tacer dell'elefante – nel cuore del Salento. Le emozioni – e quello che si intende, oggi, con la parola – della prima volta con i Google Glass. L’incontro, a New York, con un sopravvissuto alla sua stessa leggenda: Frank Serpico. Il paradiso – o l’inferno – artificiale nella sua versione più aggiornata, il poker on line. Non importa da quale ingresso Daniele Rielli decida di entrare in quel diorama ibrido e surreale che chiamiamo contemporaneità. Importa come ne racconta, ogni volta, un angolo diverso, e quanto, ogni volta, riesca a farci ridere.
Cosa succede davvero quando si muore? Quante volte si può scomparire? Quanto ci si può avvicinare alla nudità del proprio cuore attraverso il cuore degli altri? Il protagonista di questo romanzo - quarantacinque anni e tre figli da tre donne diverse - lo scopre in seguito a un fatale incidente con la sua motocicletta, a partire dal quale ci parla da un dopo morte che ha ancora legami con la vita. Per un anno intero, ogni giorno, dalle sette a mezzanotte, si immerge nella mente delle persone che ha conosciuto, amato e odiato. Da lì ci racconta, fra confessione e thriller metafisico, la sua avventura terrestre, dei legami duraturi, di quelli fallaci, del destino che gli è stato negato, ma anche dei destini di coloro che lo ricevono in sé. Così si dispiega la storia di un personaggio unico e molteplice: gallerista d'arte, consulente aziendale, agente finanziario. Un geniale, fragile, prismatico uomo contemporaneo. Ogni viaggio avviene come una morbida invasione spirituale che dilata la sua coscienza verso il limite del vivibile e del dicibile. Appostato dietro le finestre degli occhi di chi lo ospita, guarda senza poter intervenire, assistendo al più toccante fra gli spettacoli impossibili, quello del mondo che continua senza di noi. Fino a quando comprende il suo vero bruciante desiderio, comunicare un'ultima volta con i suoi tre bambini, e in particolare con Ada, la più piccola - l'unica di cui non riesce ad avere notizie. Vero e proprio viaggio nell'interiorità, e autentica ricerca di una nuova definizione dell'interiorità, "La scomparsa dì me" è un modernissimo teatro degli spiriti, un "gioco" che richiama le infinite possibilità dell'essere che il futuro delle tecnologie promette. È anche una paradossale dichiarazione d'amore per la vita, per la sua molteplicità straziante, sino alla definitiva scomparsa di sé.