
In breve
“Di fronte a montagne pericolanti, a precipizi ignoti, sopra lo spazio abbagliante del ghiacciaio, Annetta era un nulla, figurina labile disegnata a margine di un foglio. Insignificante vita nascosta nella distanza da quel mondo che solo poche ore prima l’aveva applaudita. Eppure, lo sapeva, ce l’avrebbe fatta. Bastava partire, senza pensarci.” La vera storia dell’aeronauta Giuseppe Charbonnet e della sua giovane sposa che il giorno del loro matrimonio spiccarono il volo a bordo di un aerostato. Un viaggio che fu un’odissea, tra tempeste e manovre azzardate, e un rovinoso atterraggio su una montagna sconosciuta.
Il libro
Torino, domenica 8 ottobre 1893. È il giorno della vita per Anna Demichelis, diciott’anni, bellissima, di umili origini. Si sposa con l’“ammiraglio dell’aria” Giuseppe Charbonnet, grande appassionato di aerostatica che ha promesso a tutta la cittadinanza uno spettacolo sensazionale: dopo la cerimonia spiccherà il volo con la moglie a bordo dell’aerostato Stella. Al grido di “Viva gli sposi aeronauti!”, il pallone si alza, diventa sempre più piccolo fino a sparire nel cielo. Sarà un’odissea, tra tempeste, manovre azzardate, un rovinoso atterraggio su una montagna che nessuno conosce. E poi la discesa lungo ghiacciai inondati di sole e minati da invisibili crepacci. Finché – qualcuno sostiene – interverrà una mano celeste a indicare la via. Il filo di questa storia vera, che occupò le cronache dei giornali per settimane, oggi si unisce con quello lasciato dall’autore durante le ricerche nei luoghi più remoti delle Alpi Graie, dove si svolsero i fatti e si condensò il mistero finale.
Ne esce un intreccio narrativo fulgido, sorprendente. Il romanzo di chi la montagna l’ha vissuta, scalata e raccontata.
Al centro del racconto la passione adulterina di Edoardo, un italiano che insegna letteratura americana in California, per la sensuale cognata di origini siciliane, Anna, grande amica della moglie Edith. Come già venticinque anni prima nelle "Lettere da Capri", Soldati torna a raccontare di matrimonio e di amore annodati tra due culture diverse, toccando uno dei vertici della sua narrativa in un romanzo dove l'introspezione psicologica si fonde con un intreccio ricco di suspense.
"La sposa" narra la storia della famiglia Giusti nell'arco di due generazioni. Dopo trent'anni di matrimonio. Giulio lascia Silvia, se ne va. In un futuro non lontano, anche suo figlio Gino verrà assalito da un'inquietudine alla quale non riesce a resistere. Perché, quando hanno smarrito, entrambi, le ragioni di un legame coniugale che credevano profondo? Qual e il segreto impulso che muove Giulio e Gino? Le vicende della famiglia si snodano negli anni - sullo sfondo di una Roma splendida e struggente - finché, all'improvviso, Francesca: la moglie di Gino, cambia ogni prospettiva e, con un atto d'orgoglio, scompare. Il tempo non è innocente, scrive Montefoschi all'inizio della terza parte della Sposa. Il tempo è il grande tema dei suoi romanzi. Solo dopo un lungo silenzio, dopo il vuoto scavato dalla perdita, solo "dopo il tempo" può emergere la verità. E quello che capiterà a Gino, quando riuscirà a liberarsi di una relazione ambigua che gli ha impedito di vedere e, anche grazie a un evento del tutto imprevisto, capirà. Le pagine di questo romanzo ci dicono che la felicità può esistere. A patto di far chiarezza in noi stessi: di restituirci a quella luce interiore senza la quale è impossibile accogliere l'altro, e donarci.
Il libro si compone di cinque racconti, compiuti e perfetti in se stessi. I primi quattro si svolgono a Roma tra il 1940 e il 1945; l'ultimo è un breve e coinvolgente giallo. In tutti scorre l'amara coscienza di quanto sia "sporca" la guerra, che oggi come ieri degrada noi umani a bestie senza sentimento né ratio, sradicandoci dalla nostra umanità. La scrittura di Luca Canali, limpida e intensa, trepidante e dura, è come il riflettore di un set cinematografico: illumina e segue i suoi personaggi, i loro destini e quelli di noi lettori.
"Avremo mai il coraggio di essere noi stessi?" si chiedono i protagonisti di questo romanzo. Due ragazzi, due uomini, due destini. Uno eclettico e inquietto, l'altro sofferto e carnale. Una identità frammentata da ricomporre, come le tessere di un mosaico lanciato nel vuoto. Un legame assoluto che s'impone, violento e creativo, insieme al sollevarsi della propria natura. Un filo d'acciaio teso sul precipizio di una intera esistenza. I due protagonisti si allontanano, crescono geograficamente distanti, stabiliscono nuovi legami, ma il bisogno dell'altro resiste in quel primitivo abbandono che li riporta a se stessi. Nel luogo dove hanno imparato l'amore. Un luogo fragile e virile, tragico come il rifiuto, ambizioso come il desiderio. L'iniziazione sentimentale di Guido e Costantino attraversa le stagioni della vita l'infanzia, l'adolescenza, il ratto dell'età adulta. Mettono a repentaglio tutto, ogni altro affetto, ogni sicurezza conquistata, la stessa incolumità personale. Ogni fase della vita rende più struggente la nostalgia per l'età dello splendore che i due protagonisti, guerrieri con la lancia spezzata, attraversano insieme. Un romanzo che cambia forma come cambia forma l'amore, un viaggio attraverso i molti modi della letteratura, un caleidoscopio di suggestioni che attraversa l'archeologia e la contemporaneità. E alla fine sappiamo che ognuno di noi può essere soltanto quello che è. E che il vero splendore è la nostra singola, sofferta, diversità.
L'amore non chiede il permesso. Arriva all'improvviso. Travolge ogni cosa al suo passaggio e trascina in un sogno. Così è stato per Emma, quando per la prima volta ha incontrato Marco che da subito ha capito come prendersi cura di lei. Tutto con lui è perfette. Ma arriva sempre il momento del risveglio. Perché Marco la ricopre di attenzioni sempre più insistenti. Marco ha continui sbalzi d'umore. Troppi. Marco non riesce a trattenere la sua gelosia. Che diventa ossessione. Emma all'inizio asseconda le sue richieste credendo siano solo gesti amorevoli. Eppure non è mai abbastanza. Ogni occasione è buona per allontanare da lei i suoi amici, i suoi genitori, tutto il suo mondo. Emma scopre che quello che si chiama amore a volte non lo è. Può vestire maschere diverse. Può far male, ferire, umiliare. Può far sentire l'altra persona debole e indifesa. Emma non riconosce più l'uomo accanto a lei. Non sa più chi sia. E non sa come riprendere in mano la propria vita. Come nascondere a sé stessa e agli altri quei segni blu sulla sua pelle che nessuna carezza può più risanare. Fino a quando nasce sua figlia, e il sorriso della piccola Martina che cresce le dà il coraggio di cambiare il suo destino. Di dire basta. Di affrontare la verità. Una verità difficile da accettare, da cui si può solo fuggire. Ma il cuore, anche se è spezzato, ferito, tormentato, sa sempre come tornare a volare. Come tornare a risplendere. Più forte che può.
"Splendi come vita" fa quello che fa la letteratura alla sua massima potenza: ridà vita a ciò che non c'è più, illuminando di riflesso la vita del lettore. Ma lasciamo che a parlarne sia l'autrice. «Splendi come vita è una lettera d'amore alla madre adottiva. È il racconto di una incolpevole caduta nel Disamore, dunque di una cacciata, di un paradiso perduto. Non è la storia di un disamore, ma la storia di una perdita. Chi scrive è una bambina adottata, che ama immensamente la propria madre. Poi c'è una ferita primaria e la madre non crede più all'amore della figlia. Frattura su frattura, equivoco su equivoco, si arriva a una distanza siderale fra le due, a un quotidiano dolore, a un quotidiano rifiuto, fino alla catarsi delle ultime pagine. Chi scrive rivede oggi la madre con gli occhi di una donna adulta, non più solo come la propria madre, ma come una donna a sua volta adulta, con la sua storia e i suoi propri dolori e gioie. Quando si smette di vedere la propria madre esclusivamente come la propria madre, la si può finalmente "vedere" come essere separato, autonomo e, per ciò, tanto più amabile» (Maria Grazia Calandrone).
"Il cibo ha una storia spaventosa, eroica, miracolosa. La scrittura sacra contiene narrazioni di provviste dal cielo. La parola fame è stata più temuta della parola guerra, della parola peste, di terremoti, incendi, inondazioni. Si è ammansita presso di noi l'ultima virata di bordo del secolo, permettendo insieme alla medicina la prolunga inaudita dell'età media. Si è costituita una scienza dell'alimentazione. Lentamente le porzioni si sono trasformate in dosi, le etichette forniscono l'apporto in calorie. Sono di un'epoca alimentare precedente a questa, basata sulla scarsa quantità e varietà. Mi è rimasto in bocca un palato grezzo, capace di distinguere il cattivo dal buono, ma povero di sfumature intermedie. Ho le papille del 1900. Qui ci sono storie mie di bocconi e di bevande, corredo alimentare di un onnivoro." Così scrive nella premessa Erri De Luca, che subito ci conduce con il suo stile inconfondibile fra odori e sapori che raccontano di lui ma anche di un mondo perduto di pranzi della domenica al profumo di ragù, di pasti consumati in cantiere e nei campi base in ascesa sulle vette, e di osterie, dove le generazioni si mischiavano, "stanze di popolo". Un mondo che si fa materia e trasmissione di cultura anche grazie alle ricette di sua nonna Emma e della zia Lillina, fedelmente trascritte dalla cugina Alessandra Ferri e condivise con i lettori in questo libro. Le pagine trovano infine felice contrappunto in alcuni interventi del biologo nutrizionista Valerio Galasso, che riprende dal punto di vista scientifico queste storie di cibo familiare, approfondendone il valore e offrendo una chiave per un sano comportamento alimentare.
C'è un cane presidenziale e, ovviamente, il Presidente dell'Impero, i primi generali, i re degli affari, le guardie del corpo, tanti divi fasulli, le segretarie di stato e molti, molti spiriti. Sono spiriti attori, spiriti cacciatori, di casa nel fuoco e nei boschi come Kimala o nelle parole come Poros. C'è la strega Zelda e molti demoni minori, bambini del coro, soldati, spettatori... e, naturalmente, tutti i grandi e servili eroi di Usitalia.
Basta una leggera influenza, o un bicchiere di troppo e il favoloso "pensiero penetrante" di Learco Ferrari va a farsi benedire e non c'è verso di farlo tornare. E ce ne sarebbe bisogno, perché stavolta Learco, scrittore ma anche traduttore e magazziniere, per pagare gli alimenti alla gatta Paolo, sta per essere pubblicato davvero, dopo tanti rifiuti. Ma ecco che l'antico vizio si risveglia. Indolente e inconcludente, Learco si aggira in cerchio tra voci che continuano a parlargli dentro la testa e quelle vere al telefono e sembra non riuscire in alcun modo a trovare la luce. Dov'è la luce? Chiede ad un anarchico triestino. La luce, gli risponde l'anarchico, non si vede.
"Ho voluto raccontare la mia storia", dice Ornella Dallas, protagonista di questo romanzo, "perché tutte le donne sappiano che si può avere felicità e amore anche nelle situazioni più disperate, anche se si è la moglie di una spia. Diversi anni fa a Berlino, in un grande albergo, io incontrai un uomo, era una spia, uno degli agenti segreti più temibili e pericolosi d'Europa. Me ne innamorai, e l'ho sposato. L'ho sposato anche sapendo che era un spia e l'ho seguito per lunghi anni nella buona e nella cattiva sorte, come dicono quando ci si sposa, nelle avventure più angosciose e disperate. Le spie non devono amare, eppure noi ci siamo amati".
"Una notte, a Évian, fui svegliato da mio padre, e con mia sorella scendemmo nel parco in pigiama e vestaglia. 'Cosa succede?" chiesi. 'C'è un incendio," rispose mio padre. 'Sta bruciando l'albergo. Il nonno è chiuso a chiave nella sua stanza e dorme. La nonna è al casinò. Bambini, aspettate qui." Ci lasciò con la governante sul prato, dove c'erano altri clienti, altri bambini, tutti intenti a guardare le fiamme che salivano dal torrione centrale. A un tratto si sentì un tonfo terribile: l'ascensore era precipitato." (da Berthe)