
Una nuova impresa chiama a gran voce Conan il druido. Si racconta che il relitto di una nave incastonato tra i ghiacci celi nelle proprie stive un tesoro dal valore inestimabile, inghiottito dalle acque scure dei mari del Nord insieme a tutto l'equipaggio. Ora tra i Lochlann, le genti scandinave, in molti bramano il possesso di quel bottino, primo tra tutti re Hargar, che intende servirsene per difendere il trono. E così i suoi sudditi, che, stanchi dei continui soprusi, vedono in quelle ricchezze la chiave della loro libertà. Reclutato dai ribelli affinchè sostenga la loro causa, Conan, con l'appoggio di un gruppo di fedelissimi e noncurante delle insidie che lo attendono, si metterà sulle tracce della nave misteriosa e del suo prezioso carico, appagando ancora una volta il suo innato spirito di avventura.
"Guerra alla tristezza!" è la ricerca di un antidoto all'infelicità. Sessanta storie scritte dagli anni Ottanta sino a oggi, in cui Albinati si avvicina profondamente al dolore per scrutarlo e incarnarlo e poi fuggire verso la fantasia e la bellezza. I toni sono scherzosi, profondi e imprendibili: come se nulla fosse troppo serio per non essere affrontato anche nello spazio di poche pagine, di poche righe. Il coma, la morte, la follia, i fantasmi, le bombe, gli acidi, il mito, l'amicizia. Ogni personaggio richiede che la sua avventura sia narrata con una lingua speciale, inventata da lui e soltanto per lui. Il realismo più puntuale si coniuga a impennate fantastiche. Persino gli animali prigionieri cantano per illustrare la loro condizione ai visitatori dello zoo. E i sogni sono popolati da personaggi presi dalla cronaca e tradotti nel mondo e nella lingua della letteratura. Dialoghi amorosi e filosofici, dispute sull'esistenza di Dio in pizzeria, sul sapore della carne di cavallo, su come guarisce una spalla, su come si salva il mondo sparando o si perdono dieci chili di troppo; e poi Babbo Natale, Peter Lorre, Stephen King, i bombardamenti su Belgrado, Richard Gere nella pubblicità dei Ferrero Rocher; i mujaheddin afghani, Tirana e il dittatore albanese Enver Hoxha, il leggendario bassista Jaco Pastorius; e ancora l'uomo sulla Luna, la Lega, lo sci nautico, la galera e il circo, le operazioni agli occhi, Jimmy Sommerville e Gisele Bundchen, compaiono pagina dopo pagina.
In questo romanzo non si racconta "la guerra vista da dietro le quinte" - in guerra non vi è nulla di teatrale e di fittizio - bensì la graduale scoperta, da parte di un'adolescente, che le parole gonfie di retorica dei bollettini radiofonici fascisti e le bandierine spostate sulla "carta geografica dell'Impero" servono solo a nascondere l'orrore di ogni guerra e il dolore che ne deriva. Nella normale vita di una ragazzina quattordicenne, tra la disciplina del collegio e le libertà estive, i balli serali e le passeggiate in bicicletta, se la guerra appare inizialmente sotto le trionfalistiche spoglie di eroici combattenti, ben presto cominciano a filtrare le prime drammatiche notizie sui soldati italiani mandati allo sbaraglio, nei rigori invernali prima del fronte greco e poi di quello russo. Ma sia la lettera inviata al Duce, per "infondergli coraggio", dalla protagonista insieme a un'amica, sia i fioretti collegiali per propiziare la vittoria finale, non potranno evitare la disfatta e i caotici giorni di incertezza che seguiranno all'8 settembre, tra bombardamenti aerei, rastrellamenti dei soldati tedeschi e repubblichini e finanche razzie di cosacchi... Lungo tutto il romanzo, è la Storia, o piuttosto la follia di pochi, che scrive e riscrive, intreccia e poi dista la vita delle persone, i loro umili eroismi e le loro viltà, siano giovani ebrei fuggiaschi o intere famiglie sfollate in montagna.
Spagna, 1937. In uno scenario di guerra feroce come ogni guerra, vivido e vero come fosse oggi, una strana coppia di italiani di parte franchista - il capitano Degli Innocenti e il suo attendente, l'indimenticabile doppiogiochista Filippo Stella - sprofonda nella ricerca di un cadavere che forse non è un cadavere, visto che taglia teste di uomini vivi. Che cosa troveranno veramente questi due moderni Chisciotte e Sancho, mentre intorno a loro da ogni parte si annuncia l'orrore, non è dato sapere, ma solo intuire.
Chi è l'Artiglio del diavolo? Nei carruggi si parla di lui sottovoce, con orrore. Quando cala la notte le donne tremano al pensiero di incontrano e fare la stessa fine delle altre disgraziate che sono cadute sotto la sua bestiale ferocia. Tutta la città lo cerca. E quale presenza diabolica si aggira tra i carmelitani scalzi di Sant'Anna e profana la casa di Dio sgozzando i preziosi maiali del convento e incidendo una croce sui loro corpi? È come se il Cielo avesse scagliato contro i genovesi due pesti allo stesso tempo, ma il guaritore di maiali, che ama le bestie più degli uomini, è convinto che il Signore abbia faccende più importanti di cui occuparsi e che si debba invece dubitare delle persone. Di tutti, proprio tutti.
Questo libro rivela ai lettori un aspetto praticamente sconosciuto dell’autore di Don Camillo e dei racconti familiari con Margherita, Albertino e la Pasionaria:quello di creatore di brillanti testi per la Radio. Per ben tre anni, infatti, dal 1947 al 1949, Guareschi realizzò due rubriche radiofoniche che ebbero grande successo.
La prima, «Signori, entra la Corte!», consisteva di ventinove processi – divisi in due serie – il cui verdetto era lasciato agli ascoltatori; la seconda, «Caccia ai ricordi», era composta di dieci episodi immaginari inquadrati in avvenimenti realmente accaduti nell’anno che i radioascoltatori dovevano indovinare.
Per entrambe le trasmissioni erano previsti premi per i vincitori: naturalmente, niente di simile alle migliaia – o milioni – di euro che vengono offerti oggi. Per quanto riguarda, ad esempio, «Signori, entra la Corte!», tra tutti coloro che avevano espresso un giudizio corrispondente a quello della maggioranza venivano sorteggiati «un apparecchio radio Ducati a cinque valvole con occhio magico e venti cassette di Aperitivo Select e Gin Pilla».
Entrambe le rubriche erano nate per campagne pubblicitarie. La prima, per promuovere le pastiglie per la gola del «Resoldòr», prodotto della Ditta Gazzoni di Bologna, offriva nella serie iniziale vicende tipiche del dopoguerra, «comicamente tragiche o tragicamente comiche », i cui protagonisti erano i reduci, i borsari neri, i nuovi industriali, la nuova criminalità; nella serie successiva, richiesta per il notevole successo riportato dalla prima, erano invece proposti argomenti più tipicamente «gialli». Quanto alla seconda, la «Caccia ai ricordi», venne commissionata dal Calzaturificio di Varese: aveva come narratori radiofonici i personaggi allora popolarissimi di Giovannino e Margherita del «Corrierino delle famiglie», e voleva semplicemente divertire. Negli episodi, molti sono i riferimenti autobiografici legati a eventi della sua vita, molti gli spunti tratti da testi scritti in precedenza: del resto, lo stesso accade per gli avvenimenti processuali esposti in «Signori, entra la Corte!». Ogni racconto è pervaso dal ben noto umorismo, dalla struggente ironia del grande scrittore della Bassa, e ci porta il profumo di un’Italia che non c’è più.
Gli immortali racconti di Don Camillo vengono in nostro soccorso chiamandoci alla buona battaglia, per conservare la fede e salvare l’anima.
Giovannino Guareschi, che ha vissuto dolorosamente sulla propria pelle la Seconda Guerra Mondiale e la prigionia in un lager tedesco, la Grande Guerra del ’15-18 l’ha solo sentita raccontare, da bambino e da ragazzo, fino a che le illustrazioni della “Domenica del Corriere” non gli sono entrate nel sangue e nel cuore. La vera Grande Guerra in cui Guareschi ha militato è quella spirituale, per conservare la fede e salvare l’anima: alla stessa guerra siamo chiamati anche noi. Questo libro nasce da sette stagioni di programma radiofonico di un’emittente della Bassa Lombarda: nell’affrontare un po’ di storia e le attuali tristi cronache, Guareschi è venuto in soccorso con i suoi racconti che riposizionano la coscienza sulla linea giusta, con poche pennellate, facendo muovere i personaggi del Mondo Piccolo, dove Giovannino riesce a essere più profondo, più utile e soprattutto più leggibile di tanti teologi.
Il guardiano dei giardini del cielo rappresenta in modo illuminante la cifra dello scrittore. Il racconto è, per D'Alessandro il luogo interiore dove nasce il suo prototipo che, in quanto tale, contiene l'ideazione narrativa nella sua forma primigenia e più pura. È la secentesca camera ottica del pittore, dove dall'oscuro si genera l'esperimento dell'immagine e del colore. L'umanità, la pietas come dimensione anarchica dell'anima e rivelatrice della sua essenza più misteriosa, la contemplazione di un orizzonte ultraterreno sono i temi di fondo, distinguibili oltre la molteplicità dei soggetti. Lo stile dei racconti privilegia la chiarezza rispetto alla sperimentazione, rinvenibile invece nei suoi romanzi. D'Alessandro professa il culto della pagina nitida, tersa, sorretta da dialoghi veloci. L'obiettivo perseguito è commuovere il lettore, sensibilizzarlo poeticamente a una realtà superiore a ogni parola, farlo innamorare di ciò che legge.
Quando, al termine di una conferenza, Federico Burzio, noto esperto dei misteri di Rennes-le-Chàteau, riceve un manoscritto da uno sconosciuto, non sa ancora che quelle poche pagine daranno il via a una pericolosa catena di aggressioni e di morti. Dopo aver letto svogliatamente le prime righe, Burzio si rende conto di essere di fronte a una nuova incredibile interpretazione delle teorie che dalla fine dell'Ottocento si sono create intorno alla controversa figura di Bérenger Saunière, parroco di Rennes-le-Chàteau, e al fantomatico tesoro del luogo. Decide allora di approfondire, ma scopre ben presto che l'indirizzo riportato sullo scritto è falso, così come il nome dell'autore, Aldo Marguta, che non è altro che l'anagramma delle parole "Tour Magdala", simbolo dell'antica città francese. Pochi giorni dopo, ecco arrivare una lettera altrettanto misteriosa, in cui un antiquario sostiene di aver decifrato un codice che, traslato su una mappa, conduce proprio alla chiesa di Santa Maria Maddalena di Rennes-le-Chàteau. Quando però Federico prova a mettersi in contatto con l'uomo, scopre che ha da poco perso la vita in un incidente che non ha nulla di casuale. Ma Burzio non è l'unico a interessarsi ai due scritti: una setta fondata due secoli prima, la Confraternita dei Vincenti, è sulle sue tracce ed è disposta a tutto pur di fermarlo.
È vero che da ogni scrittore si potrebbe trarre il suo proprio, personalissimo bestiario, rintracciabile nelle sue opere o nascosto nel suo inconscio. Prima di trovarsi di fronte alle pagine che presentiamo, difficilmente si sarebbe pensato a La Capria come a uno scrittore "animalista". E invece. Invece adesso possiamo dire che pochi scrittori hanno dimostrato verso gli animali tanta partecipe tenerezza, tanta simpatia nel senso etimologico di capacità di patire insieme. Un'empatia che si esercita verso le creature più tradizionalmente "amiche dell'uomo", come il fedele e amatissimo cane Guappo, ma anche verso quelle più apparentemente aliene. Per esempio, la privazione della libertà che provoca il nobile avvilimento di un felino dietro le sbarre è la stessa che sconvolge il muto destino di un pesce dietro la lastra vetrata di un acquario; la sofferenza che vela lo sguardo supplice di un cane non appare meno ingiusta quando sfolgora sotto la palpebra rugosa di una civetta. Messi l'uno dopo l'altro questi brani, tra i quali si riconoscono facilmente alcuni luoghi classici della produzione lacapriana, acquistano una luce nuova. Sprigionano tanta forza nel mettersi dalla parte degli ultimi, degli esseri che non hanno la parola per farsi udire, che la prosa di La Capria sembra allargarsi ad abbracciare una forma di comunicazione più vasta, l'empatia profonda che mette in armonia l'uomo con tutte le altre creature.
C'è un uomo da solo in una bella casa nuova: l'ideale per lavorare e riflettere. Dietro le spalle quest'uomo si è lasciato le macerie normali di una vita normale: un matrimonio finito, un'amante delusa, un figlio un po' estraneo. Ma ora finalmente il suo cumulo di rovine potrà chiuderlo dietro la porta. Peccato che, a porte chiuse, lo aspetti un roditore subdolo come un ricordo, tenace come un rimorso, feroce come la coscienza. Lui è il nemico. E' contro di lui che avverrà lo scontro finale. Per accorgersi poi che in fondo tutti abbiamo bisogno di «qualcosa che non faccia addormentare i nostri dubbi». Questo monologo è andato in scena dal 1988 al 1990.
Che ci fa Jos Asad, affermato scrittore giamaicano non ancora cinquantenne a Borgo San Giustino, piccola borgata del Canavese, a pochi passi da Ivrea? Perché un intellettuale impegnato, che si sentiva soffocare nella natia Giamaica, ha deciso di rintanarsi in un angolo immoto del 'verde Canavese'? Perché si ostina, contro il parere di tutti, a voler comprare e restaurare il Mulinet, che sarà pure un vecchio rudere, ma è caro alla memoria degli indigeni? Jos è andato a misurarsi con una colettività che è vissuta per anni nell'illusione di essere, grazie all'utopia olivettiana, la Silicon Valley italiana e che ancora non si è riavuta dal brusco risveglio, sta elaborando il lutto per la repentina scomparsa financo del marchio Olivetti.

