
Nel febbraio 1984 Tiziano Terzani fu arrestato a Pechino, perquisito, interrogato ed, infine, espulso dal Paese. Per quattro anni vi aveva vissuto con la famiglia, cercando di sentirsi "cinese": aveva mandato i suoi figli alla scuola locale, aveva raggiunto luoghi sconosciuti al turismo, aveva visto una Cina diversa da quella che appariva in superficie. Ricco di notizie e dati, di considerazioni ed impressioni, questo libro è al tempo stesso un reportage, un diario di viaggio, un saggio di sinologia contemporanea e l'appassionante romanzo di un'avventura umana.
L'abbiamo conosciuto alle prese con l'investimento di una gattara ne "I gatti lo sapranno"; l'abbiamo seguito sulle tracce di un professore scomparso in "Ci saranno altre voci", abbiamo assistito insieme a lui alla piena del Tevere, sbrogliando il mistero di un bimbo abbandonato ne "II silenzio degli occhi". Ora però è agosto e anche per il commissario Ponzetti è arrivato il momento di andare in vacanza. Le valigie sono già pronte e la famiglia lo aspetta per la villeggiatura, ma ecco che l'omicidio di un giovane ghost-writer, collaboratore di vari politici nonché autore dell'autobiografia di un celebre ballerino di tango, trattiene inevitabilmente il commissario tra le strade di Roma. In questa vicenda ingarbugliata in cui ruoli e identità si confondono, niente è come sembra. L'acume e il proverbiale buon senso di Ponzetti, le sue armi migliori, saranno messi a dura prova da questa che si profila come l'indagine più intricata per il nostro commissario, affiancato come sempre dal fido lannotta.
"All'ultima ora hanno fatto cose che vanno dalla palestra all'officina, passando magari per un'ora di supplenza, oppure sono stati a pascolare nel laboratorio di informatica cercando di eludere i firewall della scuola. E poi arrivo io, apro la porta e mi chiedo se per caso nella borsa non abbia un calmante per sedarli, un anello per domarli, un anello per ghermirli e nel buio incatenarli. Altro che pistole, caro Trump, la vera arma in dotazione agli insegnanti dovrebbe essere quel fucile con cui si sparano i sonniferi agli elefanti. Invece sotto il braccio ho la mia unica arma di distrazione di massa: il libro di letteratura." Quando entra in aula per la prima volta, Valentina è Quella Nuova e ha davanti ventotto futuri meccanici: c'è uno che si rifiuta di togliere gli auricolari e un altro che messaggia con la tipa; c'è Amebo che fissa il vuoto con aria indifferente; Piallato steso sul banco per nascondersi; il Trucido che ingurgita un panino al tonno. Siamo a settembre, ma l'anno scolastico sembra già lunghissimo. Eppure i giorni passano: passano sempre. E, tra petardi esplosi in cortile e turbolente gite all'Expo, capitano momenti di inaspettata meraviglia, in cui gli studenti abbassano la guardia e scelgono di fidarsi. Sono i momenti raccontati in questo libro, che ci riporta tra i banchi con lo sguardo amorevole e profondamente ironico di una prof davvero speciale. E ci ricorda che i ragazzi, se tendi loro la mano, sanno stupirti come nessun altro.
Appaiono in questo libro duecento personaggi eccezionali: personaggi-monumento (come Zita, l'ultima imperatrice d'Absburgo, il grande poeta americano Ezra Pound, la moglie di Brecht), personaggi tragici (come il padre di Anna Frank, l'intermediaria corrotta delle carceri di Bangkok, l'ultimo capo dei Sioux in Dakota, narratore di antichi massacri). Personaggi archetipi della cultura del secolo appena trascorso, grandi intellettuali, grandi romanzieri e poeti, artisti isterici e geniali (come Andy Warhol e altri come lui); Parenti Terribili (come la figlia di Picasso, la nipote di Pessoa, il figlio dell'amante inglese del Negus). Tanti brevi racconti tenuti insieme, in un solo grande racconto, dai fili incrociati del dramma e dello humour.
Pino Ravera, 52 anni, ingegnere, alto dirigente nel settore dell’elettronica, una moglie, Silvia, e due splendidi figli alle soglie dell’adolescenza. Pietro Quarenghi, 52 anni, brillante chirurgo, scapolo impenitente e assiduo lavoratore, sempre sulla breccia, sempre disponibile. Un mal di stomaco che si fa insistente. Gli esami di routine. La diagnosi. Pino e Pietro hanno entrambi un cancro all’esofago. “Una sentenza molto vicina alla pena capitale” pensa Pietro, che sa bene di cosa si tratta. Pino, sostenuto dall’amore di Silvia e dei figli, intraprende l’iter terapeutico indicato dai medici: intervento chirurgico, chemioterapia, radioterapia… Pietro no, Pietro decide che vuole vivere con pienezza il tempo che gli resta: lascia tutto, si dota dell’armamentario necessario a lenire a se stesso le sofferenze causate dal progredire della malattia e parte per Los Roques, paradiso nel mar dei Caraibi. Pino ancora non sa a quanti compromessi e umiliazioni lo costringeranno le cure; sa che vuole vivere, costi quel che costi. Pietro ancora non sa quanto l’amore per la vita sia forte e radicato in lui, e quanto sarà difficile abbandonarsi al destino come un’onda al moto del mare – quel mare scintillante che custodisce il segreto della sua felicità perduta. Pino e Pietro: un destino, due scelte opposte.
Nelle lettere dei protagonisti di "Posta prioritaria" si scopre una commedia umana fatta di gelosie, amori, ambizioni, affetti dove tutti dovranno conoscersi, scontrarsi e ferirsi per scoprire finalmente il proprio destino. Un romanzo corale che lascia sconcertati e smarriti come può accadere davanti a uno specchio. In questa nuova edizione le storie inedite "Raggio di sole", "Ma se ghe pensu", "Il custode, Ama il prossimo tuo" e quelle della nuova sezione "Il tempo passa", "West African Lion", "Messaggi nella teiera" e "Adiòs".
"C'è voluto un inverno per riordinare questi quaderni di appunti, così come scorrono, rivivendoli in un calendario, gli impegni e i problemi rimandati e non risolti dell'anno passato. Gli appunti si inseguono senza alcuna pretesa sistematica, ma, nonostante possano talvolta apparire tra loro slegati, rimandano in negativo, come una radiografia l'immagine del corpo, l'immagine dell'esistenza umana: fanno vedere tutto ciò che non si vede mai, ma che quotidianamente, invisibilmente, inconsciamente, ci portiamo appresso svegli o nel sonno". Così l'autore presenta gli appunti raccolti in questo libro che, partendo da uno spunto di attualità, da una ricorrenza liturgica, da un ricordo, da un sogno sollevano domande e suggeriscono risposte ai grandi temi del dolore, dell'amore, della solitudine, della gioia. Un avvincente romanzo di parole e di pensieri. Il diario in pubblico di un inconfondibile scrittore.
"Qualcuno crede di declassarmi sostenendo che nella mia vita pubblica io propendo per il pragmatismo e mi mostro refrattario alle grandi programmazioni. Di più: poiché indulgo nell'uso di frasi scherzose e sono allergico a ogni genere di discorsi e concetti complicati - che, del resto, sono stati bollati come 'politichese' -, c'è chi mi guarda con sufficienza, quasi scandalizzandosi intellettualmente a causa di un mio presunto gusto per le battute. Non voglio davvero far assurgere il mio metodo a canone di comportamento da imitare. Nè oso riferirmi al 'castigat ridendo mores' o alla leggenda aurea secondo cui il tempo è moneta ...". - Dall'introduzione (Giulio Andreotti).
In copertina: Matrimonio mistico di san Francesco d’Assisi e madonna Povertà (1440-’60), dipinto su tavola attribuito a Domenico Veneziano (Domenico di Bartolomeo). München, Alte Pinakothek, Bayerische Staatsgemäldesammlungen
Gli Atti contenuti in questo volume fanno parte di un progetto di ricerca sulla storia delle parole nella nostra tradizione letteraria, avviato nel 2004 presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Nei Colloqui si pone al centro dell’attenzione un lemma significativo trascelto nell’ampio corpus della letteratura italiana.
I cinque precedenti appuntamenti furono dedicati a illusione, ordine, silenzio, unità, fortuna; il sesto Colloquio, tenuto a Napoli nei giorni 27-29 maggio 2015, è stato intitolato alla povertà. Il metodo d’indagine è rimasto lo stesso adottato nei precedenti incontri: risalire all’uso e alle accezioni del vocabolo dal mondo antico fino a noi, privilegiando lo scandaglio della tradizione letteraria italiana e il suo dialogo con discipline e forme d’arte diverse (dal diritto alla sociologia, dalla musica al cinema), non solo europee. Attraverso la voce di venti studiosi, è stata cosí restituita l’inedita, originale narrazione della parola e dei contesti che l’hanno nominata: dalle Beatitudini a san Francesco, da Petrarca ad Alberti, da Machiavelli a Tasso fino al Lazarillo de Tormes e a Giulio Cesare Croce. Inoltre il lemma povertà è stato analizzato in Pagano, Leopardi, Verdi, Pascoli, Verga; un termine che poi, nel Novecento, si impone nella poesia, nella narrativa e nel cinema: dai crepuscolari a Ungaretti, da Capitini a Luzi, Betocchi, Turoldo, Scotellaro, Pasolini, Zavattini, da Bilenchi a Madieri e in maniera particolarmente rilevante nella testimonianza religiosa, come mostra il saggio sul teologo Arturo Paoli, e nella riflessione filosofica e giuridica.
Se nell’arco di secoli di vita del nostro idioma il dibattito sulla povertà appare minoritario e di fatto è rimasto fino alla metà circa del XX secolo un argomento poco presente alle culture dominanti, dalla lettura del libro emerge la ricchezza di interpretazioni di una parola che ci attraversa, che per aspetti diversi ha sollecitato le varie forme dell’arte e sta misurando la storia della nostra civiltà.
Silvia Zoppi Garampi
è professore ordinario di Letteratura italiana all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha curato edizioni di testi di Erizzo, Pagano, Croce (Ed. Nazionale), Ungaretti, Gadda. Tra i suoi ultimi libri, Le lettere di Ungaretti. Dalle cartoline in franchigia all’inchiostro verde (Salerno Editrice, 2018) e Ungaretti (« Grandangolo Letteratura », vol. 15, 2018). Dal 2004 coordina nel suo Ateneo i Colloqui internazionali di Letteratura italiana e ne cura gli Atti pubblicati dalla Salerno Editrice.
Fiabe di reginelle e di re, fate e animali, giganti e mammedraghe, diavoli e maghi; storie di sciocchi e furbi, megere ed eremiti, amori e dispetti, astuzie e ruberie, botole e sotterranei, travestimenti e fughe; e poi ancora giardini e fontane, fichi e melagrane, sale e zafferano, olio e basilico, ricotta e sangue... Ben 300 fiabe a fronte delle 200 messe insieme dai fratelli Grimm, per citare l'esempio più illustre. Pochi lo sanno, infatti, ma la raccolta di storie orali più ricca ed estesa che l'Italia abbia mai avuto la si deve a Giuseppe Pitrè, una figura straordinaria di medico e folklorista, che a bordo di un calesse le andò a raccogliere una per una dalla viva voce dei popolani di mezza Sicilia. Non a caso nel 1956, quando Calvino raccolse dai repertori di ogni regione le 200 Fiabe italiane a suo giudizio più belle e rappresentative, ben 40 le attinse proprio all'opera di Pitrè - da Giufà a La volpe Giovannino, da Rosmarina a Cola Pesce. Eppure, a meno dell'incursione calviniana, questa raccolta è a tutt'oggi pressoché sconosciuta al pubblico italiano, poiché Pitrè aveva scelto di trascrivere le fiabe nel dialetto siciliano ottocentesco in cui gli erano state raccontate da quei popolani, e così facendo le aveva rese indecifrabili ai lettori italiani. Dopo quasi un secolo e mezzo, questa edizione, introdotta dal massimo studioso internazionale della fiaba, Jack Zipes, e illustrata da Fabián Negrin, è la prima traduzione integrale in italiano moderno delle fiabe di Pitrè.
Primi anni Settanta. A pancia in giù e sollevato sui gomiti, un ragazzino legge su una rivista frasi impenetrabili, rabbiose, attraenti. Sono tutte di Pier Paolo Pasolini. Il tempo passa e, quasi inavvertitamente, dentro quel bambino che oggi è uno scrittore sedimenta qualcosa di profondo: non è solo la passione per la parola, è l'istinto di un mestiere. "Seguire quello che succede, immaginare quello che non si sa o che si tace, rimettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari, ristabilire la logica dove regnano l'arbitrarietà, la follia e il mistero." Perché il Pasolini che ci parla dalle pagine di questo libro non è il poeta né il letterato, è quello della narrazione civile, lo stesso che confessò di sapere e che è stato assassinato. È proprio lì che torna Carlo Lucarelli, agli anni più violenti della nostra storia recente, ai pestaggi, ai morti ammazzati e alle stragi. Torna al Pasolini intellettuale e all'odio che lo circondava. Attraverso un tessuto di impressioni intime, analisi politiche e ricostruzioni storiche, torna a quella notte di novembre del 1975 in cui si è consumato un delitto comunque politico. Ciò che resta, una volta disintegrata la versione ufficiale e rimessi in ordine i fatti, è la certezza di trovarci di fronte a un Segreto Italiano.