
«Mi chiamo Gabriele, come l'arcangelo» aveva detto, «ma qui in Germania è un nome da donna. Il tuo invece che razza di nome è?» Galla si chiama così in onore dell'imperatrice Galla Placidia: «Darmi quel nome è stato uno dei pochi gesti coraggiosi di mia madre». Da quando è stata lasciata dal marito, improvvisamente e senza spiegazioni, passa le giornate sul divano a fissare la magnolia grandiflora del cortile, fantasticando di buttarsi dal balcone per sfuggire a un dolore insopportabile di cui si attribuisce ogni colpa. Esce di casa solo per vedere la psicanalista Anna Del Fante o per andare in carcere. «Da quando Doug mi ha lasciata sto bene solo dentro. Canto con altre dieci volontarie in un coro di detenuti tossicodipendenti. Anche io devo disintossicarmi.» Durante il primo viaggio da sola, a Monaco di Baviera, entra per caso in un museo dove è allestita la mostra della pittrice tedesca Gabriele Münter. Galla, che da ragazza studiava arte, ricorda solo che la Münter era nel gruppo del "Cavaliere Azzurro" con Vasilij Kandinskij. Ma quel giorno le sue opere «così piene di colore e prive di gioia» la ipnotizzano. Da quel momento la voce di Gabriele entra nella vita di Galla: la tormenta, la prende in giro e intanto le racconta la sua lunga storia d'amore con Kandinskij, così simile a quella di Galla con Doug. Mentre il dialogo tra le due si fa sempre più animato, la strada di Galla incrocia quella di altri due pazienti di Anna Del Fante: Bianca, un'adolescente che non riesce più ad andare a scuola, e Nicola, seduttore compulsivo e vittima di attacchi di panico. Le imprevedibili conseguenze di questo incontro potrebbero cambiare le vite di tutti e tre. Una storia a tratti comica e a tratti struggente, che mescola leggerezza e profondità, grazia e tenerezza, esplorando il nostro rapporto con il dolore, che è poi il nostro rapporto con noi stessi.
C'è un poeta che conosce gli alberi. Li cerca per i boschi e le foreste di tutto il mondo, li studia, li ascolta. E poi scrive libri come questo. A chi gli chiede come sta risponde sempre la stessa cosa: "Mi distendo nel paesaggio". È un uomo raffinato e autentico/malinconico come forse lo sono alcuni alberi. Dopo aver scritto libri per cercatori d'alberi secolari e raccolte di poesie, Tiziano Fratus coniuga per la prima volta la sua competenza naturalistica e la sua potenza letteraria. Il suo alter ego Silvano, che ha maturato in vita quattrocento milioni di respiri e un miliardo e mezzo di battiti del cuore, accompagna il lettore in una camminata dentro un bosco, quello che lui chiama "il Magistero del Disordine". Incontra qualche rara persona: "Abitanti di una vita diversa, gente che spezza il pane senza dire una parola". E poi castagni, cervi volanti, foglie, ruscelli. Da ciascuno di loro trae spunto per una meditazione, una visione, un volo del pensiero. "Ogni albero è un poeta" è un libro in cui addentrarsi come in un bosco. Nel quale camminare con lo spirito in pace, ma pronti a ogni passo a farsi sopraffare dalla meraviglia. Pronti a sentirsi affondare le radici dentro la terra, a innalzare le fronde al cielo.
Descrizione
"Ogni angelo è tremendo" è la storia di una bambina che diventa adulta. Che nasce di notte, a Trieste, mentre soffia una bora nera che spazza via ogni cosa e rende ogni equilibrio impossibile. Di una bambina che cresce in una famiglia in cui sembra sia soffiato quello stesso vento impetuoso dell'est. Di una bambina che impara presto a riconoscere i vuoti che la morte lascia, quei vuoti che somigliano tanto agli abbandoni che la stessa bambina deve subire, da parte di un padre e di una madre desiderati e imprendibili. Di una bambina che non dorme mai, e fa (e si fa) molte domande, a cui nessuno sembra voler o poter dare risposte. Ma è anche la storia della scoperta del mondo e della sua bellezza, della natura e delle sue forme. Di una bambina che si fa ragazza e si apre ai primi palpiti di amore e amicizia, ai sussulti dei poeti e degli scrittori. È la storia di una ragazza che scende a rotta di collo le scale di casa, la notte in cui il terremoto irrompe. È la storia della scoperta della grande città, Roma, e del terrorismo e, finalmente, del potere della scrittura e dei libri. Quella bambina, quella ragazza, quella donna è Susanna Tamaro, che ci consegna il suo libro più intimo e coraggioso. Una autobiografia che è anche romanzo di formazione e inno alla vita nonostante, dentro (e forse grazie a) ogni sua oscurità.
"Ogni angelo è tremendo" è la storia di una bambina che diventa adulta. Che nasce di notte, a Trieste, mentre soffia una bora nera che spazza via ogni cosa e rende ogni equilibrio impossibile. Di una bambina che cresce in una famiglia in cui sembra sia soffiato quello stesso vento impetuoso dell'est. Di una bambina che impara presto a riconoscere i vuoti che la morte lascia, quei vuoti che somigliano tanto agli abbandoni che la stessa bambina deve subire, da parte di un padre e di una madre desiderati e imprendibili. Di una bambina che non dorme mai, e fa (e si fa) molte domande, a cui nessuno sembra voler o poter dare risposte. Ma è anche la storia della scoperta del mondo e della sua bellezza, della natura e delle sue forme. Di una bambina che si fa ragazza e si apre ai primi palpiti di amore e amicizia, ai sussulti dei poeti e degli scrittori. È la storia di una ragazza che scende a rotta di collo le scale di casa, la notte in cui il terremoto irrompe. È la storia della scoperta della grande città, Roma, e del terrorismo e, finalmente, del potere della scrittura e dei libri. Quella bambina, quella ragazza, quella donna è Susanna Tamaro, che ci consegna il suo libro più intimo e coraggioso. Una autobiografia che è anche romanzo di formazione e inno alla vita nonostante, dentro (e forse grazie a) ogni sua oscurità.
"Cos'è, per te, la famiglia?" È da una domanda che Nicolò Govoni è partito per scrivere queste cinque storie ambientate nelle fumanti megalopoli del Kenya, tra le macerie della Siria, nelle profondità delle miniere in Congo, in un campo profughi in Grecia e anche là dove non ci saremmo aspettati di vedere arrivare scontri e violenza, così vicini alle porte di casa. Racconti con protagonisti quei bambini e quelle bambine a cui Nicolò sta dedicando la vita, e che ci portano in mondi dove la protezione e la normalità sono ancora privilegio di pochi. Così, entriamo nella vita di Njoki, che aspetta il ritorno di sua sorella in fuga per un amore osteggiato dalla comunità; leggiamo la lunga lettera che Wasim, nella sua prima notte da clandestino per evitare l'arruolamento, scrive alla sorellina Isra con i suoi sogni di piccola calciatrice; vediamo Musa, l'unico albino del suo villaggio, schivare le angherie dei coetanei che lo additano come il figlio di una strega; seguiamo Nur mentre cerca il suo cane scomparso nel campo profughi che divide con altri fuggitivi anche loro senza più una casa; e ascoltiamo come Khal e i suoi compagni hanno in mente di cambiare il loro mondo un pezzo alla volta, iniziando dalle tende che ora li ospitano. Nicolò Govoni torna con un libro potente e delicato, che ci ricorda come la distanza non è importante quando si tratta di crescere e diventare adulti insieme, e di come, in un mondo dove a volte sembra impossibile sognare, lo sguardo e la voce di un innocente possono avere tutta la forza necessaria per costruire il domani.
Vince Corso è un biblioterapeuta. Precario più per nascita e per vocazione esistenziale che per condizione sociale, un giorno ha scoperto le doti curative, per l'anima e per il corpo, dei libri e ne ha fatto la propria professione. Si rivolge a lui una bella sessantenne: ha un fratello malato di Alzheimer che, nel marasma della sua mente, da qualche tempo ripete delle frasi spezzate, sempre le stesse, senza alcun legame tra di loro. Era stato uno studioso di fama e un lettore vorace, un amante delle lingue, un ricco collezionista di volumi, quelle parole potrebbero essere citazioni da un romanzo. «E solo un'ipotesi, ma se questo libro esiste, ci terrei a sapere qual è. E se lei lo trovasse, potrei leggerglielo a voce alta, qualche pagina al giorno». Il biblioterapeuta si mette al lavoro, con una domanda che lo assilla: se avessi perso tutto, e ti venisse concesso di salvare un solo ricordo, quale sceglieresti? Ha diversi enigmi da risolvere, mediante tecniche per decifrare e interpretare i testi, attraverso psicologie di identificazione con possibili autori, ricerche di biblioteca in biblioteca, incontri fortuiti e rivelatori. Un'avventura che lo guida a una soluzione che proprio innocente, come all'inizio appariva, non sarà. Intanto scruta i luoghi, fa sedute di biblioterapia con pazienti nuovi e inaspettati, scopre l'odio che è tornato ad attraversare i quartieri e la società. Ed è come una ricerca nella ricerca, un romanzo nel romanzo. Perché Vince è un camminatore, un esploratore di spazi e di persone: itinerari, spazi e persone che lo rimandano senza tregua a coincidenze con i momenti della letteratura di cui è vittima e complice, quasi come un prigioniero felice. Ma dominato da un bisogno inesauribile: trovare la linea di confine tra la vita e i libri e forse superarla, perché sempre di più è attratto dalle passioni, dalle paure e dalle gioie di uomini e donne in carne e ossa.
I lunghi capelli di Argentina, un tempo corvini, ormai sono percorsi da fili argentei, ma i suoi occhi non hanno smesso di brillare. Perché Argentina, a ottant'anni, si sveglia ancora come fosse bambina, mentre attende con ansia quella sorpresa che le cambierà la giornata. Quella sorpresa che nasconde un segreto da non rivelare a nessuno. A scoprirlo è Arianna, che a sedici anni si sente goffa e insicura come se non ci fosse un posto giusto per lei nel mondo. È felice solo quando è circondata dai libri. Le loro pagine sono capaci di portarla lontana dai suoi genitori e dai suoi compagni di scuola che non la capiscono. Essere costretta a fare compagnia ad Argentina è l'ultima cosa che avrebbe voluto. Soprattutto perché quest'ultima, burbera e autoritaria, dice sempre quello che pensa. Ma quando Arianna fa luce sul mistero di quelle lettere che riescono a portare un sorriso sul viso di Argentina, tutto cambia. Qualcosa di forte inizia ad unirle. Perché quelle righe custodiscono una storia e un ricordo d'amore. La storia di Argentina, ancora ragazza, e di Rocco che con un solo sguardo è stato capace di leggerle l'anima, facendo vacillare le sue certezze di sposa promessa. La storia di un sentimento cresciuto sulle note di una poesia tra i viottoli e gli scorci di un piccolo paese. Un paese di cui Argentina ricorda perfettamente gli odori, i sapori, le voci delle feste in piazza. Un paese dove non è più tornata. Ma Arianna è lì per darle il coraggio per affrontare un viaggio che la donna desidera fare...
La percezione della bellezza e dell'armonia apre alla gioia, eppure i nostri giorni sono sordi, l'uomo contemporaneo è affetto da "grandi inquietudini spirituali" e incline ad "agghiaccianti fanatismi". Susanna Tamaro, in questa raccolta di scritti nati in occasioni diverse, si interroga sulle ragioni della mancanza di stabilità e di pace, si chiede perché viviamo immersi e storditi dal fracasso. "Il silenzio è morto e, scomparendo, ha trascinato con sé tutto ciò che costituisce il fondamento dell'essere umano." Ma come cogliere il mistero, lo splendore della vita se non sappiamo rinunciare alla sicurezza degli oggetti, se non riusciamo a insegnare ai giovani che il frastuono impedisce un vero dialogo? Con una nuova introduzione dell'autrice.
«Sara se n'è andata via il giorno in cui è finita la scuola. L'estate si è spalancata all'improvviso: ha inghiottito i miei bambini tutti insieme, ha svuotato la mia casa e io sono rimasto lì, una macchina sul ciglio di un burrone».
Ogni sera Pietro si china sulla pancia di Sara per sapere se dentro c'è qualcosa che nasce, e ogni sera lei, toccandosi il ventre, aspetta di poter dare un nome al loro futuro insieme. Ma la speranza rimane un'attesa, e l'attesa spacca tutto come una crepa nel muro. Fino a quando ogni cosa si sfalda e sul tavolo della cucina resta soltanto un foglio, o meglio una bomba che si prepara a esplodere. «Telefonato tua madre, è morto Mario». E poco sotto una domanda scritta di fretta: «Mario?» Mario è il nonno di Pietro, ma più che un parente è lo scheletro nell'armadio di una famiglia e di un paese intero. Tornato folle dalla campagna di Russia, vissuto dentro una clinica eppure morto per tutti, per lui la guerra non è mai finita. Ora fa la sua comparsa morendo per davvero, come un fantasma molto terreno che ha lasciato troppe domande dietro di sé.
L'estate si apre quel giorno con un duplice addio, spalancata come una casa vuota e piena di strade possibili. La prima è un viaggio a ritroso, con in tasca il peso di un segreto che Pietro e Sara si sono nascosti tanto a lungo da non poterlo dimenticare.
La seconda è un viaggio sul Don, carico di tutte le storie che Mario non ha mai raccontato: un percorso lungo quasi settant'anni, alla ricerca vana di una Russia che non c'è più, come provare a tuffarsi nelle acque del 1943.
Sono i ricordi degli altri che dentro di noi non trovano appiglio, come promesse tradite dal tempo. Con una scrittura tesa e tersa fino alla poesia, Andrea Bajani ci racconta la responsabilità e la difficoltà di ricordare. La memoria è una trama forata, i fili si slacciano e si disperdono nell'ordito di una realtà vissuta al presente.
Ma è proprio lì, tra le omissioni e le mancanze, che forse si annida un senso. Lungo quelle strade deviate, dove si affacciano risposte impreviste a domande mal poste.
È un viaggiare lento, quello dell'Intercity che da Palermo conduce a Roma, un viaggiare d'altri tempi, interrotto dalle frequenti fermate alle stazioni, dai passeggeri che salgono e scendono, chiacchierano e bisticciano, si addormentano o, nella traversata dello Stretto, lanciano gli oggetti vecchi in mare. È per questa lentezza che Paride Bruno ha scelto di tornare con il treno che prendeva vent'anni prima, da ragazzo, per godersi la vita che turbina intorno a quei viaggi lunghi - la coppia siciliana che litiga per le parole crociate, la ragazza spaventata e sola che cerca compagnia, il ragazzino dallo sguardo intelligente -, e soprattutto per prendersi il tempo di rileggere la pesante cartellina che porta con sé. Contiene i suoi molti tentativi di romanzo, tutti interrotti al primo punto fermo, perché Paride Bruno ha cercato di cimentarsi in ogni genere e stile, senza però mai riuscire a sceglierne uno, a portare a termine l'opera e potersi così dire scrittore. "Sono un tipico esempio di come agisca in maniera diffusa lo spirito incerto e schizoide dei tempi, per cui, mentre sto appena vivendo un'esperienza, mi sento accerchiato da tutte le cose che in quello stesso istante sto perdendo. E migro. Trasmigro." Ma proprio questi tanti cominciamenti finiscono per disegnare con precisione la figura del protagonista: in ognuno degli incipit è contenuta una scheggia della sua vita, delle sue ossessioni, delle sue paure e dei suoi desideri. Ogni ricordo un fiore. Tappa dopo tappa, fra una chiacchierata e un sogno, incipit dopo incipit, Paride Bruno sembra riconciliarsi con la sua incompiutezza, con quello "svolazzo di pagine sparse" che è, in fondo, la vita stessa.
Tra realismo grottesco e thriller psicologico sette racconti sull'industria culturale, critici, sarcastici, che idealmente si ricollegano alla visione polemica di Sull'orlo del precipizio contro il cinismo e la speculazione che minacciano la libertà dei libri; ma in essi soprattutto si sente l'inventiva di un grande scrittore e la capacità di attrarre e imprigionare nella purezza del raccontare.
L'amore salva? Quante volte ce lo siamo chiesti, avvertendo al tempo stesso l'urgenza della domanda e la difficoltà di dare una risposta definitiva? Ed è proprio l'interrogativo fondante che Alessandro D'Avenia si pone in apertura di queste pagine, invitandoci a incamminarci con lui alla ricerca di risposte. In questo libro incontriamo anzitutto una serie di donne, accomunate dal fatto di essere state compagne di vita di grandi artisti: muse, specchi della loro inquietudine e spesso scrittrici, pittrici e scultrici loro stesse, argini all'istinto di autodistruzione, devote assistenti, o invece avversarie, anime inquiete incapaci di trovare pace. Ascoltiamo la frustrazione di Fanny, che Keats magnificava in versi ma con la quale non seppe condividere nemmeno un giorno di quotidianità, ci commuove la caparbietà di Tess Gallagher, poetessa che di Raymond Carver amava tutto e riuscì a portare un po' di luce nei giorni della sua malattia, ci sconvolge la disperazione di Jeanne Modigliani, ammiriamo i segreti e amorevoli interventi di Alma Hitchcock, condividiamo l'energia quieta e solida di Edith Tolkien. Alessandro D'Avenia cerca di dipanare il gomitolo di tante diversissime storie d'amore, e di intrecciare il filo narrativo che le unisce, in un ordito ricco e cangiante. Per farlo, come un filomito, un "filosofo del mito", si rivolge all'archetipo di ogni storia d'amore: Euridice e Orfeo. Un mito che svolge la sua funzione di filo (e in greco antico per indicare "filo" e "racconto" si usavano due parole molto simili, mitos e mythos) perché contempla tutte le tappe di una storia d'amore, tra i due poli opposti del disamore (l'egoismo del poeta che alla donna preferisce il proprio canto) e dell'amore stesso (il sacrificio di sé in nome dell'altro). Ogni storia è una storia d'amore è così un libro che muove dalla meraviglia e sa restituire meraviglia al lettore.