
Un romanzo-verità sulla tormentata vita del poeta Dino Campana (Marradi 1885 - manicomio di Castel Pulci 1932). Frutto di un lungo e accurato lavoro di ricerca, l'appassionato libro di Vassalli illumina l'esemplarità di un destino tragico e ristabilisce alcune verità biografiche su un poeta maledetto la cui gloria postuma va crescendo. Questa vita di un reietto allucinato, in contrasto perenne con la cultura del suo tempo, riafferma la propensione dell'opera di Vassalli a occuparsi di eresie culturali e storiche (i futuristi de L'alcova elettrica, la strega de La chimera), non per indulgere in sterili ricostruzioni storico-biografiche, ma per sottolinearne la sorprendente attualità e verità. «Ma se Dino Campana non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest'uomo meraviglioso e "mostruoso", ne sono assolutamente certo. L'avrei inventato cosí ».
Il racconto Natale a Marradi, che chiude questa nuova edizione del volume, rende completa e definitiva l'indagine di Vassalli.
Pubblicati dopo la morte di Pavese, questi brevi racconti contengono tutti i temi che ritorneranno approfonditi e rinnovati nei romanzi: l'amara solitudine del prigioniero, l'incanto primitivo della campagna e quello tutto particolare della periferia di città, le aspirazioni fallite degli intellettuali e le inquietudini del mondo borghese. Con uno stile limpido, un linguaggio sobrio, una narrazione tesa, Pavese riesce a restituire la sofferta realtà della condizione umana senza lasciare spazio a ingenue e illusorie speranze.
Lucio Cornelio è un giovane patrizio romano, amante delle corse di cavalli e provetto auriga. Si è sempre tenuto lontano dagli intrighi di palazzo, ma rischia di rimanere invischiato nella congiura ordita contro Augusto dai dissoluti amici di Giulia, nipote dell'imperatore. In realtà, i nemici di Lucio vogliono coinvolgerlo solo perché mirano al suo ingente patrimonio. Lucio è costretto a scappare e ripara in Germania dal suo amico Arminio, principe dei Cherusci. Arminio era stato educato a Roma e aveva combattuto spesso, al fianco dei romani, contro altre tribù germaniche. Solo che Lucio non poteva capitare nel momento più sbagliato. Perché Arminio sta preparando una colossale sollevazione contro i romani, quella che porterà alla più sanguinosa sconfitta mai subita dalle truppe imperiali: la battaglia di Teutoburgo.
Un amore lungo una vita, una vita lunga una notte. Tommaso ha desiderato Hella, ogni giorno della sua esistenza, senza mai riuscire ad averla; ha osservato Hella di nascosto, spiandola da dietro le tende di una finestra, e ha riavvolto mille volte il nastro della memoria rivedendola, silenziosa, candida e misteriosa, nel rifugio antiaereo che avevano condiviso. Poi la vita fa a Tommaso un dono inatteso: una notte accanto a lei. Ed è proprio durante questa fugace, lunghissima notte che Tommaso si trova a ripercorrere tutta la propria esistenza. Famoso giornalista e poi presidente di una fondazione scientifica, rivede se stesso dagli anni dell'infanzia - nella Roma bombardata e poi occupata - all'adolescenza - nello scenario euforico della ricostruzione postbellica e del boom economico - fino all'affermazione professionale maturata in un'Italia progressivamente irriconoscibile e tormentata dai conflitti politici e sociali del secondo Novecento. In quelle ore trascorse finalmente insieme, Hella lo incalza con pochi e asciutti interrogativi, quasi gli chiede conto della sua vita e dei suoi ricordi. Tommaso risponde e, scoprendosi senza reticenze, spera di poter infine cogliere l'ossessivo mistero di quella donna, che ha abitato i suoi pensieri e la sua mente per tutta una vita. Mario Caccavale si mostra ancora una volta capace di andare dritto al cuore di uomini e cose, e traccia il ritratto quanto mai attuale di un uomo solo in un Paese dai mille volti.
Il respiro di tua figlia che ti dorme addosso sbavandoti la felpa. Le notti passate a lavorare e quelle a vegliare le bambine. Le domande difficili che ti costringono a cercare le parole. Le trecce venute male, le scarpe da allacciare, il solletico, i "lecconi", i baci a tutte le ore. Sono questi gli istanti di irripetibile normalità che Matteo Bussola cattura con felicità ed esattezza. Perché a volte, proprio guardando ciò che sembra scontato, troviamo inaspettatamente il senso di ogni cosa. Padre di tre figlie piccole, Matteo sa restituirne lo sguardo stupito, lo stesso con cui, da quando sono nate, anche lui prova a osservare il mondo. Dialoghi strampalati, buffe scene domestiche, riflessioni sottovoce che dopo la lettura continuano a risuonare in testa. Nell'"abitudine di restare" si scopre una libertà inattesa, nei gesti della vita di ogni giorno si scopre quanto poetica possa essere la paternità.
Marcello è cresciuto nelle baracche lungo la fiumara di Marrani, alla periferia di Reggio Calabria, ed è alla fiumara che da bambino passa i pomeriggi. Tra carcasse di auto, elettrodomestici rotti e confezioni di caramelle scadute, in quella discarica a cielo aperto la sua fantasia trasforma tutto in gioco. È lí che porta il suo cane pieno di zecche, che sfoglia riviste porno, che si nasconde quando la madre lo fa arrabbiare. A casa non c'è nemmeno il bidet e lui dorme nel letto dei genitori: il padre zappa, e la madre, personaggio indimenticabile, per quanto ci provi non riesce ad arginare le sue rivolte; di sette figli, è proprio il piccolino a dare più problemi. Comico e tragico si fondono nelle avventure di questo ragazzino sedotto e spaventato dalle cattive compagnie, troppo povero per sognare un riscatto, ma così capace di meraviglia che non può non cercarlo con tutto sé stesso.
Alla morte del padre, il protagonista-scrittore ritorna al paese natale. Atterrato all'aeroporto di Catania, prende la strada per raggiungere Mineo. E se il territorio attraversato dal narratore quello reale, pure è trasfigurato in un alternarsi di boschi e valli animati da una moltitudine di uccelli e da una vegetazione fitta di erbe e alberi rari. Ecco che allora il viaggio si trasfigura in un pellegrinaggio fantastico: radunatisi sull'altura del castello che sovrasta il paese, amici, parenti, maghi al chiarore della luna si mettono alla ricerca del "tanatouccello" l'umano-animale in cui sono trasmigrati i simulacri del padre. Diviso il territorio in cinque settori, le squadre si mettono al lavoro e su consiglio di alcuni dotti del paese si tenta l'esperimento di innestare un corpo umano, quello del piccolo Diofar, nella corteccia di un albero per stabilire una corrispondenza con l'uccello. Ma l'impresa fallisce mentre la madre del piccolo, Aramea, disperata corre nel bosco sino a dissolversi ai piedi un carrubo.
Nel 1916, ferito a un occhio e costretto a indossare una bendatura che lo condanna a una temporanea cecità, D'Annunzio scrive il "Notturno" "con il capo riverso, un poco più in basso dei piedi"; per farlo si affida a sottili striscioline di carta, le "liste sibilline", poi raccolte, risistemate e pubblicate nel 1921. L'opera - spiega Elena Ledda nella prefazione -"sembra fondata su una sorta di sovrapposizione fantastica e allucinatoria di tre piani temporali che vicendevolmente si scambiano: il presente della scrittura e della malattia, il passato recente degli episodi di guerra, il passato remoto dei ricordi d'infanzia, della terra d'Abruzzi e della madre. E pochi ma essenziali sono gli elementi attorno ai quali si sviluppa questa narrazione frammentata: la morte, la guerra, la cecità, la donna".