
Felice Lasco torna a Napoli, nel Rione Sanità, dopo quarantacinque anni trascorsi fra Medio Oriente e Africa. La madre sta morendo e lui la accudisce fino all'ultimo con tardiva ma amorosa pazienza. Poi, invece di tornare al Cairo dove lo aspetta l'amata compagna, Felice sembra obbedire al richiamo delle radici e di un destino, e resta. Resta perché in attesa dell'incontro fatale con Oreste, noto ormai come delinquente incallito. Felice racconta a un medico dell'ospedale San Gennaro dei Poveri e a don Luigi Rega, prete combattivo e maieuta, la sua storia. Un'opera nella quale Ermanno Rea intreccia la lucidità del reale e la sensibilità drammatica della tragedia sociale. Un omaggio alla Napoli malavitosa e ribelle del Rione Sanità, ai suoi eroi, alle sue vittime.
«Sai perché siamo un popolo nomade?», chiese il nonno Nacor al piccolo Abram. «Perché abbiamo nostalgia di casa», continuò sorridendo, mentre osservava il volto stupito di suo nipote. «Cos'è la nostalgia, nonno?» «La nostalgia è quando ti manca qualcosa che ami». «Andremo a casa?», chiese Abram. «Sì, piccolo mio». «E dove si trova?» «La nostra casa è il cuore di Dio. In ogni altro luogo, noi saremo sempre degli stranieri». È la nostalgia dell'Infinito, desiderio che abita il cuore di ogni donna e uomo, a spingere Abram oltre se stesso, oltre la sua terra, oltre ogni certezza acquisita. È quel desiderio di Infinito a rendere la sua avventura umana una delle pagine più cariche di umanità, nella sua ricchezza e nella sua fragilità. Una delle pagine capaci di parlare al cuore di uomini e donne di oggi.
Nell'autunno del 1869, Orta è un borgo tranquillo e forse intorpidito, solo con un fremito di animosità verso i forestieri. Ci vive Enrico Costa, detto il Francesino, ultimo figlio di una famiglia proprietaria squassata dalla disgrazia; vi soggiorna Dostoevskij, in cerca di un riparo dall'assillo dei creditori; vi scorrono le esistenze immutabili di tanti, ciascuno con la smorfia tipica del volto che svela a tutti carattere e destino, ciascuno tormentato da qualcosa di indicibile. Perché qui, cinquantasei anni prima, è avvenuto un macabro delitto, di quelli germinati nel torbido di una famiglia e nell'odio di famiglie tra loro. Teodoro Costa, bisnonno di Enrico, è stato ucciso con feroce violenza. Facilmente, la giustizia ha trovato il colpevole nel figlio Demetrio, ghigliottinato dopo un rapido processo. Tornato dalla Francia, Enrico il Francesino non è mai stato ben accolto in paese. Poeta e scrittore, ha sempre avuto il desiderio di scrutare nell'oscurità intorno alla storia dei suoi avi. Inoltre, un rasoio e un messaggio cifrato ritrovati per caso, gli sembrano una combinazione troppo azzardata per non essere un messaggio. Il suo itinerario di verità e di liberazione s'incontra con la curiosità intellettuale di Dostoevskij, che invece è motivato dalll'interrogarsi sulla colpa e sull'odio alla base della sua ricerca spirituale. Lentamente, si apre il velo della storia segreta, che è storia di tante vite che portano il proprio tributo di dolore, ingiustizia e vendetta.
Un venerdì Santo nella chiesa di Nostra Signora della Necessità, il giudice della Corte d'Appello Marcantonio Muscarà viene pubblicamente segnato a dito dal sospetto. I due giovani giornalisti dell'"Ora" sono lì, a sparare flash in faccia. C'è anche la figlia di Muscarà che riconosce in uno dei due un suo vecchio (e amato) compagno di università, e non lo perdona... Intorno a lei Sottile ricostruisce quel "teatro palermitano delle evanescenze" dove si rappresentano drammi e misteri di una borghesia che si crede al riparo da ongi contaminazione e puntualmente si ritrova, legata mani e piedi, dentro il gioco mafioso.
Un'armatura vuota animata da uno spirito invisibile che riesce a farsi accettare tra i Paladini di Carlo Magno, un visconte diviso a metà da una palla di cannone che si scinde in una parte buona e in una cattiva, un barone che, per sfuggire a un rimprovero, si rifugia sopra un albero e passa in mezzo agli alti rami tutta la sua esistenza.
Un uomo sulla soglia dei settant'anni confessa il proprio stato d'animo di fronte al mondo. Lo fa in soliloqui mentre percorre ossessivamente, quasi in un incubo di ripetizione, le strade della sua città, diventata - com'è ricorrente rappresentazione della città della narrativa di Ferriera - una sorta di non luogo imprevedibile e carico di eventi casuali e inspiegabili, comici o disperati, affettuosi o violenti, indifferentemente. Il suo andare è cadenzato da ripetute cadute, un fastidioso continuo inciampare dei passi incerti che fa irrompere il protagonista, osservatore soggettivo, perentoriamente dentro i fatti cui assiste, trasformandolo da narratore a personaggio narrato. I suoi sono pensieri brevi, interrogano dubbiosamente su fatti e situazioni comuni, oppure narrano insignificanti avvenimenti che improvvisamente virano nell'emblematico: in parte considerazioni di un'ispida e incerta saggezza, in parte espressioni di smarrimento infantile, in parte disperate nostalgie e rimproveri al passare del tempo o scintille di speranza nel futuro; in parte sogni, visioni, forse deliri. E in ognuno di essi si sente riecheggiare in effetti la recita dell'assurdo di un grande uomo di teatro, come in un ultimo nastro.
Nel monastero di Santa Radegonda, nella Milano del 1736, vive una ragazza dallo straordinario talento musicale. Il suo nome è Paola Pietra, una giovane contessa in clausura per imposizione dell’illustre famiglia. La voce di contralto, scura e potente, è la sua unica ragione di vita; ma la passione per la musica rappresenta una minaccia per la badessa del convento. Oltre la grata, nel corso delle messe cantate, un diplomatico inglese in missione presso l’arciduca d’Austria nota la sua voce e non la dimentica. Nasce così, da una suggestione del canto, da profumi e immagini rubati, l’amore proibito fra la novizia e sir John Breval, a cui farà seguito la fuga dal convento e un lungo viaggio in terre straniere e in un mare pieno di insidie...
Romanzo d’amore, romanzo d’avventura, romanzo storico (e Marta Morazzoni, come scrive Pietro Citati, «possiede il dono naturale di una narratrice storica»), La nota segreta si dipana fra intrighi diplomatici e colpi di scena. Al centro, un personaggio femminile di sorprendente attualità, che rivendica il proprio diritto a vivere e amare contro ogni imposizione.
È l’atmosfera magica di Samarcanda e di Bukhara a far da sfondo alle vicende variamente drammatiche di Sophie: difficoltà di coppia e intense passioni, un rapimento, una caduta da cavallo, una fuga senza una meta precisa. Ma, al di là degli eventi che la coinvolgono, Sophie è turbata dal confronto di culture in cui è immersa, e vede quanto le immagini che i due mondi hanno l’uno dell’altro finiscano per essere convenzionali e falsate, spesso semplicemente funzionali a imprese di cupidigia e di potere.
GLI AUTORI
Giuliana Morandini è nata a Udine e vive tra Venezia e Roma. Si è occupata del rapporto tra letteratura e psicoanalisi e di scrittura femminile con E allora mi hanno rinchiusa (1977) e La voce che in lei (1980). Ricordiamo poi i suoi romanzi di atmosfera mitteleuropea: I cristalli di Vienna (1978), Angelo a Berlino (1987), Sogno a Herrenberg (1991), Giocando a dama con la luna (1996); presso Marietti ha pubblicato Sospiri e palpiti (2001) Premio Speciale della Giuria -Premio Rapallo 2002.
Negli anni cruciali del Regno delle Due Sicilie, tra Napoli, Palermo e Amalfi, una storia d'amore, di sostituzioni e di identità, una giovane donna scomparsa e il suo doppio che ritorna misteriosamente a intrigare amanti e scienziati di malie e di passioni. La nobile fanciulla Chiara ama il giovane Alessandro, dell'illustre famiglia degli Altomare. Dopo estati trascorse a intrecciare giochi d'amore i due si sposano, ma Chiara presto è uccisa dal vaiolo. A sconvolgere la rassegnazione di chi la pianse e l'isolamento in cui s'è chiuso il suo sposo, compare una donna che alcuni riconoscono come Chiara. Ma chi sia veramente non è dato sapere. Questa incertezza compenetra i destini incrociati e gli interessi contrastanti dei personaggi. La vicenda si snoda su più registri: c'è la testimonianza oggettiva e piana di un narratore. Ma accanto a questa, il diario e le lettere tra il giovane Altomare e un singolare scienziato francese trasformano uomini, cose e avvenimenti in perturbanti fantasmi della mente. Ruggero Cappuccio è scrittore e regista per il teatro e il cinema, e da questo trae una personalissima maniera di immaginare l'intreccio e la sapienza nel far risuonare le sue molte voci come su un vasto palcoscenico.
I portici di Ferrara, un muro, una farmacia. Tanti uomini uccisi per rappresaglia in una notte di dicembre del '43. Ma chi è stato il responsabile di quella strage? Finita la guerra arriva la resa dei conti. Uno solo è testimone, involontario: un farmacista paralitico che quella notte ha assistito all'eccidio dalla finestra che si affaccia sulla via. In questo racconto, tratto dalle "Cinque storie ferraresi" che gli valsero il Premio Strega nel 1956, Giorgio Bassani restituisce al lettore il clima di arbitrio e terrore degli anni cupi della nostra storia.
Credeva di essersi lasciato alle spalle per sempre i giorni dell'arena, della folla urlante, dei gladiatori costretti a combattere come animali da spettacolo. Credeva di aver saldato il conto con il fato. Ma quando il suo mondo di pace viene distrutto e i suoi amici uccisi, comprende che alla violenza non si sfugge. Se un destino di sangue è ciò che gli dei vogliono per lui, sangue sarà, decide Valerio. E da quel giorno, gettata la bisaccia di medico, la spada diventa la sua compagna. Ma non è solo la voce della vendetta a guidarlo. È anche il richiamo di un simbolo, un oggetto che dona invincibiità a chi lo possiede: l'aquila della legione Augusta, scomparsa nella foresta di Teutoburgo nelle ore della disfatta e mai più ritrovata.