
Per scrivere una grande biografia servono due ingredienti: una storia unica da raccontare e un brillante scrittore che sappia raccontarla. B.S. Johnson romanziere sperimentale inglese degli anni sessanta e settanta - è stato un uomo difficile: arrogante, caratterialmente instabile, insicuro e per questo motivo ancor più spigoloso. Appartenente alla classe operaia e con alle spalle una formazione poco ortodossa (abbandonò la scuola giovanissimo per andare a lavorare in banca), B.S. Johnson dimostrò fin da subito un approccio alla letteratura molto particolare. Per lui raccontare una storia equivaleva a raccontare bugie, e se proprio si doveva scrivere, allora bisognava cominciare dall'esperienza personale. Accanto a questo rifiuto dell'immaginazione, B.S. Johnson reclamava la supremazia della sperimentazione (ed ecco quindi il romanzo formato da ventisette capitoli sciolti che ogni volta creano una storia diversa, oppure il libro con le pagine bucate cosicché il lettore potesse "vedere nel futuro"). Ma prima della letteratura c'è la vita, e quella di B.S. Johnson è un labirinto intricatissimo, dove a ogni svolta la prospettiva cambia e il terreno sembra franare sotto i piedi. Jonathan Coe si trasforma in un indagatore dell'animo umano che seleziona centosessanta frammenti della vita di B.S. Johnson: annotazioni, appunti, dichiarazioni di amici e conoscenti, brani tratti dai romanzi, lettere. Con rigore, con passione, Jonathan Coe accumula indizi fino all'ultimo decisivo frammento.
Gli scrittori russi vissuti negli anni della rivoluzione d'Ottobre - ma anche molti loro padri nobili, da Puskin a Dostoevskij -hanno in comune il privilegio, cui potendo avrebbero forse rinunciato, di aver vissuto vite febbrili, appassionanti e tragiche quanto i libri in cui spesso le hanno raccontate. Per ricostruirle, Rachel Polonsky ha viaggiato da Mosca al Volga alla Siberia, portando virtualmente con sé il curioso strumento esposto nello studio di uno dei personaggi più foschi dell'era staliniana, Molotov: una lanterna magica. E così ecco sfilare davanti ai nostri occhi, in un montaggio di storie che credevamo perdute, tutti gli eroi della generazione più feroce con i suoi poeti, dalla Cvetaeva alla Achmatova, da Babel' a Pasternak a Mandel'stam. E, accanto a loro, vicende, luoghi e personaggi più oscuri, ma altrettanto stupefacenti: i sogni, le mogli e i privilegi della nomenklatura sovietica; le degenerazioni scientifiche indotte da un totalitarismo che pretendeva di aver scoperto le leggi della storia; le vite sanguinarie degli atamani cosacchi. Le immagini proiettate dalla Lanterna magica di Molotov sono le tappe di un viaggio che attraversa il tempo oltre che lo spazio: dalle libertà medioevali dell'antica Novgorod, alle segrete della Lubjanka, fino al tragico e al grottesco dell'era Putin, con i suoi giornalisti uccisi, i processi agli oppositori.
Rimarrebbe deluso chi pensasse di trovare in queste pagine un racconto puntuale intessuto di luoghi, fatti, incontri. Non manca - beninteso - nessuno di questi ingredienti, ma l'Autobiografia di Chesterton, uscita postuma nel 1936, è soprattutto la storia di un'intelligenza e di un'anima che cercano, non senza incertezze e contraddizioni, la propria strada. Sullo sfondo, evocato con tocchi magistrali, sta il difficile periodo di transizione tra XIX e XX secolo, con il crollo degli Imperi coloniali e il dramma della prima guerra mondiale. E dallo sfondo si affacciano le personalità del panorama politico e letterario con cui lo scrittore entra in contatto e su cui esercita la propria attitudine all'analisi per paradossi dell'uomo e della società, senza mai rinunciare alla sua impareggiabile vis polemica. La nota segreta del testo - quella che risuona inconfondibile dietro le vicende e le battaglie quotidiane -è però la ricerca di una verità più grande di quella proposta dalle filosofie e dalle dottrine che occupavano (e occupano ancora) la scena contemporanea, una verità capace di cogliere Fumano nella sua complessità e integralità. L'approdo sarà, come è noto, la Chiesa cattolica, «dove tutte le verità si danno appuntamento».
A partire dal secolo XIII si moltiplicano in tutta Europa narrazioni che accusano gli ebrei dei crimini più efferati contro la cristianità: crocifissioni di innocenti, assassini, cannibalismo rituale. Fra queste chimere, e in concomitanza con la crescente importanza attribuita al sacramento eucaristico culminante con l'istituzione della festività del Corpus Domini, compare e si diffonde rapidamente quella di furto e sacrilegio ai danni dell'ostia consacrata. Un evento miracoloso fa sì che, scoperti, i colpevoli siano puniti con la tortura e il rogo. Di tale fantasia persecutoria compaiono più tardi alcune trasposizioni sceniche: nell'Inghilterra centro-orientale della seconda metà del secolo XV, l'anonimo "miracle play" in volgare medioinglese "La conversione di Ser Jonathas Giudeo" - noto anche come "The Play of the Sacrament" - si distingue dalle analoghe rappresentazioni teatrali francese e italiana, oltre che per la presenza di un intermezzo farsesco, per un tono meno marcatamente virulento nei confronti degli ebrei e perché restituisce alla vicenda, in luogo della conclusione sanguinaria, quella edificante della conversione che caratterizzava le più antiche cronache e narrazioni.
Quando J.R.R. Tolkien scrisse Lo Hobbit, era già un abile disegnatore dilettante e creò le illustrazioni per il suo libro mentre questo era ancora un manoscritto. La prima edizione dello Hobbit riportava dieci immagini in bianco e nero, due mappe, dorso e sovraccoperta disegnati dal suo autore. In seguito, Tolkien dipinse anche cinque scene per le tavole a colori che sono alcuni dei suoi migliori lavori. Le sue illustrazioni per Lo Hobbit aggiungono un'ulteriore dimensione a questo libro straordinario e hanno a lungo influenzato il modo in cui i lettori hanno immaginato Bilbo Baggins e il suo mondo. Per celebrare il 75° anniversario della pubblicazione dello Hobbit, l'intero patrimonio di immagini creato dall'autore per la sua storia è stato raccolto in "L'arte dello Hobbit di J.R.R. Tolkien". Oltre alle relative illustrazioni, sono qui presentati più di cento bozzetti, disegni, dipinti, mappe e piantine, lavori definitivi ma anche versioni preliminari e alternative. Alcune di queste immagini sono inedite, altre vengono pubblicate a colori per la prima volta. Recenti scansioni digitali provenienti dalle Bodleian Libraries di Oxford e dalla Marquette University del Wisconsin permettono di osservare le immagini dello Hobbit di Tolkien con una qualità mai vista prima. "L'arte dello Hobbit di J.R.R. Tolkien" è stato scritto e curato da Wayne G. Hammond e Christina Seuil, due tra i maggiori studiosi di Tolkien, autori di diversi volumi sul suo lavoro di scrittore e artista.
"Se vi piacciono i viaggi fuori del confortevole e accogliente mondo occidentale, oltre il Confine delle Terre Selvagge, per poi tornare a casa, e pensate di poter provare un certo interesse per un umile eroe, ecco la storia di questo viaggio e di questo viaggiatore. Il periodo è il tempo antico fra l'Età Fatata e il dominio degli Uomini, quando la famosa foresta di Bosco Atro esisteva ancora e le montagne erano piene di pericoli. Nel percorso verrete a imparare molte cose (come è capitato a lui) su Uomini Neri, Orchi, Nani ed Elfi e potrete dare uno sguardo alla storia e alla politica di un'epoca trascurata ma molto importante. Infatti il signor Bilbo Baggins andò in visita a vari personaggi di rilievo; ebbe una conversazione con il drago Smog; fu presente alla Battaglia dei Cinque Eserciti. Tutto ciò è tanto più singolare in quanto egli era uno Hobbit. Finora gli Hobbit sono stati trascurati nella storia e nella leggenda, forse perché - in genere - preferivano le comodità alle emozioni. Questo resoconto, fondato sui ricordi di un anno elettrizzante nella vita solitamente tranquilla del signor Baggins, vi darà un'idea abbastanza chiara di questo rispettabile popolo che adesso (a quanto si dice) sta diventando piuttosto raro. Non amano il rumore." (J.R.R. Tolkien)
David Lodge nasce a Londra il 28 gennaio 1935, un momento piuttosto buono, per un futuro scrittore, per nascere in Inghilterra. Ha quattro anni quando scoppia la seconda guerra mondiale e cresce attraversando decenni di grandi cambiamenti sociali e culturali, che gli offriranno parecchio materiale di prima mano per la sua attività di scrittore. Qui Lodge ripercorre l'infanzia e la giovinezza, gli anni allo University College di Londra, l'incontro con Mary, sua futura moglie, la nascita del primo figlio, gli anni di apprendistato da professore e da scrittore, fino alla cattedra all'Università di Birmingham, all'amicizia con il collega e scrittore Malcolm Bradbury e al successo del romanzo "Scambi".
Intrighi politici, conflitti religiosi e drammi umani in questi due romanzi di ambientazione Tudor di Robert Hugh Benson per la prima volta riuniti insieme: il primo,Il trionfo del re, è ambientato alla corte di Enrico VIII e vede il conflitto di due fratelli di famiglia aristocratica, il primo sacerdote fedele alla Chiesa di Roma e intenzionato a rispettare la sua vocazione fino alle estreme conseguenze, il secondo ambizioso e servo del potere alle dipendenze del potente cancelliere Thomas Cromwell, vero artefice della spoliazione dei monasteri cattolici in nome di una pretesa “purificazione” della religione”. La tragedia della regina è invece incentrato sul personaggio della sfortunata regina Maria la Sanguinaria, figlia di Enrico VIII, incapace di comprendere l’umore del suo popolo e della sua corte nel ristabilimento della religione cattolica, frustrata per il fallimento del suo matrimonio con Filippo II di Spagna e sicura di dover lasciare il trono all’intrigante sorella Elisabetta con il rischio di un drammatico ritorno al passato.
Imperi dell’Indo è il resoconto dell’audace viaggio solitario lungo il «Fiume dei Fiumi», dalla foce alla sorgente, compiuto da Alice Albinia a ventinove anni: più di tremila chilometri attraverso paesi, panorami e popoli osservati con sguardo empatico, in un pellegrinaggio avventuroso fra tribù pashtun e fuoricasta metropolitani, santuari sufi e fondamentalisti islamici, fitto di incontri con memorabili personaggi il cui destino è fatalmente intrecciato a quello del grande fiume. Le sue rive «hanno attratto con­quistatori assetati. Qui nacquero alcune delle prime città al mondo; la più antica letteratura sanscrita dell’India ebbe il fiu­me al suo centro; i santi predicatori del­l’I­slam peregrinarono lungo il suo corso». Un itinerario controcorrente e insieme a ritroso nel tempo – dal presente travagliato del Pakistan ai fasti dell’impero britannico, dalle conquiste dei sultani afghani ad Alessandro Magno, dall’epoca dei Veda a quella della misteriosa civiltà di Mohenjodaro –, raccontato con una scrittura lieve e incisiva in un libro che è insieme romanzo di viag­gio e indagine storica, trattato di geografia umana e lucida riflessione sul subcontinente indiano di oggi.
Sono le parole di un grande scrittore e non di un professionista del mondo delle arti figurative o di un accademico, quelle che Julian Barnes mette in conversazione con le immagini di alcune grandi opere del canone occidentale tra il 1850 e il 1920, dal maturo Romanticismo fino al Modernismo e oltre. Il punto di partenza è il dipinto noto come La zattera della Medusa di Géricault, di cui Barnes segue le fonti storiche nel naufragio della fregata francese Meduse nel luglio del 1816, per spostarsi poi sulla storia dei bozzetti preparatori e dell'autoreclusione del pittore per otto mesi durante il lavoro sulla grande tela, fino a offrire risposta su che cosa trasformi la catastrofe in arte, dopo aver trasformato l'evento in immagine. I saggi trattano dipinti di Manet, Bonnard, Vuillard, Degas, Cézanne, ma anche di Vallotton, Braque, Picasso e Magritte, fino agli inquieti ritratti di Lucian Freud, con la loro spietata ricerca dell'anima della carne, e al gigantismo giocoso di certa Pop Art destinata, nel giudizio di Barnes, a invecchiare male e approdare a una senilità precoce e un tantino ridicola. Si tratta di testi eruditi e brillanti che garantiscono tuttavia un piacere ulteriore a chi vi si accosta, quello di suggerire in controluce alle figure descritte potenziali personaggi o scene di romanzi di Barnes. Accade con l'analisi di certi interni borghesi di Vuillard, con l'attenzione tutta narrativa riservata alla posizione dei piedi nel dipinto di Manet L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano; accade nel racconto delle vite a confronto di Braque e Picasso. Barnes si sbilancia, si diverte, ci incanta. E, dopo aver sommessamente contraddetto per quasi trecento pagine le indicazioni del maestro Flaubert, secondo il quale i grandi dipinti non vogliono parole a illustrarli, Barnes liquida se stesso commentando cosí le opere dell'amico Howard Hodgkin: «Questi quadri parlano ai miei occhi, al mio cuore, alla mia mente. Perciò, basta con le parole».