
Chi conosce i libri di Ian Fleming sa che l'agente 007, in realtà, indaga sempre e soltanto sulle ossessioni private del suo autore. Come, qui, il commercio internazionale di diamanti, che Fleming scoprì leggendo un lungo pezzo uscito nel 1954 sul "Sunday Times" a proposito di un traffico di preziosi fra New York e la Sierra Leone (gli stessi set del romanzo) , e poi dedicandosi quasi per un anno a ricerche e interviste negli Stati Uniti. A leggerlo bene, "I diamanti sono per sempre" è quindi una specie di reportage romanzesco, e una delle sorprese che ci riserva sono le maniacali descrizioni di bar, ristoranti, alberghi, motel, autostrade, deserti americani: polaroid estremamente nitide, che messe l'una accanto all'altra raccontano un sogno che poco a poco si trasforma in un incubo - ad aria condizionata. Poi arrivano le sorprese che in fondo ci aspettiamo, come i crudeli rituali e le infernali macchinazioni della malavita americana, ricostruiti con la demoniaca precisione cui Fleming ci ha abituato. Un quadro già complesso, ma quando entra in scena la Bond Girl più spiccia e sentimentale di tutte, Tiffany Case, le cose si complicano quasi troppo - persino per Bond.
La meticolosa preparazione di una trappola diabolica ai danni di Bond, nelle stanze più segrete e più cupe di una Mosca ancora staliniana; un lungo e molto fascinoso intermezzo nella città di tutte le trame e di tutti gli intrighi, Istanbul; un fuori programma assai movimentato in un campo di zingari (e soprattutto zingare); un viaggio attraverso l'Europa sul treno dove molte passioni e altrettanti crimini finivano un tempo per consumarsi: l'Orient-Express.
Dopo cinque romanzi, Ian Fleming confessò al suo amico Eric Ambler di avere finalmente capito quali fossero gli ingredienti base per una delle sue (delle loro) storie: «ragazze nude, spie, e armi nucleari», meglio se ospitate sulla stessa isola. Di isole adatte al sesto episodio di 007 Fleming ne aveva visitate parecchie, e la più attraente era senz'altro Great Inagua, nelle Bahamas: colonie di uccelli rari protetti dalla Audubon Society, grandi paludi, mangrovie, granchi giganti assai temibili – e guano ovunque. Anche la trama era già pronta, bastava prendere un trattamento per la televisione americana di qualche anno prima, mai realizzato, in cui Fleming aveva ipotizzato che una misteriosa, potentissima organizzazione criminale possedesse apparecchiature in grado di deviare i missili intercontinentali americani. Bisognava solo trovarle un capo, magari prestandogli qualche tratto di un cattivo per antonomasia, il dottor Fu Manchu, e il gioco era quasi fatto. Cosa mancava? Ah già, le ragazze nude, almeno una. Be', qui Fleming giocava sul sicuro, tanto da potersi permettere di non aspettare gli arzigogolati rituali di accoppiamento del suo 007, presentandoci Honeychile, appena uscita dall'acqua, nella stessa veste in cui, da allora, è impossibile non continuare a immaginarla.
Tra le storie più affascinanti di sempre merita senza dubbio un posto quella del Koh-i-Nur, il diamante dal valore stimato «in due giorni e mezzo di cibo per il mondo intero», la gemma portentosa contesa nel corso dei secoli da un numero impressionante di re, conquistatori, principi, razziatori, ladri e imperatori, le cui morti truculente ne alimentarono la fama di pietra maledetta: accecati, avvelenati, torturati, bruciati nell'olio bollente, 'incoronati' con il piombo fuso o uccisi dai familiari. Nel riscrivere questa storia, William Dalrymple e Anita Anand la sottraggono alle brume del mito e la ricostruiscono meticolosamente a partire dalle fonti originali (persiane, afghane, urdu, in parte tradotte per la prima volta). E mostrandoci, tra l'altro, come la 'maledizione' non abbia nulla di soprannaturale, ma sia la concreta manifestazione della cupidigia e della furia omicida che questo gioiello inestimabile ha suscitato, storicamente, in tutti coloro che lo hanno bramato. E quando il Koh-i-Nur trovò in Inghilterra «la sua dimora definitiva», lo seguì il suo ultimo proprietario indiano, Duleep Singh, che nacque sovrano del più potente regno dell'India e morì, abbandonato da tutti, in un hotel di Parigi, mentre la gemma che un tempo aveva fieramente indossato faceva bella mostra di sé sulla corona della regina Vittoria.
Inghilterra, 1321. Il gufo è stato gettato sulla soglia di casa sua, morto; gli occhi sbarrati sembrano accusarlo. Giles conosce il significato di quel macabro dono, sa che è ben più di un avvertimento: i Maestri Oscuri stanno per venire a prenderlo, per assalirlo nella foresta o nel suo letto. Lo puniranno per i suoi peccati.
Dopo qualche settimana di terrore, infatti, un gruppo di uomini con i mantelli scuri lo accerchia, i visi nascosti da maschere da gufo. Lo agguantano, lo feriscono e lo portano via, per sempre. Giles viene sacrificato agli dei, il giorno della fiera del primo maggio, perché non è stato in grado di resistere alle tentazioni.
Nessuno nel villaggio ha mai osato opporsi agli atroci soprusi perpetrati dall’antica setta. Da qualche anno, però, è giunto dal nord della Francia un gruppo di donne, le seguaci di Marta, con l’intento di stabilirsi a Ulewic e di portarvi un messaggio di pace. Sono loro le prime a sollevarsi in difesa dei deboli.
Quando i Maestri si accorgono dell’influenza che le straniere cominciano ad avere sulla gente, capiscono che quelle che erano sembrate delle innocue religiose potrebbero trasformarsi in una minaccia al loro potere. C’è un unico modo per eliminarle: farle diventare agli occhi del popolo l’incarnazione di ciò che più teme. Saranno accusate di essere delle streghe, di aver ucciso gli animali e distrutto i raccolti, uniche ricchezze dei contadini, di aver portato il più terribile dei mali: la peste. E forse neppure la sacra reliquia che nascondono sarà in grado di proteggerle dall’ira funesta degli Oscuri.
1565: Solimano il Magnifico è a capo del più grande impero del mondo e vuole convertire l'umanità intera alla fede del Profeta. Ma nel mezzo di quel "lago turco" che è il Mediterraneo, un pugno di monaci guerrieri è deciso a resistergli. Per i turchi sono i "cani dell'inferno"; loro amano definirsi "la Religione": sono i Cavalieri di Malta. Ma la sorte dei Cavalieri sembra segnata: con i suoi settantamila soldati il gran sultano vuole spazzarli via. Nel frattempo, in Sicilia, una nobildonna maltese in disgrazia cerca di raggiungere la sua isola per ritrovare il figlio illegittimo che le è stato strappato alla nascita. Ma il Gran maestro dell'Ordine non consente l'accesso a nessuno che non possa combattere; anzi, per salvare Malta, ha bisogno di un guerriero d'eccezione. Il suo nome è Mattias Tannhauser, le sue origini sono oscure, per anni ha militato nell'esercito di Solimano. Mattias adesso è un uomo di pace e non sarà facile convincerlo a imbracciare nuovamente un'arma. A meno che non sia una donna a chiederglielo, una donna disposta a tutto pur di poter rientrare nell'isola dove è nata. Mentre il conflitto tra Islam e Cristianità assume i contorni dello scontro apocalittico, una madre disperata e un uomo reduce dall'inferno cercano un bambino senza nome e senza volto. E su di loro si allunga la mano insanguinata dell'Inquisizione...
Irving Storie ripercorre in "Brama di vivere" il tormentato cammino della vicenda umana e pittorica di Vincent Van Gogh, rivisitando tutti i luoghi in cui l'artista visse e dipinse, ricreando le sue esaltazioni e le sue crisi, le sue disperazioni e le sue speranze. Dopo gli anni della vocazione religiosa e dell'apostolato fra i minatori del Borinage, Van Gogh visse le prime esperienze di pittore a trent'anni: la sua prima opera fu esposta nel 1883. Venne poi il periodo di Nuenen nel Brabante, il periodo parigino con i contatti con gli impressionisti francesi, quello di Arles e quello di Saint-Remy. Solo nove anni di breve ma folgorante ispirazione pittorica, fino al suicidio in un campo di grano ad Auvers-sur-Oise il 27 luglio 1890. Un'esistenza in cui la vita si identifica con la pittura in un drammatico crescendo di tensione interiore e abbagliante creazione artistica.
"Mi accingo a scrivere della mia vita; a partire dalla mia prima fanciullezza via via anno per anno fino a quella svolta fatale in cui, circa otto anni fa, mi trovai subitamente impegolato in una crisi che chiamerò 'aurea' e dalla quale non ho mai potuto districarmi." Zio di Caligola, marito dell'infedele Messalina, padre adottivo e vittima di Nerone, l'imperatore Claudio inizia il racconto della sua vita, scritto proprio di suo pugno, e non affidato, com'era costume a quei tempi, a un oscuro segretario o a un annalista adulatore. Immaginaria autobiografia del grande imperatore, "Io, Claudio" rievoca i fasti, i costumi e la potenza della Roma imperiale, ma anche gli episodi grotteschi e le tragiche avventure di colui che, tra i dodici Cesari, ebbe la vita più movimentata. Primo "generalissimo" dell'impero, seguiremo Claudio nell'instaurazione della dominazione permanente della Britannia, nei palazzi dei deserti libici, per le strade di Roma, negli accampamenti dei Balcani, addirittura ad Antiochia in una casa infestata dagli spiriti.
L’Inghilterra all’inizio del 1500 è in un vicolo cieco, a un passo dal disastro. Se il re morisse senza un erede maschio, il Paese sarebbe condannato a una guerra civile. Enrico VIII vorrebbe annullare il suo matrimonio e sposare Anna Bolena, ma il Papa e la maggioranza dei regnanti d’Europa si oppongono. Sarà Thomas Cromwell ad occuparsi di questa impasse: figlio di un fabbro di Putney, uomo capace di redigere un contratto come di addestrare un falco, disegnare una mappa e sedare una rissa, arredare una casa così come di corrompere una giuria. Architetto machiavellico del regno di Enrico VIII e artefice dei destini della dinastia dei Tudor, il protagonista del pluripremiato romanzo di Hilary Mantel emerge in tutta la sua contraddittoria umanità: nonostante le sue umili origini, quest’uomo venuto dal nulla, dedito ai mestieri più disparati - mercenario in Francia, banchiere a Firenze, commerciante di tessuti ad Anversa – in virtù delle sole doti intellettuali sarà in grado di rompere le rigide regole della società inglese e rialzarsi da una drammatica situazione personale, e di lui si servirà il re per ottenere il divorzio da Caterina d’Aragona e unirsi ad Anna Bolena, dando così un nuovo corso alla storia della chiesa d’Inghilterra.
Hilary Mantel è nata a Glossop, nel Derbyshire, nel 1952. Scrittrice prolifica, ha esordito nel 1985 con Every Day is Mother's Day e molti dei suoi romanzi sono stati finalisti a importanti premi letterari, primo tra tutti l’Orange Prize (Beyond Black, di prossima pubblicazione per Fazi Editore). Wolf Hall è stato insignito nel 2009 di uno dei più importanti premi letterari del mondo, il Man Booker Prize, ed è stato finalista al Costa Novel Award 2009 e all’Orange Prize for Fiction 2010. Di Wolf Hall Hilary Mantel sta scrivendo un sequel, The Mirror and the Night.
Nello splendore della villa di famiglia di Morton Hall, Sir Philip e Lady Gordon aspettano la nascita dell'erede. Quando anziché il maschio desiderato nasce una femmina, decidono comunque di chiamarla Stephen. La bambina crescendo rivela ben presto abitudini e atteggiamenti diversi dalle sue coetanee e la isolano da chi la circonda, costringendola a un'infanzia difficile e a una tormentata adolescenza. Raggiunta la maturità Stephen Gordon si innamorerà perdutamente di un'altra donna.
Nel 1905, all'età di trentun'anni, Gilbert Keith Chesterton riunisce in un unico volume gli articoli scritti per il liberale "Daily News". Nasce così Eretici, in cui il "principe del paradosso", facendo sfoggio di tutta la sua tagliente ironia, passa al vaglio le più importanti figure del suo tempo, in particolare del mondo della letteratura e dell'arte: Rudyard Kipling, Gorge Bernard Shaw, H. G. Wells, James McNeill Whistler. Ciò che soprattutto gli interessa è però combattere le "eresie" di cui si fanno banditori o interpreti e che si riflettono in quelli che l'autore identifica come i grandi mali della modernità: la cieca fede nel progresso, lo scetticismo, il determinismo, la negazione dell'esistenza di Dio e dei valori fondamentali del cristianesimo. Frutto di un sapiente dosaggio di umorismo e buon senso, "Eretici" suscitò le ire di alcuni critici, perché condannava le filosofie coeve senza fornire alternative. Lo scrittore inglese decise quindi di replicare qualche anno più tardi con un altro celebre titolo, "Ortodossia", di cui questo resta l'essenziale premessa. Prefazione di Roberto Giovanni Timossi.
In una pensione sulle colline di Londra arriva all'improvviso un vento impetuoso che scuote ogni cosa, compresi gli ospiti un po' annoiati che vi alloggiano. E porta sulla scena uno strano individuo: Innocent Smith, un gigante scomposto, allegro, rumoroso, eccentrico, forse un po' matto. Anzi, magari è un pericoloso criminale, visto che in sua presenza accade di tutto: pistolettate, una violazione di domicilio, rapimenti di innocenti fanciulle, un tumultuoso processo. E magari non è neppure da solo quando compie le sue azioni dirompenti. Per dichiarare guerra a tutto ciò che spegne una sana meraviglia verso l'esistere non basta l'azione isolata e solitaria di un singolo, occorre un'incursione congiunta: un complotto di famiglia. Chi è l'Uomovivo? O, meglio, chi sono? Chesterton è davvero al suo meglio in questo romanzo "filosofico" pubblicato nel 1912, ma che mantiene intatta, dopo oltre cento anni, la sua carica lietamente eversiva nei confronti di ogni specie di conformismo e di tutte le idee troppo ovvie per essere vere. Dale Ahlquist ricorda Edoardo Rialti nell'Introduzione - una volta mise i lettori saggiamente in guardia: "Quanto più leggi Chesterton, tanto più ti sottoponi allo spaventoso pericolo di vedere le cose per la prima volta". Prefazione di Edoardo Rialti.