
Sono ancora nelle mente di tutti alcuni casi che hanno turbato l'Italia: il caso Englaro, il caso Welby: casi in cui il diritto alla vita è sembrato scontrarsi col diritto alla cura, la libertà col dovere terapeutico. Su questi temi così controversi si confrontano in questo libro due voci diverse: quella di un laico - Umberto Veronesi - e quella di un credente - Giovanni Reale -, quella di un medico, impegnato nella cura del corpo, e quella di un filosofo, preoccupato per definizione dello spirito. A unirli, nel confronto dialettico delle ragioni dell'uno e dell'altro, la convinzione che la moderna medicina debba recuperare il fattore umano, come avveniva nella medicina antica, debba tenere in debito conto le sofferenze psicologiche prodotte dai mali fisici e, soprattutto, debba rispettare la libertà della scelta. Nessuno può decidere sulla vita di un uomo, e meno che mai può decidere lo Stato, per legge. L'autodecisione, per guanto riguarda la vita, è irrinunciabile. Togliere all'uomo l'autodecisione significa negargli la libertà, ossia il bene più grande che Dio gli ha dato. E per questo laici e credenti possono concordare.
La parola "gnosi" in greco significa "conoscenza" e fin dall`antichità ha indicato la conoscenza delle cose spirituali. Con l`avvento del Cristianesimo si è formata una netta distinzione tra una "gnosi pura" che conduce alla Verità Rivelata e alla felicità spirituale e una "gnosi spuria", ossia impura, falsata, fonte di illusione, vizio e follia. Se la gnosi pura è stata nei secoli portata avanti dalla Chiesa e dai santi, la "gnosi spuria" ugualmente si è organizzata in gruppi, sette più o meno segrete e ha influenzato la cultura, la scienza, la politica e la stessa religione con un unico scopo: distruggere la Chiesa Cattolica e la Civiltà Cristiana. L'opera è divisa in due tomi: vol. 1°. "La gnosi spuria dalle origini al `700" e volume 2° "La gnosi spuria dall`800 a oggi". Ennio Innocenti in primo luogo spiega e analizza l`errore gnostico, dopodichè ne rivela lo sviluppo storico dalle origini a oggi. Il libro, basato su un lavoro bibliografico monumentale, vuole essere quasi una Rivelazione del lato invisibile della storia umana: un'opera documentatissima eppure di agile consultazione.
Camminare è sicuramente una delle azioni più comuni delle nostre vite. Ma Frédéric Gros ci fa riscoprire la bellezza e la profondità di questo semplice gesto e il senso di libertà, di crescita interiore e di scoperta che esso può riuscire a suscitare in ciascuno di noi. Attraverso la riflessione e il racconto magistrale delle vite di grandi camminatori del passato - da Nietzsche a Rousseau, da Proust a Gandhi che in questo modo hanno costruito e perfezionato i propri pensieri - "Andare a piedi" propone un percorso ricco di curiosità, capace di far pensare e appassionare. Nella visione limpida ed entusiasta di Gros, camminare in città, in un viaggio, in pellegrinaggio o durante un'escursione, diventa un'esperienza universale che ci restituisce alla dimensione del tempo e ci consente di guardare dentro noi stessi. Perché camminare non è uno sport, ma l'opportunità di tornare a godere dell'intensità del cielo e della forza del paesaggio.
Heidegger ha sempre concepito il suo pensiero come un vero e proprio destino, presentando i problemi filosofici come strutture fondamentali dell'esistenza umana e insieme interpretando le soluzioni date a quei problemi nel corso della tradizione occidentale come eventi epocali nella storia dell'essere. Questo libro, pensato come una nuova e completa introduzione all'opera heideggeriana - dalla sua genesi alla fine degli anni Dieci sino agli ultimi esiti agli inizi dei Settanta -, mostra che in realtà tale "destino" è dipeso da scelte precise compiute dal filosofo e invita ad attraversare ancora una volta una riflessione senza la quale non si potrebbe capire a fondo la sfida del nostro tempo.
All'interno della fenomenologia della vita emozionale si colloca l'analisi scheleriana del pudore. Questo sentimento evidenzia la doppia appartenenza dell'essere umano: da un lato è biologicamente parte del mondo animale, dall'altro la sua componente spirituale l'avvicina alla divinità. Ma né l'animale né Dio possono provare pudore, solo l'uomo è in grado di manifestarlo in quanto costituisce il ponte, il passaggio tra la dimensione corporea e la dimensione spirituale. Il pudore colma l'abisso che si apre tra lo spirito e la sensibilità ricevendo dal primo la serietà e la nobiltà d' animo e dalla seconda lo slancio e la seduzione della passione; è paragonabile al bozzolo al cui interno l'amore cresce e si sviluppa fino a raggiungere quel livello di maturità che permette all'uomo d'impegnare il suo pensiero e la sua azione nella ricerca dei valori, senza disperdersi nel flusso delle pulsioni libidiche; esso è, dunque, una forza che protegge l'amore.
L’idea di questo volume nasce dall’assiduo confronto tra alcuni amici che a lungo hanno discusso intorno a una domanda da cui tutti si sentivano interpellati: come la modernità si è misurata con la figura di Gesù? Si voleva arrivare almeno a sfiorare il segreto del fenomeno per cui, lungi dall’essere una figura usurata ed esaurita, Gesù ha dato e dà ancora ampiamente da ricercare agli storici, da pensare ai teologi e ai filosofi, da creare agli artisti. È da questa interrogazione che nascono i numerosi contributi raccolti in quest’ampio volume, dedicato all’analisi dei molti e diversi volti di Gesù che, nella modernità, hanno costellato la storia dell’interpretazione della sua personalità e del suo messaggio.
 
Con contributi di Isabella Adinolfi, Alfonso Berardinelli, Paolo Bettiolo, Stefano Bianchi, Pier Cesare Bori, Fabrizio Borin, Giorgio Brianese, Giuseppe Cantillo, Rolando Damiani, Giovanni Filoramo, Goffredo Fofi, Marco Fortunato, Giancarlo Gaeta, Roberto Garaventa, Giuseppe Goisis, Gaetano Lettieri, Gian Luigi Paltrinieri, Mauro Pesce, Luigi Ruggiu, Davide Spanio, Luigi Vero Tarca.
 
 
Isabella Adinolfi insegna Filosofia della storia e Storia del pensiero etico-religioso all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È autrice di nuerosi studi su Pascal e Kierkegaard ed è direttrice con Roberto Garaventa del periodico «NotaBene. Quaderni di studi kierkegaardiani». Tra le sue più recenti pubblicazioni: Le ragioni della virtù. Il carattere etico-religioso nella letteratura e nella filosofia (il melangolo, Genova 2008), Etty Hillesum. La fortezza inespugnabile (il melangolo, Genova 2011), Studi sull’interpretazione kierkegaardiana del cristianesimo (il melangolo, Genova 2012).
 
Giuseppe Goisis insegna Filosofia politica e Politica ed etica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È impegnato sul versante dei diritti umani, collaborando, fra l’altro, con la Società Europea di Cultura (SEC), con il Centro Studi Diritti dell’uomo (CESTUDIR) e con l’Ateneo Veneto. È autore di monografie riguardanti temi e figure del pensiero politico dell’Ottocento e Novecento, tra cui Sorel e i soreliani italiani (Helvetia, Venezia 1983), Mounier fra impegno e profezia (Gregoriana, Padova 1990), Il pensiero politico di Antonio Rosmini (Gabrielli, Verona 2010). Ha in preparazione una sintesi dei suoi studi su Bergson.
"La Metafisica" di Teofrasto è un'opera unica per la complessità e l'ampiezza dei temi esaminati, che vanno da questioni al cuore dell'aristotelica filosofia prima alla fisica, alla matematica, all'astronomia, alla concezione della scienza e alla teleologia. E anche una testimonianza di prima mano delle modalità con cui la scuola nella sua fase più antica seppe accogliere e valorizzare l'insegnamento di Aristotele. L'andamento del testo non ha carattere sistematico, ma dialettico e problematico: di qui le molteplici interpretazioni di quest'opera, gravata da un'ipoteca di antiaristotelismo che tuttavia appare difficilmente sostenibile.
Il libro che ha segnato un punto di svolta del femminismo internazionale e che è divenuto un classico del pensiero di genere. Judith Butler argomenta perché il corpo sessuato non è un dato biologico ma una costruzione culturale.
“Questione di genere è un classico, nel senso migliore del termine: rileggere questo libro, o leggerlo per la prima volta, dà una nuova forma alle categorie attraverso cui facciamo esperienza delle nostre vite e dei nostri corpi. Il fatto che questo ci disturbi è un piacere intellettuale e una necessità politica.” Donna Haraway
Le narrazioni di sé di Vico e Croce e le intenzioni ad esse sottese consentono di ravvisare nell'autobiografia intellettuale una tipologia di scrittura filosofica che adotta una modalità comunicativa centrata sulla ostensività di un sapere che si fa azione e pratica di vita e sulla esortazione più o meno implicita, rivolta al lettore, a condividere liberamente e magari a ripetere in tutto o in parte l'itinerario esistenziale e professionale dell'autobiografato. Questo paradigma viene confermato dal Progetto di Giovanartico di Porcìa, ripubblicato nell'Appendice I, e si mostra efficace nel saggio, presentato nell'Appendice II, su di una diversa autonarrazione intellettuale: 'Le mie prigioni' di Silvio Pellico.
Machiavelli, a partire dai testi fondativi della moderna arte politica come "Il Principe" o "I Discorsi", fino alla caustica corrosività della "Mandragola" o dell'"Asino", continua a parlare al lettore contemporaneo in un modo inquietante e ansioso: gli eventi ora liberatori ora tragici ora imprevedibili degli ultimi anni e degli ultimissimi tempi, lungi dal farci collocare definitivamente in soffitta il "Segretario" fiorentino, ci spingono ancora a interrogarlo e a ritrovare nelle sue pagine la lucida analisi e l'appassionata frequentazione di alcuni dei grandi temi della nostra società e dei suoi travagli. Per Machiavelli l'uomo è impastato e condizionato da bisogni istintivi così radicali che la sua origine va collocata nell'egoismo e nella ferocia. Di qui la necessità di "leggi" e di "savi datori di leggi" capaci di trasformare questa linfa istintuale ricchissima ma anche distruttiva in energia positiva per il dominio di sé e del mondo, per l'equilibrato crescere delle società e degli Stati, per un più armonico rapporto tra governanti e governati.
Furono i roghi, ad accendere i Lumi. Nello splendore come nella ferocia, il Gran secolo, che tanto amò il paradosso, fu inarrivabilmente paradossale: la meraviglia barocca convisse con il rigorismo formale, l'impulso ascetico con la dissimulazione più o meno onesta, il libero pensiero con un dogmatismo occhiuto e vendicativo. Solo il Seicento avrebbe potuto generare tutte le grandi idee che alimentarono la modernità, e solo il Seicento avrebbe potuto cercare con tanta pertinacia di distruggerle appena nate. Senza riuscirci, certo, e anzi stimolandole, quasi in virtù di quella "reazione uguale e contraria" teorizzata - non a caso proprio in quegli anni - da Newton. Ci fu chi pagò con la vita, con il carcere, con l'infamia e il bando le proprie tesi; ma le difese. E le affidò ai libri, che a loro volta patirono la confisca, la clandestinità, il rogo; ma sopravvissero. Perché le idee non bruciano, anche se possono accendere le menti e provocare rivoluzioni. Ed è proprio di quelle idee e di quei libri cosi travagliatamente giunti fino a noi - che forse non li leggiamo nemmeno più - che siamo gli eredi. Questo nuovo, volume di Steven Nadler è appunto la storia di un libro sulfureo e dannato, il "Trattato teologico-politico"; del suo autore, pessimo ebreo, mediocre mercante, buon tagliatore di lenti, immenso filosofo; del suo funambolico stampatore, cui certo non difettava l'ingegno.
Viviamo in un'epoca di incertezze, di disequilibrio e paura. Abbiamo perso la capacità di essere felici, sempre più oppressi da infiniti bisogni materiali, da una quotidianità stressante, da un individualismo che dovrebbe proteggerci e invece ci condanna all'isolamento e alla perdita di calore umano. Il cambiamento è il nostro spauracchio più grande. Per stare saldi, ci siamo aggrappati a sostegni esterni anziché alla nostra forza interiore e ogni scossone rischia di farci precipitare. Non riusciamo più a cogliere le potenzialità del cambiamento. Gli antichi saggi sapevano che entrare nel flusso del divenire è la strada che conduce all'armonia. Ogni crisi, anche la più negativa, porta in sé il seme di una rinascita, di una nuova opportunità. Con parole illuminanti e chiare, rinfrescanti come una sorgente nel deserto, Marinoff invita a riscoprire la filosofia del Tao, una delle maggiori fonti di armonia di cui l'uomo disponga, e a metterla in pratica per ritrovare la capacità innata di provare felicità, tipica dei bambini, e a diventare noi stessi luce nel buio.
  
