
Dopo il successo di preghiera del non credente, Andreoli torna con una profonda riflessione sul tema del mistero come elemento ineludibile di ogni esperienza umana. Il mistero - inteso non come domanda a cui cercare una risposta definitiva, ma come una presenza intrinseca del quotidiano - illumina e lega insieme tutte le esperienze umane, dalla nascita alla morte. Il ruolo della fede e del sacro sono quindi l'espressione di un bisogno che si esprime attraverso preghiere, rituali e pratiche religiose: strumenti attraverso i quali l'uomo cerca conforto e significato di fronte all'inspiegabile.
Come si è differenziata la riflessione di Heidegger sul male morale rispetto alla tradizione moderna? Sul filo di questa indagine filosofica, sinora poco esplorata e qui corredata di una scelta antologica, il volume mostra l'originalità con cui Heidegger - nei suoi scritti giovanili, in Essere e tempo, fino ai Quaderni neri - elabora il problema del male nella sua dimensione ontologica, superando la classica distinzione fra male metafisico, fisico, morale. Un'analisi fenomenologica che porta a riconsiderare, e mettere in discussione, anche la grande questione di una giustificazione heideggeriana dell'antisemitismo, dai diversi punti di vista: storico, filosofico, metafisico. Confondere i piani, come giornalisticamente è accaduto, e ricondurre il tutto a un "a priori" razionalistico con cui spiegare insieme il pensiero e la vita del filosofo, non aiuta a comprendere il rapporto, osservato in queste pagine, fra teoria ed esperienza umana, capace di illuminare le sue scelte biografiche e politiche.
Questo testo, che pubblichiamo per la prima volta in lingua italiana, è stato definito da alcuni come il più importante trattato sull'azione dopo Aristotele. Rappresenta uno dei capolavori della filosofia anglosassone del ventesimo secolo e ha ormai acquisito lo statuto di un classico del pensiero filosofico. Le conclusioni a cui perviene G.E.M. Anscombe in questo libro hanno schiuso un intero panorama di indagine filosofica, oggi comunemente noto come "teoria dell'azione".
Il Presidente degli Stati Uniti che firmò l'ordine di usare la bomba atomica si macchiò le mani di sangue o soltanto d'inchiostro? Vi sono casi in cui una guerra è giusta? In tali casi, ogni azione bellica è giustificabile? Porre fine alla vita di un malato terminale è cosa diversa dall'omicidio? Abbiamo bisogno del consenso sulla definizione dell'embrione come "persona" per decidere se qualche azione su di esso è vietata? È giustificata la proibizione della contraccezione anche se è del tutto legittimo programmare le nascite? Anscombe, riprendendo Wittgenstein, Aristotele e Tommaso d'Aquino, elabora una teoria dell'azione che pone al centro l'"intenzione", alternativa alla concezione dell'azione dominante da Cartesio in poi. Su questa base conduce una requisitoria contro la superficialità della filosofia morale moderna, accomunando i filosofi di Oxford, l'utilitarismo e l'etica kantiana. E infine mette al lavoro la sua etica delle virtù sui problemi di etica applicata: nel campo dell'etica pubblica la guerra giusta, nel campo della bioetica le questioni di fine vita e inizio vita. Questo libro, curato da Sergio Cremaschi, raccoglie i contributi di Anscombe su temi di etica, permettendo per la prima volta uno sguardo complessivo su questa figura decisiva della filosofia del Novecento.
Machiavelli, a partire dai testi fondativi della moderna arte politica come "Il Principe" o "I Discorsi", fino alla caustica corrosività della "Mandragola" o dell'"Asino", continua a parlare al lettore contemporaneo in un modo inquietante e ansioso: gli eventi ora liberatori ora tragici ora imprevedibili degli ultimi anni e degli ultimissimi tempi, lungi dal farci collocare definitivamente in soffitta il "Segretario" fiorentino, ci spingono ancora a interrogarlo e a ritrovare nelle sue pagine la lucida analisi e l'appassionata frequentazione di alcuni dei grandi temi della nostra società e dei suoi travagli. Per Machiavelli l'uomo è impastato e condizionato da bisogni istintivi così radicali che la sua origine va collocata nell'egoismo e nella ferocia. Di qui la necessità di "leggi" e di "savi datori di leggi" capaci di trasformare questa linfa istintuale ricchissima ma anche distruttiva in energia positiva per il dominio di sé e del mondo, per l'equilibrato crescere delle società e degli Stati, per un più armonico rapporto tra governanti e governati.
In edizione economica, la traduzione italiana dell'opera più importante di sant'Anselmo d'Aosta. Cur Deus homo ("Perché Dio [si è fatto] uomo", o "Perché un Dio uomo") è il titolo di un saggio di teologia che il monaco e filosofo Anselmo scrisse nel 1098. Il testo è considerato da alcuni addirittura il più importante e impegnativo sul piano dottrinale della produzione di Anselmo. Redatto in forma dialogica (tra Anselmo e Bosone) e articolato in due libri di diversa lunghezza, il Cur Deus homo è storicamente legato alla dottrina della sostituzione o soddisfazione vicaria: la salvezza dell'umanità è resa possibile dall'offerta libera che il Cristo, Dio-uomo, fa di se stesso al Padre per pagare il debito contratto dall'uomo con il peccato d'origine.
È stata la Grecia a passare all'Europa l'idea di razionalità come discussione critica. Per questo, se è nel giusto P.B. Shelley a dire che «noi tutti siamo greci», ha però altrettanto ragione B. Croce a sostenere che «non possiamo non dirci cristiani». L'Europa, infatti, come ha scritto S. de Madariaga, «È socratica nella sua mente e cristiana nella sua volontà». Di qui l'ammonimento di T.S. Eliot: «Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura; e allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie».

