
L'Impero romano d'Occidente, diviso da quello d'Oriente da fratture sempre più rilevanti e ridotto nelle sue dimensioni, confidava ormai per la sua sopravvivenza su truppe germaniche mercenarie, potenzialmente agguerrite, ma fedeli in prima istanza ai loro comandanti. Odoacre, che governò l'Italia con il titolo di re e riconobbe l'autorità suprema ed esclusiva dell'imperatore di Costantinopoli, era uno di questi. Fu lui a deporre Romolo Augustolo nel 476, ultimo atto di una serie di eventi, in alcuni casi drammatici, che scandirono la caduta di Roma a partire dall'inizio del V secolo d.C. Questo libro racconta la crisi politica, economica e militare, che investì l'Impero romano d'Occidente sino alla sua caduta "silenziosa" nel 476, evento conclusivo della storia della più grande potenza del mondo antico.
È al breve regno dell’imperatore Giuliano, al suo tentativo di restaurazione del paganesimo che si deve la caratterizzazione del IV secolo come un’età di conflitto religioso. In realtà è opportuno restituire a questa figura di sovrano tutto il suo spessore, a cominciare da una chiara volontà riformatrice di alcuni aspetti di criticità della realtà imperiale tardoantica come la fiscalità e l’autonomia cittadina. Giuliano avversò decisamente la figura dello zio, Costantino, ma non solo per la sua conversione al cristianesimo. Egli ne contestò infatti il modo in cui resse l’Impero nella sua globalità al punto da rendere ammissibile sostenere (Santo Mazzarino) che la storia del IV secolo può essere interpretata alla luce di queste due figure “epocali”. In realtà il progetto di governo di Giuliano era ambizioso e di ampio respiro. Esso giustifica la riscoperta dell’Apostata che ebbe luogo in età umanistica e illuministica e che ha esiti significativi che giungono sino ai nostri giorni.
Verso la metà del IV secolo l'imperatore Giuliano nei "Cesari", una singolare opera satirica, ma dalle forti connotazioni personali, in cui sono passati in rassegna, con Alessandro Magno, i suoi principali predecessori, dà di Augusto una definizione peculiare: era un "camaleonte". Non è da sottovalutare questo giudizio da parte di una personalità come Giuliano che, arrivato inaspettatamente all'età di trent'anni al potere supremo, aveva concepito un disegno profondamente innovatore dello Stato romano, in primo luogo in senso religioso, e che dimostrò particolare sensibilità per le strategie comunicative. In verità Augusto risulta una personalità difficile da valutare già per gli antichi e non stupisce che tanto articolate siano state le presentazioni che la sua figura ha conosciuto anche negli studi più recenti. Appartiene senza dubbio a quel genere di personaggi poliedrici dei quali non è facile delineare un ritratto fedele e di cui è lecito privilegiare un aspetto rispetto a un altro. Giuliano è sicuramente in difficoltà a dare un giudizio netto su una figura tanto multiforme come quella di Augusto, il cui carattere autentico risulta alla fine sfuggente, soprattutto se si vuole uscire da schemi precostituiti.
Dopo Augusto non c'è stato imperatore romano che abbia regnato più a lungo di Costantino il Grande (306-337 d.C.) o che abbia fatto scelte di maggiore portata rivoluzionaria. Arnaldo Marcone traccia il ritratto a tutto tondo di un imperatore della cui azione forse non si sono ancora colti a pieno tutti gli aspetti di novità: fu Costantino infatti a dare all'impero una nuova religione, una nuova capitale, una nuova organizzazione dell'esercito. Non in tutti i campi gli arrise il successo; in particolare, disastroso fu il fallimento del suo disegno di fondare una dinastia personale con i suoi figli, né duratura si rivelò l'organizzazione da lui disegnata per il potere imperiale.