Tra il 1776 e il 1804 il tempo della rivoluzione unì le due sponde dell'Atlantico. La nascita degli Stati Uniti fu d'esempio alla Francia per la svolta del 1789. La rivolta degli schiavi neri a Santo Domingo nel 1791 portò nel 1794 all'abolizione della schiavitù nelle colonie francesi. Di lì a breve l'ascesa di Bonaparte segnò la ripresa del ruolo dell'uomo d'armi rivoluzionario. Le similitudini tra i due lati dell'Atlantico neppure si interruppero con la presa del potere, il 18 Brumaio, del generale còrso: a Santo Domingo, Toussaint Louverture, un ex schiavo divenuto governatore della colonia, parve imitarlo. La reintroduzione della schiavitù nelle colonie francesi, voluta da Bonaparte nel 1802, portò però all'insurrezione finale dei neri di Santo Domingo, che nel 1804 fondarono la repubblica nera di Haiti. Il libro, che ripercorre le vicende qui riassunte, evidenzia il legame tra le due grandi rivoluzioni di fine XVIII secolo che le storiografie nazionali e l'influenza del portato politico-ideologico hanno a lungo nascosto. Queste pagine insistono invece su una storia comune tra Europa e America, prima che, nel XIX secolo, le loro strade si dividessero.
Per il movimento risorgimentale il Mezzogiorno rappresentò sino al 1848 una terra dal forte potenziale rivoluzionario. Successivamente, la tragedia di Pisacane a Sapri e le modalità stesse del crollo delle Due Sicilie trasformarono quel mito in un incubo: le regioni meridionali parvero, agli occhi della nuova Italia, una terra indistintamente arretrata. Nacque così un'Africa in casa, la pesante palla al piede che frenava il resto del paese nel proprio slancio modernizzatore. Nelle accuse si rifletteva una delusione tutta politica, perché il Sud, anziché un vulcano di patriottismo, si era rivelato una polveriera reazionaria. Si recuperarono le immagini del meridionale opportunista e superstizioso, nullafacente e violento, nonché l'idea di una bassa Italia popolata di lazzaroni e briganti (poi divenuti camorristi e mafiosi), comunque arretrata, nei confronti della quale una pur nobile minoranza nulla aveva mai potuto. Lo stereotipo si diffuse rapidamente, anche tramite opere letterarie, giornalistiche, teatrali e cinematografiche, e servì a legittimare vuoi la proposta di una paternalistica presa in carico di una società incapace di governarsi da sé, vuoi la pretesa di liberarsi del fardello di un mondo reputato improduttivo e parassitario. Il libro ripercorre la storia largamente inesplorata della natura politica di un pregiudizio che ha condizionato centocinquant'anni di vita unitaria e che ancora surriscalda il dibattito in Italia.
Gli anni di Bonaparte in Italia costituiscono un terreno largamente arato dalla storiografia. I molteplici studi al riguardo hanno però spesso finito per privilegiare le numerose realizzazioni in merito al rinnovamento civile e all'ammodernamento delle strutture di governo, poco sostando invece sul concreto significato politico di quella stagione. Autoritarismo e accentramento di governo hanno così stretto a tenaglia la lettura degli anni napoleonici, molto sminuendo il loro significato sotto il profilo della pratica rivoluzionaria e della nascita di una originale cultura politica. Questo libro, che riassume molteplici studi condotti al riguardo dall'autore, suggerisce una lettura diversa di quella stagione, dove - molto insistendo sull'eccezionalità (e sulla longevità) della generazione politica comparsa sulla scena all'arrivo di Bonaparte - si sottolinea la centralità degli anni che dal 1796 corrono sino al 1821 nel processo di costruzione del movimento nazionale di secolo XIX. Mediante la dettagliata analisi dell'impatto dell'invasione napoleonica su tutta la penisola (e di rimbalzo anche sulle due isole maggiori, mai direttamente invase dalle truppe francesi), queste pagine prospettano cosi un altro quadro della cultura politica del Risorgimento, dove i tratti, puntualmente accreditati, del liberalismo conoscono una forte attenuazione e si sottolinea, invece, come l'ideale dell'unità italiana avesse radice profonda nell'azione di una generazione, cresciuta con Bonaparte.