Nelle pagine di questa raccolta di saggi promossa e curata da Marco Settembrini vengono illustrati e approfonditi celebri oracoli di Isaia. Dedicati al testo ebraico del profeta biblico come alle sue prime traduzioni e alle sue riprese in età patristica, nei diversi studi Isaia è indagato per la visione che coltiva di vicende di secoli passati, è apprezzato per il valore sapienziale sempre attuale, soprattutto è letto in rapporto all'evangelo di Gesù, al quale prepara e del quale illustra la dynamis salvifica. Lo Spirito del Signore si è manifestato; l'alleanza di Dio con Israele è aperta a tutte le nazioni; grazie alla parola celeste il mondo si è rinnovato e si ricrea; come nel tempio antico di Gerusalemme cielo e terra si predispongono ad accogliere l'umanità convocata al cospetto del Santo.
Va presa sul serio l'attribuzione, da parte della tradizione ebraica, del libro di Qoèlet al re Salomone. Eppure, a prima vista nulla sembra più lontano dal messaggio del Qoèlet "Vanità delle vanità, tutto è vanità" del re di Israele più grande di sempre, sapiente oltre ogni misura, fortunato in amore e straordinariamente dotato di ricchezze. Cosa si nasconde, dunque, dietro tale misteriosa assegnazione? Quale enigma si cela fra le ruvide riflessioni di un saggio ebreo che non cita la Torah, non fa menzione di Gerusalemme e sembra ben poco attratto dalla prospettiva di un aldilà? Seguendo il filone della teologia narrativa, il libro reinventa, sulla scorta del midrash ebraico primo livello di lettura, la storia di re Salomone a partire dagli anni belli della giovinezza e della costruzione del tempio a Gerusalemme; lo seguiamo, poi, nella sua progressiva crisi e maturazione quale futuro autore del Qoèlet. Nel secondo livello di lettura il libro biblico è situato nel contesto della nostra cultura post-moderna, in cui sta riemergendo dal passato, in maniera sotterranea ma evidente, un'istanza sapienziale che può rispecchiare i propri dubbi, le proprie faticose speranze e le proprie perplessità in personaggi biblici sui generis come lo stesso Qoèlet.
Il secondo tomo dell'opera di Richard Hays completa il capitolo dedicato a Luca e affronta la problematica dell'utilizzo della Scrittura di Israele nel vangelo di Giovanni, per concludere con un profilo argomentato della trasformazione ermeneutica messa in atto nei quattro vangeli canonici. Se, come si è osservato, «questo libro eccezionale combina in pari misura esaustività ed eleganza», altrettanto straordinario è come si venga guidati nella profondità dell'incardinamento dei vangeli nella Scrittura di Israele. La narrazione evangelica si svolge lungo due assi, quello della Scrittura e quello della vicenda di Cristo, e la loro articolazione è all'origine di una rete di trasformazioni di natura letteraria, storica e teologica: trasformazione della letteratura e delle tradizioni di Israele, delle attese messianiche giudaiche, trasformazione radicale della nozione di evangelo, trasformazione anzitutto della lettura e del lettore.
Frutto di una pratica diuturna e costante del testo greco neotestamentario come delle versioni greche antiche della Bibbia ebraica, l'opera di Richard Hays illustra i molti modi e i molti sensi in cui la Scrittura d'Israele è presente nei quattro vangeli canonici. Il saggio repertoria ogni minima allusione, reminiscenza o citazione, implicita, vaga, velata o esplicita, della Scrittura d'Israele, ma non solo. In questo «autentico capolavoro di uno degli studiosi contemporanei del Nuovo Testamento più creativi», com'è stato definito, viene a emergere come gli evangelisti rifondano e riconfigurino il linguaggio religioso formulato nelle scritture d'Israele, e per quali vie questo concorra a costruire l'immagine e l'immaginario di un nuovo Israele.
La costola di Adamo e la mela di Eva. L'azzurro mare dell'Esodo che viene chiamato Rosso. Mosè raffigurato con le corna. Un ramoscello che diventa una rosa. Un cammello che passa per la cruna di un ago. La Bibbia, considerata da Claudel un «immenso vocabolario», da Blake un «grande codice dell'arte» e da Chagall un imponente «atlante iconografico», costituisce un inesauribile deposito di figure e metafore che talvolta sono il risultato di sviste e di veri e propri errori di traduzione. Prefazione di Jean-Louis Ska. Postfazione di Roberto Alessandrini.
Descrizione
Salvatore bambino, condottiero durante l’esodo, colui che riceve la rivelazione del Sinai, guida nel deserto, maestro la cui funzione è passata ai rabbini: queste sono le forme principali in cui si è manifestata la figura di Mosè nella tradizione rabbinica e a cui l’autore dà rilievo. Il libro presenta alcuni testi rabbinici essenziali per questi ambiti tematici particolarmente significativi, inseriti nel quadro più ampio della storia del rabbinato, mantenendo un confronto costante, benché non sistematico, con testi cristiani paralleli. Si è scelto un approccio per così dire «biografico», che accompagna il percorso del testo biblico. Per i singoli temi, le unità testuali di maggiore estensione si trovano generalmente solo nei testi di epoca più tarda, che sono scelti come punto di partenza: non per ricercare antiche tradizioni all’interno dei testi stessi, ma per esaminare elaborazioni letterarie passate, o anche semplicemente non convenzionali, di filoni narrativi o di singoli temi.
Note sull'autore
Günter Stemberger, professore emerito di Giudaistica all’Università di Vienna e visiting professor in Germania e Stati Uniti, è membro corrispondente dell’Accademia delle scienze austriaca. EDB ha tradotto La religione ebraica (21998), Il Talmud. Introduzione, testi, commenti (22012) e Il Midrash. Uso rabbinico della Bibbia. Introduzione, testi, commenti (22013).
L'evangelista Marco fu il primo a scrivere un vangelo. È il testo più antico che abbiamo insieme alle lettere di Paolo. La tradizione sosteneva che Marco fosse un discepolo di Pietro che aveva scritto un riassunto del Vangelo di Matteo. In questo studio, l’autrice sostiene che Marco è un discepolo teologico di Paolo e dimostra che la teologia di Paolo migliora la nostra comprensione della narrazione di Marco perché completa il significato del vangelo e ne integra l’intenzionalità.
Note sull'autore
Mar Pérez i Díaz è laureata in Filologia classica e ha conseguito il dottorato in Sacra Scrittura. Attualmente insegna latino e greco e Nuovo Testamento presso l’Ateneu Universitari Sant Pacià di Barcellona e l’Institut Superior de Ciències Religioses-IREL di Lleida. È patrocinante della Fundació Joan Maragall e membro dell’area teologica del centro studi Cristianisme i Justícia. Il suo campo di studio è il Vangelo di Marco, le Lettere paoline e le donne negli scritti biblici. Ha pubblicato Mark, a Pauline Theologian: A Re-Reading of the Traditions of Jesus in the Light of Paul’s Theology (2020) ed è co-autrice di due capitoli di Les Dones de la Bíblia (2016), dedicati a Giuditta e Paolo e alla misoginia.
La parola di Qohelet è una mano tesa a coloro che si trovano in difficoltà di fronte alla continua riproposizione di concetti teologici e dogmatici in forme e linguaggi ormai estranei alla sensibilità moderna. Abituato a interrogarsi e a indagare, l'uomo dei nostri giorni spesso finisce nella situazione feconda e scomoda del dubbio. Può però trovare nel prezioso libriccino di Qohelet un'ottima e affidabile guida per la sua ricerca personale.
La ricerca neotestamentaria indaga le connessioni che si sviluppano tra le testimonianze relative alla cena di Gesù con i suoi discepoli nell'imminenza del suo arresto e della sua morte. Ne emerge una trama di testimonianze particolari che rendono più efficace il resoconto biblico e più chiaro il fondamento della liturgia cristiana.
In confronto costante con la letteratura greca e romana, David Litwa illustra come per risultare plausibili gli evangelisti ricorrano a procedimenti storiografici al loro tempo correnti. Come nella storiografia coeva, nelle narrazioni evangeliche si rielaborano storie note aggiungendovi particolari, si nominano re e imperatori, si forniscono indicazioni storiche e geografiche puntuali, si adducono testimoni oculari di episodi fantastici e avvincenti ? talvolta inesplicabili o stravaganti per non dire improbabili, ma non per questo ritenuti impossibili. Nei vangeli non si trascura nessuna delle tecniche di storicizzazione condivise con una cultura letteraria comune, né si rifugge dall'inesplicabile e miracoloso quando questo possa essere presentato con tutti i crismi del reale.
Di cosa ho veramente bisogno nella vita e cosa devo cercare? In questi tempi di crisi il quarto vangelo diventa uno strumento di riflessione intorno alle domande più cruciali dell'esistenza. Qual è il mio desiderio, quali sono i miei sogni? Chi sono io, e chi è Dio? E dove devo andare, qual è il mio destino? Un libro commovente, arricchente e importante soprattutto ora!
In un tempo segnato da profonda desolazione, la figura di Aggeo, profeta di rinascita, proclama una parola di speranza e di ricostruzione dopo la distruzione dell'esilio. Con l'umanità che lo contraddistingue, con il suo stile e il suo sofferto entusiasmo si incarica di destare la fiducia di una nazione e renderla salda nell'attesa di un futuro migliore.
Nell?antichità fra i cristiani ci si appellava al peccato per spiegare una quantità incredibile di problematiche, dalla morte del figlio di Dio alla politica dell?impero romano che ne celebrava il culto, all'ordinamento del cosmo. Chi si salvava dal peccato e come? ma, soprattutto, l?idea che si aveva del peccato potrebbe dire qualcosa dell?idea di genere umano e di Dio che vi corrispondeva? Nel suo studio Paula Fredriksen racconta la storia sorprendente delle concezioni cristiane antiche e più antiche di peccato, illustrando i diversi modi in cui l?idea di peccato non ha mai mancato di adeguarsi alla diversità dei tempi storici: al pari di qualsiasi produzione umana, le idee di peccato sono creazioni culturali.
Nell'odierno cambiamento d'epoca ripercorrere le vicende dei primi 15 capitoli degli Atti degli apostoli può aiutare un discernimento teologicamente chiaro, più coraggioso e franco, attento all'ascolto reciproco e alla comunione. Il confronto può suggerire il grado di reale urgenza di molti aspetti del cammino odierno e stimolare la riscoperta dell'identità sinodale della Chiesa
Nel Nuovo Testamento, i racconti che narrano l'incontro con il Risorto non riescono a nascondere un particolare che può sembrare paradossale: chi lo incontra non lo riconosce, anche coloro che hanno vissuto con lui. Dietro la ricchezza dei particolari e delle forme delle narrazioni, questo dato sembra passare in secondo piano. Con l'acribia a lui propria, l'autore permette di riappropriarsi di queste testimonianze, valutandone in modo nuovo questa dinamica. Il Risorto rimane non riconosciuto, anche quando i segni - la luce, la voce, l'azione - permettono di incontrarlo: è questa la dinamica della fede pasquale
In questo saggio Richard Hays mira a dar conto della rappresentazione narrativa di Gesù nei vangeli canonici, con particolare riguardo per i modi in cui gli evangelisti rileggono le Scritture ebraiche vedendovi prefigurata la figura di Cristo. Detto altrimenti, Hays illustra come nei vangeli l'interpretazione figurale - resa possibile da una lettura che procede a ritroso - serva a dare testimonianza del Dio che si è incarnato in Gesù, che è lo stesso Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. L'unità letteraria figurale di Antico e Nuovo Testamento fa in tal modo emergere d'essere l'acme dell'azione con cui l'unico Dio si rivela. L'unico Signore confessato da Israele è lo stesso Dio attivamente all'opera nella morte e risurrezione di Gesù Cristo.
In quanto potenza politica egemonica, Roma incideva in grande misura sugli sviluppi culturali e religiosi nel suo impero, tanto più che nella visuale della religione propria dei romani la loro dominazione si doveva alla benevolenza degli dei. Anche per tali ragioni in questo libro si presta particolare attenzione alla politica religiosa dei romani e ai suoi rapporti con le posizioni religiose adottata dalle comunità giudaiche e da quelle cristiane della prima ora. In questa prospettiva, da una parte non si è trascurata alcuna delle problematiche fondamentali e della letteratura corrispondente; dall'altra si è mirato a formulare e documentare in termini chiari una problematica che è di primaria importanza anche per la questione della cosiddetta «separazione» delle strade.
Preceduto da uno studio edito nel 2015 intitolato "Paolo e il dono", pietra miliare negli studi sull'apostolo e la sua teologia, questo nuovo lavoro di John Barclay riprende i temi principali dell'opera maggiore e al tempo stesso aggiunge, in un discorso non specialistico e più esplicitamente rapportato al mondo contemporaneo, ulteriori analisi della nozione del dono nell'antichità e delle dinamiche della grazia nelle lettere paoline. Affrontare Paolo dalla prospettiva del dono, dell'economia della grazia, concorre a far guardare il complesso della teologia paolina con occhi nuovi, risolve alcuni dilemmi di lunga data negli studi paolini e mostra come per molte dimensioni la concezione che Paolo ha della grazia non manchi d'interessare il mondo d'oggi.
I cristiani del terzo millennio riconoscono senza difficoltà che fra i primi cristiani c?erano schiavi, ma non altrettanto facilmente prendono atto che nel movimento di Gesù c?erano anche schiavisti che schiavizzavano altri cristiani. Tutti uniti in Cristo, fatto salvo che qualcuno resta proprietario di donne e uomini di cui può servirsi nella libertà più totale? Nell?antichità molti capifila delle varie chiese erano schiavisti, e la politica ecclesiale poi ecclesiastica sosteneva anche i diritti degli schiavisti. È con questa problematica che si confronta Jennifer Glancy, in un?ottica sia storica sia cristiana, mostrando come per le chiese dei primordi come per quelle moderne e odierne quella della schiavitù sia ben più che una questione di antichistica.
Il silenzio si presenta come fenomeno culturale complesso che può essere, oggi come nell'antichità, interpretato dai punti di vista più disparati e definito nei modi più diversi. Nel suo studio Francesco Zanella si sofferma sugli aspetti principali della riflessione filosofica e teologica riguardo al silenzio nell'antichità tarda, in particolar modo nelle fonti letterarie del mondo classico, del cristianesimo, dello gnosticismo e dell'ebraismo. Intento del saggio è di fare emergere le relazioni, anche conflittuali, fra i diversi ambiti culturali, religiosi e letterari investigati, così da far luce su dinamiche al centro della storia delle idee nel mondo antico e tardoantico, della loro trasmissione e circolazione.
Parlare di «Gesù e la creazione può sembrare audace, per alcuni versi temerario, e richiederebbe di ripercorrere interamente i quattro Vangeli canonici. Stranamente, tuttavia, l‘argomento è stato oggetto di insufficiente attenzione in ambito biblico. E' più: facile incrociare la tematica in testi di cristologia che in uno studio esegetico. Laddove se ne parla, l'interesse si concentra quasi sempre sul rapporto Cristo-creazione, ma quasi mai sul Gesù storico e sui racconti evangelici. La stessa enciclica Laudato si’ di papa Francesco, che ha per tema il creato e la sua custodia, dedica a Gesù e la creazione una sola pagina. L’obiettivo di questo studio è mostrare come l'ambito della creazione e dell’ecologia, al centro dell’attenzione mediatica nel mondo contemporaneo, non sia per nulla assente nell‘insegnamento e nella prassi di Gesù. Sebbene egli non tratti direttamente l'argomento ecologico, ciò che mette in scena nel suo insegnamento è un mondo in cui l‘uomo conosce i ritmi del creato, ne rispetta le leggi, se ne prende cura, lo custodisce con dignità. Il mondo che Gesù racconta ha una dimensione altamente ecologica, poiché in esso uomo e natura appaiono in una perfetta comunione e in una reciproca integrazione. LORENZO GASPARRO, licenza al Pontificio Istituto Biblico di Roma e dottorato in Scienze bibliche all’Ecole Biblique et Archéologique Francaise di Gerusalemme, e docente alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi, a Napoli. Tra le sue pubblicazioni: Simbolo e narrazione in Marco (AnBib 198,2012), La parola, il gesto e il segno. Le azioni simboliche di Geremia e dei profeti (EDB 2015) e la curatela degli scritti di L. Di Pinto Scegliere la vita. Fondamenti biblici della teologia morale (Il Pozzo di Giacobbe 2020).
In queste sue pagine, in dialogo con i contributi più recenti della ricerca esegetica contemporanea Marco Settembrini mette a fuoco negli oracoli più celebri di Isaia dibattiti e attese nella città di Gerusalemme tra l'epoca neo-assira (VIII sec. a.C.) e la ricostituzione della società giudaica posteriormente all'esilio babilonese (V sec. a.C.). Su questo sfondo si esplorano le speranze riposte nell'«Emmanuele», nella «radice di Iesse», in un «servo» che patisce per il proprio popolo. In Isaia è questione di cecità spirituale, di «castighi», di genealogie e di sterilità, di promesse riservate a chi è indegno, nell'ottica della fiducia in un Dio che salva: Gerusalemme, sposa, madre e figlia, pur ferita dal male, è amata da chi sa risanarla.
Sparsi lungo tutto il Talmud, lo scritto fondativo del giudaismo rabbinico, s'incontrano non pochi accenni a Gesù di Nazaret, ed è di questi che in una prospettiva inedita si occupa Peter Schäfer, in un saggio tanto documentato quanto avvincente. Passando per una tradizione testuale alquanto complessa, il Talmud non cessò mai di occuparsi di Gesù e del cristianesimo, anche e forse soprattutto dopo essere caduto sotto i rigori della censura cristiana in età medievale. Vi si vede come i rabbi conoscessero a fondo i racconti neotestamentari e come se ne servissero in senso parodistico e apertamente anticristiano, a riprova sia dell'opportunità dell'esecuzione di Gesù come blasfemo e idolatra sia della superiorità del giudaismo sul cristianesimo.
Con l'acribia e il rigore che lo distinguono, in questo saggio Joseph Fitzmyer prende in esame l'uso di «messia» nella letteratura ebraica e giudaica oltre che cristiana, portando alla luce lo sviluppo del messianismo agli inizi di giudaismo e cristianesimo, sulla base di una quantità di documenti fin qui non ancora raccolti. Ne risulta come le idee di messia siano nel giudaismo e nel cristianesimo radicalmente diverse, ma anche come in assenza del messia giudaico (nelle sue varie espressioni) non ci potrebbe essere un messia cristiano. Questo nuovo studio su un argomento tanto discusso mostra come posizioni che hanno condotto a fraintendere le diverse nozioni di messia e a servirsene come strumento di divisione, poggino su presupposti contraddittori e sovente poco chiari.
Le parabole si prestano particolarmente bene a insegnare e proclamare la buona novella del regno di Dio: coinvolgono l'ascoltatore con particolari ripresi dalla vita quotidiana, lo sorprendono e ne sollecitano l'immaginazione con la possibilità di nuove prospettive. Detto in altre parole, nei vangeli sinottici si mette in primo piano che con Gesù è venuto il governo di Dio e con questo tutto è cambiato. Gesù si serve delle parabole per insegnare a chi lo segue a farsi strumento di trasformazione. Non manca chi respinge l'insegnamento di Gesù, e anche questo rifiuto è illustrato per mezzo di parabole, dove si mostra come ciò significhi sottrarsi alla speranza, al coraggio, alla promessa. In gioco è la possibilità concreta di una società alternativa, nuova e giusta.
La ricerca contemporanea sul Gesù storico ha portato alla luce le insufficienze degli studi dei secoli trascorsi, riscoprendo aspetti essenziali della figura di Gesù, in particolare l'appartenenza di Gesù al mondo ebraico. Tre libri che in Italia hanno suscitato particolare interesse - "Gesù e il giudaismo" di E.P. Sanders, "Un ebreo marginale" di J.P. Meier e "La memoria di Gesù" di J.D.G. Dunn - conducono Giorgio Jossa a chiedersi se si è davanti a opere propriamente storiografiche o non piuttosto di teologia, e se quello che vi si delinea sia realmente il Gesù storico. In un'analisi puntuale e lineare l'autore fa emergere i lati discutibili dei maggiori esponenti della biblistica odierna e indica quali dovrebbero essere i requisiti imprescindibili di una ricerca su Gesù che miri a dirsi effettivamente storica.
Questo libro si propone di individuare in quale modo, nella seconda metà del I secolo d.C., gli evangelisti sentono il bisogno di consolidare il senso identitario delle comunità cristiane alle quali appartengono. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, nel 70 d.C., i seguaci del nuovo movimento sorto dopo la morte e la risurrezione di Gesù di Nazaret avvertono la necessità di fare memoria delle loro origini e ribadiscono nella fede nel Cristo risorto ciò che li distingue dai giudei e dai gentili. La prima parte del volume prende in esame i racconti evangelici della risurrezione per enucleare la prospettiva teologica con la quale ciascun evangelista contribuisce a definire l'identità della comunità destinataria del suo scritto. La seconda parte esamina le tradizioni della scoperta della tomba vuota e degli incontri tra i discepoli e il Risorto, infine l'ultima parte riassume le conseguenze cristologiche, teologiche ed etico-antropologiche della risurrezione di Gesù.
Nelle Scritture ebraiche non pochi nomi di personaggi, luoghi e istituti cultuali sono stati diffamati per mezzo di espedienti redazionali e narrativi a prima vista slegati. Lo studio di Stefano Franchini mostra come un simile processo diffamatorio obbedisca a intenti precisi di una polemica ai danni di un santuario prejahwista scomparso, prototipo dell’inferno ebraico e cristiano. E l’indagine su tale santuario conduce a criteri ermeneutici nuovi con cui affrontare vari aspetti interessanti: la provenienza degli abitanti di Gerusalemme; la conversione di Saul; la natura dei primi racconti cristologici; la continuità che lega paganesimo, giudaismo e protocristianesimo; Saulo di Tarso e Paolo; lo scisma cristiano.
L'opera di Shaye Cohen vuole essere un'introduzione alla storia giudaica del periodo ellenistico e romano, considerata nelle sue pratiche e nelle sue istituzioni, non in una prospettiva meramente funzionale o propedeutica alla storia del cristianesimo. È ferma convinzione dell'autore che lo studio degli inizi del cristianesimo è compito della storia del giudaismo antico, entrambi partecipi della cultura greca e romana. In quest'ottica, scoperte stupefacenti come quella di Qumran, l'entrata in scena di un nutrito repertorio di arte giudaica antica e la decifrazione di testi mistici giudaici sono elementi straordinari che rivoluzionano il quadro del giudaismo antico e fanno ripensare radicalmente quella che si vorrebbe continuare a vedere come "separazione delle strade".