
Tutta la Chiesa è in cammino, coinvolta in un processo sinodale che culminerà nel 2025 con il Giubileo. Uniti dallo Spirito è una raccolta di canti per la messa, per celebrare le meraviglie del Signore in questo tempo di Grazia che stiamo vivendo, nell'orizzonte della sinodalità. Gli inni di apertura e di chiusura desiderano esaltare la Chiesa nel suo essere: vicina e prossima al cuore ferito della gente, in ascolto delle sue domande, pronta a seminare dovunque semi di speranza per nuovi germogli di vita piena. È una Chiesa che narra la fede, allarga i suoi orizzonti, provoca, scuote e guida tra le tempeste del tempo verso una pienezza di compimento e di senso. Una Chiesa che cammina tra la pandemia e la guerra e vuole suscitare profezie, intrecciare relazioni, risuscitare un'alba di speranza in questa notte oscura del mondo. I testi attingono ai vari interventi sia del Papa sia dei primi sussidi emanati dalla CEI e le musiche sviluppano un linguaggio cantabile, semplice e adatto alle nostre assemblee. Tutti i brani si possono eseguire all'unisono, ma sono previste anche altre voci che possono rendere più ricca e solenne la melodia. Anche l'accompagnamento organistico è semplice e sostiene e arricchisce la melodia principale.
In questa nuova raccolta il M° Fabio Massimillo celebra i divini misteri della liturgia, evento sfolgorante nato dalla Risurrezione di Cristo. Nel brano di apertura, tratto dal Salmo 122, l'antico canto dei pellegrini radunati per salire a Gerusalemme diventa canto d'ingresso dei fedeli di oggi, che, attraverso la celebrazione eucaristica, entrano nella Città santa, dove incontreranno la luce dell'Agnello vittorioso. Dopo aver celebrato la messa, ciascun discepolo è chiamato - come i primi apostoli - ad affermare "Abbiamo visto il Signore": è il canto sull'esperienza di vita della chiesa durante la messa, "vedere" con gli occhi della fede, "gustare" con il cuore la sua carità nella comunione con i fratelli. Chiude la raccolta il brano Canterò per te, composto da alcune citazioni di salmi festosi, una sorta di danza gioiosa del cuore, perché l'incontro con Dio avvenuto nella Parola e nel Pane ha inciso in modo determinante nella vita.
Un pellegrinaggio cantato" lungo le strade della Parola di Dio. "
Dopo il successo di Tutti i volti dell’arte, Il volto di Gesù e Il volto e l’anima della natura, Flavio Caroli affronta il tema della rappresentazione dell’amore nell’arte occidentale. Dalla pittura dell’antica Roma al Rinascimento, dal Romanticismo all’Impressionismo, dal Cubismo all’Astrattismo l’amore non è stato solo uno dei temi che hanno ispirato i più grandi artisti, ma la sua iconografi a ha scandito duemila anni di storia dell’arte e della cultura, anticipando movimenti e lineamenti della nostra civiltà. Se la rappresentazione del “volto della natura” è un percorso in ciò che è esterno alla “pupilla umana”, la storia dell’immagine dell’amore è un viaggio interiore, attraverso il corpo e l’anima: l’amore è lo specchio attraverso cui l’uomo riflette le proprie passioni, il sentimento verso gli altri e il senso stesso della propria vita. Un libro riccamente illustrato, che si legge come un racconto, pieno di curiosità, aneddoti e dettagli illuminanti.
"Il cinema, allora, era una grande famiglia, è vero. C'era un rapporto di comprensione, anche di affetto. Poi ci sentivamo tutti parte di una grande avventura, far rivivere sullo schermo la vita. Il nostro è un mestiere particolare.
Se lo fai con passione non te ne puoi liberare.
Ti rimane dentro, non c'è niente da fare."
Proprio di "grande avventura" è il caso di parlare a proposito di Francesco Rosi, classe 1922, maestro indiscusso del cinema italiano che ha deciso di raccontare la propria vita e i segreti del suo mestiere a un altro straordinario regista, il suo amico Giuseppe Tornatore.
È in famiglia, nella Napoli degli anni Trenta, "legata a doppio filo con il suo mare", che tutto comincia: papà Sebastiano, appassionato di cinematografo, lo riprende con la sua Pathé Baby a passo ridotto e gli scatta magnifici fotoritratti, ispirandosi anche a Jackie Coogan, il celebre protagonista del Monello di Charlie Chaplin. Poi ci sono zio Pasqualino, "capoclaque " nei teatri di rivista, e zia Margherita, che oltre a somigliare a Ginger Rogers, lo accompagna ogni giovedì al cinema, dove il piccolo Francesco scopre la magia dei primi film muti.
Nell'immediato dopoguerra Rosi si trasferisce a Roma dove, insieme a una spiccata passione per il teatro e per la letteratura, porta con sé lo stupore per quelle sagome di ombre e luci che si agitano su uno schermo bianco. E capisce che il cinema diventerà il suo mestiere. Allievo e aiuto regista di Luchino Visconti, esordisce dietro la macchina da presa nel 1958 con La sfida, ma è con capolavori come Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei e Lucky Luciano che conquista un posto di assoluto rilievo nel panorama del cinema internazionale, fino a essere riconosciuto il caposcuola di un'estetica della realtà che mai, prima di lui, aveva raggiunto vette di così vivida e concreta espressività.
Puntiglioso nell'approfondire il contesto storicodocumentario che doveva fare da ossatura narrativa ai propri film, attento alle evoluzioni del costume e alle oscure ambiguità della politica, Rosi ha lavorato accanto ai migliori talenti espressi dalla cultura italiana dell'ultimo mezzo secolo, qui tratteggiati in pagine felici e importanti: intellettuali, critici, giornalisti come Ennio Flaiano, Sergio Amidei, Raffaele La Capria, registi come Rossellini e Fellini, attori del calibro di Gian Maria Volonté e Sophia Loren.
In questo libro-intervista che è insieme autobiografia e saggio critico, Rosi ci svela una miniera di informazioni e aneddoti che riguardano i suoi film e la sua straordinaria carriera di regista, senza lasciare "fuori campo" gli aspetti più intimi e privati di una vita intensa e coraggiosa, trascorsa accanto all'amatissima moglie Giancarla.
Grazie al confronto con Tornatore, alle sue domande sempre curiose e penetranti, Io lo chiamo cinematografo è anche l'appassionato ed entusiasmante racconto di mezzo secolo di cinema italiano.
"Carol Rama dipinge dentiere e sessi femminili e maschili, l'eros e l'inconscio, il suicidio del padre e i disturbi nervosi della madre, scandalizzando la cultura ufficiale, che la riconoscerà solo quando avrà compiuto settant'anni. Carla Accardi traccia segni e costruisce geometrie, unica donna nel gruppo dei pittori astratti vicino al Partito comunista. Giosetta Fioroni raffigura volti femminili e costruisce teatrini, anticipa il reality chiudendo in una stanza un'attrice da osservare attraverso lo spioncino, divide la vita con un grande scrittore, è amica dei poeti e dei pittori maledetti di piazza del Popolo, attraversa il dolore senza mai perdere la gioia di creare. Marisa Merz usa l'alluminio, la cera, il sale, con i ferri da calza tesse il rame e il nylon, guarda alla natura e alla fabbrica. A ottantun anni è una regina dell'arte internazionale ma rimane chiusa nel suo silenzio e nel suo enigma." Rachele Ferrario ricostruisce le storie di queste grandi artiste, che hanno cercato la libertà nella vita e nella sperimentazione e hanno saputo affrancare il loro lavoro dal luogo comune dell'"arte al femminile", e ci offre nel contempo uno scorcio dell'effervescente vita culturale dei primi decenni del dopoguerra: dai salotti torinesi (con Giorgio Manganelli, Edoardo Sanguineti e il giovane Calvino) alla Roma del Caffè Rosati, dei galleristi, dei registi e degli attori, fino alla Parigi di Tristan Tzara e Alberto Giacometti.
L'abbiamo conosciuto con il vento tra i capelli, su una Lancia Aurelia guidata da Vittorio Gassman, nel "Sorpasso". Era bello, sorridente, felice e correva a tutta velocità verso il futuro. E invece la tragedia lo aspettava dietro l'angolo. In quel film e nella vita. Alcuni anni dopo, mentre Trintignant è sul set del "Conformista" di Bernardo Bertolucci, la scure del destino, impietosa, cala su di lui: la secondogenita Pauline muore in culla. Seguono anni duri, dolorosi, che però i grandi successi professionali in qualche modo addolciscono. Ma proprio quando la vita sembra aver compiuto il suo ciclo, l'anziano Trintignant, ormai nonno di quattro nipoti, viene colpito ancora una volta da una freccia avvelenata: sua figlia Marie muore, ammazzata di botte da suo marito, il cantante dei Noir Désir Bertrand Cantat. Un dolore così a settant'anni può essere fatale. Eppure Trintignant ancora una volta decide di vivere, di continuare a percorrere la sua strada che proprio quest'anno l'ha portato a vincere a 81 anni la palma d'oro a Cannes con il film "L'amour". In "Alla fine ho deciso di vivere" Trintignant ci racconta la sua storia, ripercorre la sua vita, quella vita che tanto gli ha dato e che forse troppo gli ha tolto.
Questo libro è un evento. Una storia che aspettavamo ci venisse raccontata. Un tuffo in un mondo che suscita nostalgia anche in chi non l'ha vissuto.
A dieci anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber, il suo storico coautore e amico Sandro Luporini rompe l'ormai leggendario riserbo, e dal suo inviolabile rifugio viareggino apre le porte su uno dei più straordinari sodalizi artistici degli ultimi decenni. Svelando un tesoro di cui è il più autorevole custode. Racconta le discussioni, le idee, i dubbi, le storie, qualche volta le coincidenze che hanno dato origine ai loro capolavori: cosa intendevano veramente in certe canzoni troppo spesso fraintese, da dove è nata la battuta "quasi quasi mi faccio uno shampoo", o che "...volevamo dire 'libertà è spazio di incidenza', ma anche senza essere musicisti si capisce bene che una roba così non si poteva proprio cantare". Ma anche i particolari di un uomo fuori dall'ordinario, ironico e curioso di tutto, che lavorava anche quando sembrava fare altro e andava al mare con le Clark.
Il bel pretesto narrativo è l'incontro tra Luporini e un ragazzo giovane, attento e appassionato che non ha avuto la fortuna di conoscere il Signor G e la sua epoca. Il risultato è puro Gaber: intelligenza, ironia, e una profondità che appena rischia di diventare pesantezza ha uno scarto, un guizzo, e ritorna meravigliosamente leggera.
G. è quanto di più vero e definitivo si potesse scrivere su Giorgio Gaber. Sandro Luporini riesce nel miracolo di restituirci quello stile, quel gusto, quel modo di vedere le cose che ci ha tanto affascinato, e di cui tanto sentivamo la mancanza.

