
Uno dei più autorevoli studiosi di pittura antica affronta in questo volume l'eccezionale ciclo di affreschi proveniente dalla villa scoperta nell'Ottocento nei giardini della Farnesina sul lungotevere a Roma. Gli affreschi e gli stucchi delle antiche stanze, ricostruite oggi all'interno del Museo Nazionale Romano, costituiscono la più vasta e meglio conservata testimonianza delle tendenze della pittura d'età augustea che s'impone nel panorama artistico antico per raffinatezza, varietà cromatica e di soggetti, come le grandi e fedeli riproduzioni nel volume permettono finalmente di apprezzare.
Partendo dai primi provvedimenti ottocenteschi, per arrivare a una riflessione sul concetto di tutela nei giorni nostri, la mostra si propone di illustrare le conquiste e i progressi compiuti nel nostro Paese in difesa del patrimonio artistico, ma anche i problemi posti dai traffici illeciti che su questo vengono costruiti. Articolata in sei sezioni, affronta anche i temi delle calamità naturali che hanno visto lo sforzo comune fra istituzioni, associazioni e collettività per la tutela delle opere d'arte e confermato l'utilità, ai fini del restauro, della documentazione preventiva.
Dopo il primo lungo viaggio in Italia, tra il 1901 e il 1902, Paul Klee ritornò più volte nel nostro paese: in Sicilia nel 1924 e nel 1931, all'isola d'Elba nel 1926, a Viareggio nel 1930 e, infine, nel 1932 a Venezia. Durante questi viaggi visitò anche Milano, Genova, Padova, Firenze, Ravenna, Pisa, l'amata Napoli. Ogni città fu di ispirazione per nuovi spunti di studio e in alcuni casi determinarono anche svolte stilistiche, come la fase pointilliste suggeritagli dalla visione dei mosaici bizantini di Ravenna. Ideati direttamente sul posto o creati al rientro in Germania, i "lavori italiani" sono una settantina e si presentano ora in termini astratti ed evocativi, ora di topografica esattezza. Molte di più, tuttavia, sono le opere di Klee nate sotto la spinta delle impressioni, delle riflessioni e dei ricordi suscitati dalla natura e dalla storia italiana. Quattro sono i punti che riassumono l'Italia nella visione di Klee: natura, architettura, classicità e musica, ossia le fonti della sua arte, le basi dei processi creativi e degli sviluppi propriamente tematici della sua opera. Il catalogo presenta le circa 70 opere in mostra, molte immagini di confronto, una selezione di documenti fra cui alcune lettere che Paul Klee scrisse alla moglie dall'Italia, in parte qui tradotte per la prima volta. Chiude una selezione di testi critici a firma di Argan, Ponente e Zahn a conferma delle fortuna critica dell'artista.
Per quasi un secolo l'Istituto Luce ha prodotto, raccolto e conservato milioni di immagini (fotografie e film del reale), divenendo il custode della memoria visiva degli italiani. I suoi fotografi e operatori, e i molti altri di cui i suoi archivi conservano il lavoro, hanno raccontato ad almeno tre generazioni innumerevoli viaggi avventurosi e la vita dei microrganismi, i trasformismi della politica e la fatica del lavoro, le bellezze artistiche della penisola e le stelle del cinema internazionale. Attraverso il talento di veri e propri maestri dell'obiettivo oppure lo sguardo "medio" dei cronisti delle messe in scena della propaganda, si è creato l'immaginario italiano, quell'album mentale, personale o condiviso, che ognuno di noi costruisce attraverso sensazioni, ricordi, e soprattutto "immagini", vere o fittizie, desiderate o odiate, fatte insieme di realtà e fantasia. Questo libro, come una sorta di autobiografia "non autorizzata", mostra come gli italiani si sono osservati per quasi un secolo attraverso l'obiettivo severo o indulgente dell'informazione visiva, che ha descritto ogni loro conquista, illusione, debolezza, speranza. Anche quando viene sottomessa agli imperativi della comunicazione politica, la fotografia (come il film "dal vero") conserva sempre una sua autonomia (il reale si ribella alla rappresentazione), rivelando una storia di volti, di paesaggi, di vita intima che nessun altro mezzo è in grado così efficacemente di raccontare.
L'Italia da non perdere raccontata da un grande conoscitore d'arte, che utilizza un linguaggio divulgativo e immediato. Cinquantadue città italiane, con la loro storia, i monumenti, le opere d'arte, descritte in altrettante schede e documentate da fotografie a colori. Grandi centri urbani, piccole cittadine, aree monumentali, musei e ville da riscoprire: Ascoli, Assisi, Atri, Bergamo, Bitonto, Bologna, Borgo San Sepolcro, Castel del Monte, Cortona, Cuma, Ferrara, Firenze, Genova, Gubbio, L'Aquila, Lecce, Lucca, Mantova, Maser, Matera, Milano, Monreale, Monte San Giusto, Monte Sant'Angelo, Napoli, Orvieto, Padova, Paestum, Palermo, Parma, Pavia, Perugia, Pienza, Pistoia, Pompei, Possagno, Ragusa, Ravenna, Roma, Segesta, Siena, Siracusa, Tivoli, Trani, Torino, Tuscania, Urbino, Varallo, Venezia, Verona, Vicenza, Villa Lante. Chiese, palazzi, piazze, dipinti, affreschi e sculture rivivono nelle pagine di questa guida.
Per la critica tradizionale, a partire dal Rinascimento l'opera pittorica è stata concepita per essere guardata a distanza. Dalla distanza "ragionevole" si vede, e si apprezza, compiutamente la bellezza e l'armonia dell'insieme. Arasse ha smontato il principio della distanza classica in pittura. Ha dimostrato che dentro l'ordine generale di ogni quadro, dentro l'insieme della composizione, s'annidano dettagli che sfuggono a quest'ordine, e che arrivano a sovvertirlo e ad annullarlo. Queste piccole parti del quadro vengono percepite soltanto se si guarda da vicino. Dalla distanza ravvicinata si colgono gli elementi "segreti" del quadro, quelli a cui il pittore ha affidato il suo messaggio, quelli che riservano le "vere" occasioni di godimento della pittura. Attraverso la visione ravvicinata di Arasse, molti capolavori a tutti noti, e da tutti ripetutamente visti, si scoprono come "inediti", visti per la prima volta. Improvvisamente, attraverso un dettaglio, spunta una nota ironica, o un'allusione erotica, in un dipinto d'argomento sacro. Oppure affiora l'intento di forte critica politica, o la testimonianza umana ed esistenziale, in un quadro apparentemente convenzionale, a destinazione "ufficiale". O, infine, mediante il trattamento del dettaglio, il pittore può rivelare le sue più autentiche scelte stilistiche, la sua "idea" dell'arte.
Nella loro vita non breve Schönberg e Stravinsky si incontrarono una sola volta, nel 1912, alla Krolloper di Berlino: fu uno scambio cordiale e pieno di stima, perché da una parte c'era "Petruska" e dall'altra il "Pierrot lunaire", che qualche giorno dopo Igor avrebbe ascoltato alla Choralion Saal. Passarono gli anni e i due divennero, sia pure con caratteristiche diverse, celebrità, ma non si incontrarono mai più. Si sfiorarono spesso, si intravidero da lontano, ma i contatti si ridussero a qualche dichiarazione un po' maliziosa, amplificata dai giornali e trasformata in opposizione radicale da seguaci ed esegeti. Oggi la storia di questi due geniali musicisti, che in fondo si sono sempre apprezzati, merita di essere raccontata in maniera più oggettiva. Le loro vicende si svolsero prima a Vienna, San Pietroburgo, Berlino, Parigi, poi a New York, Los Angeles, nel mondo intero. Su questi scenari antichi e moderni risuonano, come voci di un coro, le testimonianze di Richard Strauss, Busoni, Hofmannsthal, Kandinskij, Zweig, Rilke, Werfel, Thomas Mann, Rimskij-Korsakov, Diaghilev, Debussy, Picasso, Gide, Valéry, Auden... Musica, pittura, architettura, poesia e meditazioni religiose si propagano fra queste pagine come echi profondi degli scenari dell'esilio, dell'impatto con nuove realtà sociali, delle persecuzioni razziali, della guerra.
Il volume è il catalogo della mostra di Bergamo (Accademia Carrara, Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, 12 aprile - 2 luglio 2000). L'esposizione presenta quaranta dipinti, di cui quindici di Caravaggio, con alcune opere chiave della sua evoluzione artistica. Una sezione della mostra è dedicata al contesto di formazione del Caravaggio con opere di Lomazzo, Campi, Peterzano, Moroni, Savoldo e del Lotto.
Il David di Michelangelo, la cupola del Brunelleschi, la Venere del Botticelli: capolavori che suggeriscono ideali di armonia ultraterrena e spiritualità purissima. Ma non tutto è come sembra, e in queste pagine Alexander Lee ci mostra le contraddizioni nascoste sotto l'elegante superficie dell'arte rinascimentale italiana. Perché dietro alle sue opere simbolo ci sono le storie misconosciute legate al brutale ambiente degli artisti dell'epoca, ai meschini interessi dei loro mecenati e a inconfessabili pregiudizi sulla "scoperta del mondo". Un ritratto duro e anticonvenzionale dell'"epoca della bellezza", i cui splendidi frutti sono indissolubilmente legati all'uomo, alla sua carne e alle sue bassezze.
"L'opera d'arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica'' è il saggio di filosofia dell'arte più importante del XX secolo. Ne esistono cinque differenti versioni, a vario livello di incompiutezza, elaborate da Walter Benjamin tra il 1935 e il 1936: quattro in tedesco, una in francese (l'unica a essere pubblicata con l'autore in vita). La presente edizione propone per la prima volta il "Kunstwerkaufsatz" di Benjamin in una forma radicalmente innovativa, che coniuga il rigore storico-filologico nella ricostruzione genetica dell'opera con l'interrogazione teoretica, aperta e problematica, delle cinque versioni del saggio. Il nucleo centrale del volume è costituito dalla collazione del testo tedesco, a cura di Vincenzo Cicero, e dalla traduzione italiana, curata da Salvatore Cariati e Luciano Tripepi: l'intento è di offrire, finalmente in una visione sincronica, la collazione critica di tutti i passi e di tutte le varianti significative delle cinque versioni, graficamente riconoscibili nella loro autonomia, disposte come innesti comparativi sul testo base dell'ultima redazione. La premessa gnoseocritica e la nota editoriale tratteggiano rispettivamente la prospettiva speculativa e redazionale entro cui è sorto il progetto di rimontaggio dell'opera. L'introduzione e la cronologia della vita e delle opere di Benjamin ricostruiscono il contesto della sua genesi e delle sue varie redazioni sulla base della più recente edizione critica tedesca. Infine, la struttura degli apparati, in gran parte bilingui, comprende le varianti testuali più ampie, la sinossi delle cinque versioni, una significativa selezione di paralipomeni, alcuni momenti epistolari essenziali, le note ai testi, i registri terminologici e gli indici. Un'edizione, dunque, che si pone come una novità nel panorama internazionale degli studi su Benjamin.
«Immagini dell'Italia», ha scritto un amico di Muratov, Boris Zajcev, non è un manuale di storia dell'arte: piuttosto, «un libro di iniziazione, di consacrazione all'Italia in quanto categoria dello spirito», sorretto da una «capacità virtuosistica di sentire l'Italia» - e, aggiungiamo, di restituirla in tono confidenziale al lettore, trasformato in interlocutore e compagno di viaggio. Ne abbiamo la prova soprattutto in questo secondo volume, dove Muratov riesce a comunicarci quel «sentimento di Roma», simile alla «felicità della giovinezza», che suscita la presenza vivente dell'antico: così, di fronte ai lauri «quasi umani» che crescono accanto alla Casina Farnese sul Palatino, abbiamo anche noi l'impressione che la metamorfosi di Dafne divenga comprensibile, e che torni a manifestarsi «un mondo perduto di immagini per metà umane e per metà naturali». A Muratov infatti non importa tanto conoscere il passato, quanto stabilire con esso un contatto, sicché gli sarà propizio, più dei Musei Vaticani o Capitolini dalla sconfortante e cimiteriale magnificenza, il Chiostro di Michelangelo alle Terme di Diocleziano, dove le ombre delle foglie e dei rami che scivolano sui marmi «sono una sorta di "trait d'union" fra il nostro mondo e l'antico, e la sola cosa che consenta al cuore di riconoscerlo e di credere nella sua vitalità». Si rivela per questa via la verità segreta delle opere d'arte, e da ultimo quella delle metope di Selinunte: il mito è «rischiaramento del mondo, liberazione dell'essenza spirituale di ogni cosa».
Bloch ha definito la musica il sognato castello, il brivido interiore, il razionale dell'irrazionale, le ardenti braccia del desiderarsi a casa, l'humanum utopico del mondo, quell'appello lanciato verso ciò che manca. L'originalità del suo pensiero è nell'aver individuato il profondo legame tra musica, filosofia e speranza, all'unisono con quanto affermato da Nietzsche, Cioran, Marcel, García Morente e Claudel.

