
Il Povolâr Ensemble è un gruppo musicale nato nel 1977 dall'incontro di Giorgio Ferigo con Francesco Vigato, Fiammetta Bagno e Toni Zogno. Da allora, in oltre dieci anni di attività, ha portato avanti in maniera esemplare e innovativa un'indagine poetica e musicale sulle lacerazioni, i costumi, le contraddizioni e i sogni di una piccolissima comunità, la Carnia. Questa edizione antologica delle canzoni del Povolâr Ensemble raccoglie le tre storiche incisioni del gruppo - 'Il timp das radîs' (1980), 'Cjamp dai pierdûts amôrs' (1983) e 'Notgrops' (1987) - con l'aggiunta di un quarto cd che presenta per la prima volta il 'live' registrato a Tolmezzo nel 1988. Vengono riproposte inoltre tutte le canzoni e tutti i testi, anche quelli inediti o mai musicati, e ancora ci sono foto, documenti e immagini che a volte raccontano più delle parole.
Il cantautore e poeta brasiliano Chico Buarque ha ignorato di avere un fratellastro finché ha compiuto ventidue anni. Suo padre, lo scrittore e accademico Sergio Buarque de Hollanda, aveva vissuto a Berlino negli anni inebrianti della Repubblica di Weimar e lì aveva avuto una relazione con una donna tedesca. Dall'unione era nato un figlio, poi dato in adozione ancora in fasce. Molti anni dopo la scoperta di quel fratello, Chico Buarque decide di indagare cosa possa essergli successo. E la ricerca lo porta nella San Paolo degli anni sessanta, quando il giovane Francisco Hollander, detto Ciccio, trova una lettera scritta in tedesco nascosta in un libro della vasta libreria del padre. Chico Buarque consegna al pubblico un romanzo di formazione in cui, dosando con raffinata ironia dato autobiografico e finzione letteraria, scava nelle radici europee della società brasiliana intrecciando le grandi svolte del Novecento con le rimozioni di un interno familiare di San Paolo, stipate nel buio di cassetti che un giorno, inesorabilmente, tornano ad aprirsi.
"L'arte all'ordine del giorno" è un espressione formulata da Raffaello Giolli, una delle più lucide intelligenze critiche degli anni trenta, per segnalare la portata etica e sociale, oltre che estetica, della "questione delle arti" nel periodo che porta dal consenso al regime fascista alla svolta degli anni quaranta. L'espressione viene qui utilizzata per sottolineare non solo la rilevanza del mondo artistico nella cultura italiana degli anni trenta, ma anche la centralità della problematica artistica nel periodo dell'immediato dopoguerra.
Nella storia, anche nella nostra storia o in quella delle donne e degli uomini, esistono momenti in cui ci si sente proiettati al di là di tutto, in una terra di esilio in cui pare sgretolarsi ogni parola, e dunque la possibilità di comunicare agli altri il senso di un'esperienza che si avverte come estrema. Questo libro cerca, nelle pieghe di alcuni grandi testi letterari e artistici, di esplorare i tentativi di andare oltre questo indicibile e di darne testimonianza. Attraverso brevi capitoli, che hanno la cadenza e la struttura di un'indagine e di una narrazione, possiamo seguire il viaggio lungo i confini e dentro le terre d'esilio di Kafka e Proust, Beckett e Simenon, Coppola e Lucien Freud, Baudelaire e Flaubert, Kertész e Melville.
Non un testo sistematico, ma una raccolta variegata di interventi che consentono di cogliere le diverse forme espressive dell'arte contemporanea in ambiti non convenzionali, dalla moda al libro, dal bodydesign al disco. L'arte come contaminazione tra linguaggi diversi, sconfinamento da una materia all'altra, da una tecnica all'altra, da un'espressività all'altra. La trasformazione dei musei, da istituzioni per la conservazione di opere a macchina da spettacolo e di qualificazione urbana. L'architettura, la cui capacità progettuale, amplificata dalle nuove tecnologie virtuali, espande le potenzialità comunicative fino a diventare visione totale a cui concorrono anche pittori e scultori. Il libro apre a una modalità di fare arte, di che cosa è arte oggi, in cui le distinzioni si fondono e si confondono, in un rapporto fluido di tutti i modi di espressione.
Gruppi di ragazzi e di uomini si riuniscono in una città greca per bere, cantare, amoreggiare. Ma che cosa sappiamo del simposio – a parte quello indimenticabile narrato da Platone? In questo libro Maria Luisa Catoni ci offre un frammento di una società diversissima dalla nostra. Una ricerca magistrale, che distrugge ogni senso di falsa familiarità con l’antico.
Il libro
"Questo libro racconta storie di mescolanze. Lo fa a partire da quella, fisica, di vino e acqua. Così, infatti, i Greci ritenevano si dovesse bere il vino, mescolato con acqua in proporzioni variabili a seconda del grado di ubriachezza desiderato, in un vaso, il cratere, che porta nel nome la radice del verbo greco keránnymi, cioè mescolare."
Maria Luisa Catoni
Gruppi di ragazzi e di uomini si riuniscono in una città greca per bere, cantare, amoreggiare. Ma che cosa sappiamo del simposio – a parte quello indimenticabile narrato da Platone? Dalla lettura incrociata delle tracce lasciate da chi partecipava al simposio e da chi ne era escluso (come i vasai) emerge un quadro in cui si intrecciano norma e trasgressione, inclusione ed esclusione, mescolanza. Un frammento di una società diversissima dalla nostra. Una ricerca magistrale, che distrugge ogni senso di falsa familiarità con l’antico.
Foppa, Leonardo e Bramantino sono i protagonisti del Rinascimento lombardo, dall'insediamento del duca Francesco Sforza e dalla Pace di Lodi (1454) alla definitiva scomparsa del ducato sforzesco con la morte di Francesco II Sforza (1535). Questo libro segue i momenti più significativi della loro presenza milanese, ma si impegna a ricomporre anche il fitto contesto di presenze figurative e di intrecci culturali che caratterizzano uno dei momenti più alti e ricchi di futuro della storia dell'arte lombarda. Sfilano sotto gli occhi del lettore lo sfolgorante itinerario formativo di Vincenzo Foppa, dalla Padova di Mantegna alla cappella di Pigello Portinari in Sant'Eustorgio; l'affermazione umanistica di Bramante e di Bernardo Zenale, architetti e pittori, in una Milano che forgia un suo particolare Rinascimento "senza Roma", fantastico e iperdecorato; Leonardo che crea l'Ultima cena delle Grazie, primo capolavoro della "maniera moderna", sotto lo sguardo stupefatto dei colleghi lombardi, legati a una diversa tradizione figurativa, che in parte saranno travolti, ma in parte sapranno appropriarsi delle novità leonardesche distillandone un prezioso cromatismo e una sofisticata eleganza disegnativa (dal Maestro della Pala Sforza a Luini); Bramantino, a chiusura, che inventa un suo peculiare canone umano, di geometrica e lunare potenza, che suggestionerà tanta parte della pittura nell'Italia settentrionale, dal Veneto di Lorenzo Lotto al Piemonte di Gaudenzio Ferrari.
Per una serie di circostanze imprevedibili le immagini di Achille, Meleagro e Cristo, usate e riusate per secoli, s'intrecciarono, sovrapponendosi. Che cosa spiega la loro ibridazione, la loro persistenza, la loro migrazione attraverso il tempo e lo spazio? Quanto contarono, nella fortuna di queste figure, le formule compositive originarie e quanto il contesto che di volta in volta le fece proprie? Questo libro cerca di rispondere a queste domande. Chi legge entra in un cantiere dove hanno lavorato, separati da secoli o millenni, scultori e pittori, storici e storici dell'arte. Luca Giuliani analizza la genesi e il precoce riuso nell'antichità romana dell'iconografia di Achille in lutto presso il cadavere di Patroclo; Maria Luisa Catoni, la possibile genesi e il riuso in età post-antica di una formula della disperazione di fronte alla morte; Salvatore Settis, la fortuna rinascimentale di uno schema iconografico antico usato per rappresentare il corpo esanime di Cristo; Carlo Ginzburg, la genesi della nozione di Pathosformel (formula di pathos) coniata da Aby Warburg.