
In questo volume Berenson passa in rassegna le grandi scuole e i massimi maestri della pittura italiana del Rinascimento. Scrisse Benedetto Croce: "Nel rileggere il libro su "I pittori italiani del Rinascimento", mi pareva di leggere quasi una continuazione della "Storia della letteratura italiana" del De Sanctis, col suo insistere sul carattere poetico proprio dei poeti, e qui di ciascun pittore. E vorrei osservare che le idee del Berenson hanno bisogno di abbandonare le angustie nelle quali sinora si sono rinserrate, ed essere accolte nei grandi saloni della filosofia, dove troveranno sede degna e possibilità di svolgimenti adeguati".
"Questa volta mi occuperò del Caravaggio. Finora, sia me ne mancasse l'agio, sia la mia curiosità non fosse stimolata abbastanza, o forse per la combinazione delle due cause, non mi sono mai dato la pena di entrare in dimestichezza col Caravaggio. Comincerò con l'esaminare le opere superstiti del nostro pittore. Fino a pochi decenni or sono, la sua personalità di artista era nebulosa come quella di un Leonardo o di un Giorgione prima degli studi morelliani. Qualsiasi tela presentasse, in forti contrasti di luce, volgari e obesi giganti sacrilegamente atteggiati a Cristo o ad apostoli, figure con piumacci, baraonde di uomini e di donne dall'aspetto vizioso e alticcio, giovinastri occupati a giocare ai dadi o a barare alle carte, o più dignitose scene di concerti, veniva senz'altro attribuita a lui. Non così oggi. Il Caravaggio ha cessato d'essere una categoria o una specie, e ha riacquistato una personalità artistica definita quanto quella di Leonardo, o almeno quanto quella di Giorgione. Studierò soltanto i quadri che gli appartengono in modo indiscusso, secondo il giudizio dei più competenti. Intorno a essi mi lascerò andare a dire qualunque cosa mi passi per la testa, una testa che ha meditato per molti anni sull'arte, dal punto di vista estetico, storico, morale. E, infine, mi prenderò la libertà di esprimere quanti pensieri l'esame dell'opera caravaggesca mi ha suggerito." (B. Berenson)
"Questa volta mi occuperò del Caravaggio. Finora, sia me ne mancasse l'agio, sia la mia curiosità non fosse stimolata abbastanza, o forse per la combinazione delle due cause, non mi sono mai dato la pena di entrare in dimestichezza col Caravaggio. Accade, nella vita, di sentir parlare di questa o quella persona che gli amici reputano affascinante, e tuttavia essa non viene a far parte della nostra intima cerchia anche dopo ripetuti incontri. Poi, un caso fortunato dissipa il velo opaco che ci tratteneva dall'approfondire quei rapporti saltuari, e viene il gusto e la voglia di contatti più stretti e di una conoscenza completa. Comincerò con l'esaminare le opere superstiti del nostro pittore. Fino a pochi decenni or sono, la sua personalità di artista era nebulosa come quella di un Leonardo o di un Giorgione prima degli studi morelliani. Qualsiasi tela presentasse, in forti contrasti di luce, volgari e obesi giganti sacrilegamente atteggiati a Cristo o ad apostoli, figure con piumacci, baraonde di uomini e di donne dall'aspetto vizioso e alticcio, giovinastri occupati a giocare ai dadi o a barare alle carte, o più dignitose scene di concerti, veniva senz'altro attribuita a lui. Non così oggi. Il Caravaggio ha cessato d'essere una categoria o una specie, e ha riacquistato una personalità artistica definita quanto quella di Leonardo, o almeno quanto quella di Giorgione. Studierò soltanto i quadri che gli appartengono in modo indiscusso, secondo il giudizio dei più competenti."
"Se si è veramente fotografi si scatta sempre, anche senza rullino, anche senza macchina". La fotografia come scelta: l'autobiografia con immagini di Gianni Berengo Gardin, raccolta dalla figlia Susanna, rintraccia il filo di questa passione e lo dipana attraverso una vicenda biografica lunga, piena di incontri, di viaggi, di storie, di immagini colte e da cogliere. Piena, soprattutto, di quella sensibilità attenta al reale, alla società, alla gente, che da sempre rappresenta il principale bagaglio di cui si deve dotare un fotografo di reportage. Il mondo di Berengo Gardin è il nostro mondo. Con una lettera all'amico Gianni, scritta da Ferdinando Scianna, e una conversazione sulle fotografie fatte e quelle da fare tra Gianni Berengo Gardin e Roberto Koch.
Schegge dappertutto, rumori di macchine e motori, scomparsa del paesaggio umano. Ecco il "disastro" con cui si misurano due nomi tra i più grandi della cultura russa del Novecento. La civiltà delle macchine, la disgregazione del mondo e le avanguardie. La svolta avvenne nel 1914, con la mostra di Picasso a Mosca. Le avanguardie russe annunciavano un mondo nuovo, quello dell'uomo liberato dalla schiavitù del lavoro capitalista cui corrispondeva una liberazione spirituale incarnata dall'artista come prototipo dell'uomo nuovo. Picasso, esponendo le sue opere cubiste a Mosca, mostrava in realtà un mondo in frantumi, dove anche l'uomo usciva malconcio, privato del suo volto e della sua consistenza. La velocità e le scoperte scientifiche vincevano la tirannia del tempo, ma smontavano dall'interno lo stesso materialismo storico, quello che profetizzava la realizzazione di una società armoniosa e trasparente, sul modello del paradiso terrestre; a essere liquidato era anche il pensiero religioso dell'ortodossia, che al centro di tutto poneva la divinizzazione dell'uomo. Berdjaev e Bulgakov scrissero i due saggi raccolti in questo libro poco tempo dopo aver visitato la mostra di Picasso, e nella loro riflessione la "crisi dell'arte" è irrimediabilmente la crisi della rappresentazione del volto umano e la "perdita del centro" che ne deriva. Due saggi che anticipano la critica della modernità, come è stata sviluppata lungo il Novecento, da un pensiero che da Sedlmayr arriva fino a Clair.
Possono dei capolavori settecenteschi illuminare il presente, delineando una mappa di sentimenti ed eros tuttora attuale? Attraverso la trilogia di opere creata col librettista Lorenzo Da Ponte, Wolfgang Amadeus Mozart ha dimostrato di sì. In quel corpus miracoloso costituito da "Nozze di Figaro", "Don Giovanni" e "Così fan tutte", il compositore ha scandagliato profeticamente ogni aspetto dell'amore, affrontando problemi come la violenza sulla popolazione femminile e la trappola in cui cadono le "donne che amano troppo". Ha prospettato temi avveniristici come la possibilità di amare più persone, il sesso in adolescenza e nella quarta età, la scelta di essere single, la propensione alla bisessualità. Le autrici esplorano, con rigore scientifico e prosa leggera e acuminata, questo perfetto congegno musicale tripartito: ne legano i contenuti politici e sociali alla vita di Mozart (ai suoi rapporti, alle sue frequentazioni, alle sue letture), mettono a fuoco l'anticonformismo e la preveggenza delle figure femminili, seguono le indicazioni sull'innocenza dell'adulterio dettate dallo scambio di coppie in "Così fan tutte", mostrano i falsi miti del dongiovannismo. Ne deriva un universo che parla agli eterosessuali e agli omosessuali, a chi ha conquistato un'estasi monogamica non obbligata, ai poliamoristi in guerra con l'ipocrisia e agli amanti clandestini refrattari alla mistica della trasparenza.
Il volume riproduce, in versione integrale, le ultime volontà di Leon Battista Alberti, a testimonianza di quanto gli atti e i testamenti notarili abbiano avuto una rilevanza, dal Medioevo ad oggi, nel documentare non solamente le volontà dei protagonisti, ma anche il contesto sociale nel quale essi si sono trovati a vivere e ad operare. Non è cosa nuova ricordare gli "Annales" di Lucien Febvre e Marc Bloc e poi di Fernand Braudel, per sottolineare come molti particolari scaturiti dall'attività notarile siano serviti a una ricostruzione storica "globale". Nel caso dell'Alberti, poi, il testamento è l'unica fonte di informazioni sull'epilogo della sua vita, sulla scena urbana che lo contorna e sulle vicende che sono legate alla sua tomba.
Stefano Benni legge, Umberto Petrin, al pianoforte, dialoga con lui infilandosi fra le parole o prendendosi spazi. Né Benni né Petrin giocano a mettere didascalie. Tutti e due "sentono" Thelonious Monk come un fantasma amico da interpretare, reinterpretare, contaminare, lasciar esplodere. Il dvd restituisce intatta la forza dello spettacolo messo in scena in più di venti piazze italiane.
Stefano Benni e il teatro: una felice consuetudine che dura da quasi quarant'anni, una miscela di fantasia, comicità corrosiva e invenzioni, tutte pensate per la scena e molto spesso dedicate agli amici attori, attrici e registi che ne sono interpreti e realizzatori. Benni è uno scrittore poliedrico ed è sempre più innamorato del teatro. La sua è una continua ricerca sul tema dell'Immaginazione e la sperimentazione di nuovi linguaggi, nell'ibridarli, in una ricerca continua di nuove sensibilità e tonalità espressive. Questo terzo volume del teatro di Benni raccoglie dieci sceneggiature in forma di racconti. Tra queste «La Gilda furiosa», la prima volta di Stefano Benni nel ruolo di librettista, mentre inventa una galleria di personaggi surreali; «Il poeta e Mary», un atto unico comico-musicale dove i protagonisti recitano, cantano e suonano in un continuo scambio di ruoli e invenzioni; «Effimera», il monologo di una farfallina ribelle che vuole vivere con gioia il poco tempo che le è riservato; «Nerone», in cui la voce narrante racconta la vita breve dell'imperatore, più poetastro cialtrone che tenebroso dittatore. Quindi «Profius»: in un ambiente claustrofobico, una corte di aiutanti/faccendieri si muove intorno al vecchio poeta e letterato Profius alla ricerca di un manoscritto, forse un misterioso capolavoro. E per finire, nientemeno che un testo in latino ispirato al «Niels Klim» scandinavo.