
Nella torrida estate del 1890, a Auvers-sur-Oise, un uomo si presenta a casa del dottor Gachet: dall'aspetto, Marguerite, figlia del medico, lo scambia per uno dei tanti braccianti agricoli che lavorano nella zona. L'uomo è Vincent van Gogh, e per Marguerite, che ama dipingere ma si dibatte tra l'insoddisfazione di non riuscire a creare nulla di apprezzabile e una condizione di figlia predestinata a un matrimonio borghese, egli assume, giorno dopo giorno, le fattezze del maestro, del genio, dell'amore. Guardandolo dipingere, la giovane vede ora i paesaggi in cui è cresciuta - le case dai tetti di paglia, le acque del fiume, i fiori, gli alberi, il cielo - con nuovi occhi: la potenza della vera arte si dispiega davanti a lei, mentre la relazione con Vincent si fa sempre più stretta, più pericolosa e infine fatale. Quando assistiamo insieme a Marguerite alla nascita dei capolavori di van Gogh, Guenassia fa rivivere l'epoca d'oro degli impressionisti e getta una nuova luce sulla tragica fine dell'artista e sui misteri che circondano alcune delle sue opere.
Un viaggio in treno fino a Pavana, lungo la ferrovia Porrettana, per avvicinarsi nel modo più autentico allo spirito delle canzoni e dei luoghi di Francesco Guccini. È il viaggio, metaforico e reale, che intraprende l'antropologo Marco Aime, e insieme a lui ogni lettore, che ha con questo libro l'occasione di scoprire, attraverso la viva voce di Guccini, i ricordi più personali, insoliti e inaspettati attinti da una vita intera tra musica e poesia. Un viaggio emozionante e suggestivo, ma al contempo molto concreto, fatto di paesaggi aspri come i boschi dell'Appennino che Guccini ci invita da sempre, attraverso i suoi versi, a scoprire. E popolato di personaggi curiosi come la vecchia signora di Pavana che indica ad Aime - appena sbarcato nel borgo gucciniano per eccellenza - la casa del cantautore annunciando, con il tono fiero e rispettoso di chi segnala a un turista il museo del Louvre a Parigi, o il Colosseo a Roma: "Lì c'è Guccini". "Tra i castagni dell'Appennino" è, naturalmente, anche un viaggio nella memoria, che ripercorre l'evoluzione artistica ed esistenziale di una delle più grandi voci del panorama musicale italiano. Dai primissimi dischi ed esibizioni nelle osterie alle influenze letterarie che percorrono tutta la sua produzione, dagli anni delle contestazioni politiche ai piccoli vezzi privati che hanno accompagnato decenni di concerti, fino a diventare mitici rituali collettivi.
Una volta, c'era la banana: non il frutto amato dai bambini, bensì l'acconciatura arrotolata che proprio i bimbi subivano e detestavano ma che veniva considerata imprescindibile dai loro genitori. I quali, per bere un buon espresso, dovevano entrare al bar e chiedere un "caffè caffè", altrimenti si sarebbero trovati a sorbire un caffè d'orzo. Una volta, per scrivere, non c'erano sms o e-mail, ma si doveva dichiarare guerra ai pennini e uscire da scuola imbrattati d'inchiostro da capo a piedi. Una volta, si poteva andare dal tabacchino, comprare una sigaretta - una sola - e fumarsela dove meglio pareva: non c'erano divieti, e i non fumatori erano una gran brutta razza. Una volta, i bambini non cambiavano guardaroba a ogni stagione, andavano in giro con le braghe corte anche d'inverno e - per assurdo contrappasso - col costume di lana d'estate. Una volta, la Playstation non c'era, si giocava tutto il giorno per strada e forse ci si divertiva anche di più. Una volta, al cinema pioveva... Con un poco di nostalgia, ma soprattutto con la poesia e l'ironia della sua prosa, Francesco Guccini posa il suo sguardo sornione su oggetti, situazioni, emozioni di un passato che è di ciascuno di noi, ma che rischia di andare perduto, sepolto nella soffitta del tempo insieme al telefono di bachelite e alla pompetta del Flit. Un viaggio nella vita di ieri che si legge come un romanzo: per scoprire che l'archeologia "vicina" di noi stessi ci commuove, ci diverte, parla di come siamo diventati
"Una farfalla che vola leggera... il sapore dell'uva rubato a un filare... un sogno che più non ritrovi": sono questo, e molto altro, le canzoni di Francesco Guccini. Sono la colonna sonora di più generazioni, raccontano quello che si lascia e si conquista quando si diventa grandi, parlano dei cambiamenti, del mondo a volte crudele che ci circonda, di una consapevolezza che si disvela per squarci improvvisi. Sono una scatola magica per adulti e bambini: custodiscono storie per tutti, in cui tutti possono riconoscere la propria storia. Capolavori senza tempo, poesie per ogni età. "Una canzone", "Culodritto", "Il vecchio e il bambino", "Auschwitz", "Piccola città", "E un giorno...", "L'ultima volta", dalla ricca produzione dell'artista sette canzoni, sette poesie sul tema dell'infanzia, del ricordo e del sogno, illustrate da Alessandro Sanna. Età di lettura: da 9 anni.
Da quando è uscito il primo "Dizionario delle cose perdute", Francesco Guccini non può fare un passo, per strada, senza che qualcuno lo fermi per suggerirgli con entusiasmo e commozione qualche oggetto "del tempo andato" che merita di essere ripescato dal veloce oblio dei nostri anni e celebrato dalla sua penna. Dall'idrolitina ai calendarietti profumati dei barbieri, dal temibile gioco del Traforo alle cabine telefoniche, dal deflettore all'autoradio passando per i "luoghi comodi" e i vespasiani, le letterine di Natale piene di buoni propositi da mettere sotto il piatto del babbo, le osterie (quelle vere, senza la H davanti per darsi un tono) e molto altro, Guccini torna a scavare nel passato che ha vissuto in prima persona per riportarcelo intatto e pieno di sapore. E con questo suo catalogo delle cose perdute dà vita a un personalissimo genere letterario nel quale l'estro del cantautore - capace di condensare in poche strofe un universo intero di emozioni -, la sua passione storica e filologica e la sua vena poetica trovano sintesi piena: regalandoci pagine in cui ogni oggetto, ogni situazione, suscita intorno a sé un intero mondo, sempre illuminato dalla luce di un'insuperabile ironia.
Nessuna delle grandi religioni ha avuto con l'immagine un rapporto così stretto come quella cristiana, fede in un Dio trascendente e incarnato, eterno e storico, che per questo si è posta da subito come essenziale la domanda su come e dove vedere il "Dio invisibile". Eppure, i remoti iniziali passi della vita delle immagini cristiane, avvenuti alla flebile luce delle catacombe e delle domus ecclesiae o annunciati negli scritti dei primi padri della Chiesa, non sono facili da decifrare. Spesso considerati nient'altro che meri primordi di una tradizione solo dall'epoca bizantina in poi giudicata davvero significativa, forse celano, invece, la vera essenza dell'immagine cristiana; quella che per secoli ha influenzato la tradizione iconografica occidentale e in un certo senso allunga ancora oggi la sua ombra sulla nostra civiltà dell'immagine. Specialisti italiani e stranieri di diverse discipline, dalla storia del cristianesimo alla storia dell'arte, dalla teologia all'estetica, sono chiamati in questo libro a rispondere, in modo diretto e senza accademismi, agli interrogativi intorno alle origini dell'immagine cristiana e ai suoi potenti riflessi nella storia della nostra cultura.
"Cos'è la menzogna nell'arte? La risposta ce la offre la singolare vicenda di Han Van Meegeren, artista olandese bistrattato dalla critica che escogitò una geniale forma di vendetta contro i suoi detrattori: inventò un Vermeer "religioso" che non era mai esistito. Nacque così il Cristo a Emmaus, che nel 1937, alla sua apparizione, fu salutato dalla critica mondiale come "il capolavoro assoluto del maestro di Delft". Sarebbe stato necessario aspettare la caduta del Terzo Reich e la scoperta nella collezione di Hermann Gòring di alcuni falsi Vermeer, eseguiti anch'essi da Van Meegeren, perché l'incredibile truffa venisse scoperta dopo uno spettacolare processo. Luigi Guarnieri riscopre e racconta questa storia più vera del vero con una grazia assoluta, regalandoci pagine di un'emozione estetica rara e restituendo la letteratura al suo vero rango di forma d'arte."
Le 100 fotografie più famose della storia contemporanea, gli scatti che hanno rivelato al mondo momenti epocali e punti di non ritorno, le immagini che grazie alla loro forza espressiva hanno smosso le coscienze e messo in moto dei cambiamenti politici e di costume: da giganti come Henri Cartier-Bresson e Robert Capa a grandi reporter come Elliott Erwitt, Eugene Smith e Kevin Carter, una sequenza di fotogrammi che non può lasciare indifferenti.
"In quest'opera c'è il ritratto, l'istantanea, di qualcosa di attuale e invisibile. C'è un dolore che sembra riguardare soprattutto l'occidente: la spaccatura micidiale fra noi e l'anima del mondo, quell'energia intuita e sempre tradita, che ci tiene vivi. Questa "anima del mondo", questo pezzo di brace cosmica che brucia nella terra e in ognuno di noi, è ciò che viene fotografato in questa opera. È anche fotografata la distanza fra ciò che sentiamo e il modo in cui viviamo, fra il nostro dentro e il nostro fuori, per dirla semplicemente. "Come siamo andati lontano da ciò che ci tiene in vita!" grida la filosofia. Qui appunto si fotografa quella lontananza. Non abbiamo smesso di credere nella forza della poesia, di pensare a uno spettacolo anche come atto di resistenza contro la Signoria Attuale. Che cosa sia questa Signoria Attuale in parte tutti lo sappiamo e in parte non lo sapremo mai: una forza, comunque, che tenta di fare di noi un ovile muto, di deprimere la nostra vivezza, di metterci sulla schiena pesi schiaccianti. Ci guardiamo intorno e scorgiamo ovunque segni invasivi di questa forza indebolente. Pochi chilometri più in là la vediamo all'opera coi suoi morti ammazzati e bombardati. Ecco, ci muove una voglia d'esortazione, una paura, una pietà. Soprattutto la voglia di tenerci ben desti, di pronunciare parole troppo taciute, di cantare e ballare con la potenza disarmata dei bambini." (Mariangela Gualtieri)
«Mi sono tenuta a una certa distanza dalla pagina biblica, lontana da qualunque tentativo esegetico, attratta piuttosto dal silenzio che regna intorno alla figura di Caino e dalla potenza di questa icona: si staglia solissimo in un deserto abbagliante, a muso duro, con un fratricidio che pesa sulle spalle, la maledizione della terra, la lontananza dal volto della divinità. E poi eccolo dare inizio, con la costruzione della prima città, alle nere arti della tecnologia ¿ rese nere più che altro dallo smarrimento dell'etica che non ha seguito l'immenso sviluppo tecnico. [...]
L'enigma del male, il mysterium iniquitatis, è un fondale che non possiamo non indagare, anche se non siamo capaci dell'immensa apnea che richiede. Questo è il mio primo tentativo, ancora impregnato dell'ombra che ho cercato di attraversare, colpita dalla reticenza di questo tema ad avere una parola definitiva. Non la si potrà mai pronunciare, per fortuna. Nessuno la possiede per intero: chi ha creduto di possederla ha troppo spesso seminato dolore. Io ho potuto solo balbettare.»