
L'Avaro è una commedia in cinque atti, rappresentata per la prima volta il 9 settembre 1668 al Palais-Royal con Molière nel ruolo di Harpagon e Armande Béjart in quello di Mariane, che si ispira all'Aulularia di Plauto. All'inizio non ebbe molto successo, forse per l'insolito uso della prosa in una commedia lunga o per il trionfo pressoché insuperabile dell'opera di Molière Il Tartuffo. In tutta la commedia l'ilarità quasi amara, perché l'avarizia vince su tutti i sentimenti: sull'amore filiale, sull'amore paterno e sull'amore romantico. Divertenti sono i dialoghi in cui l'essere avaro è presentato come il sintomo di una malattia. Nonostante l'evoluzione dell'intrigo della pièce, il vizio non viene mai corretto e l'avarizia trionfa fino all'ultima pagina.
Molière (1622-1673), pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin, nasce a Parigi nel gennaio del 1622 e cresce in un ambiente di ricchi commercianti e artigiani. Studia presso il gesuita Collège de Clermont e si laurea in diritto, ma comincia ben presto a frequentare gli ambienti teatrali e l'attrice ventiduenne Madeleine Béjart. Insieme alla donna, Joseph e Geneviève Béjart fonda la "Compagnie de l'Illustre Théatre" che però, ricoperta di debiti, porta l'uomo in prigione e viene sciolta nel 1645. Molière si unisce poi, insieme ai Béjart, alla compagnia teatrale itinerante dei "Comédiens du seigneur due d'Epernon" di Charles Dufresne e nel 1646 lascia Parigi viaggiando per tredici anni. Al suo ritorno è un uomo di teatro a tutto tondo (attore, direttore, autore) e a Lione ha inoltre scoperto la Commedia dell'Arte, a cui si ispira per le sue farse, apprezzate in particolare modo dal re Luigi XIV. Tra le opere di maggiore successo, oltre L'Avaro (1668), ricordiamo La scuola delle mogli (1622), Il Tartuffo o l'impostore (1664), Don Giovanni (1665), Il misantropo (1666) e Il malato immaginario (1673).
"Con quello che indossate dalla testa ai piedi ci si potrebbe vivere di rendita. Ve l'ho detto cento volte, figliolo, il vostro modo di fare non mi piace: vi date arie da principe e per andar vestito così dovete per forza derubarmi".
"Mi ritorni in mente", "Emozioni", "Ventinove settembre", "Una lacrima sul viso", "Una donna per amico"... Parole che, come poesie, tutti gli italiani hanno nel cuore. Il racconto di una vita attraverso canzoni, ricordi ed emozioni diventati parte della nostra memoria.
"Paulette Jourdain, che era allora una bambina, si ricorda che la notte in cui Modigliani morì all'ospedale, Zborowski non volle che Jeanne dormisse nello studio della Grande Chaumière. Paulette l'accompagnò in un piccolo albergo della rue de Seme. L'indomani Jeanne andò all'ospedale per rivedere Amedeo. Il padre, silenzioso e ostile, l'accompagnò. Rimase sulla soglia, racconta il dottor Barrieu, mentre Jeanne si avvicinava al cadavere. "Non lo baciò" scrive Stanislas Fumet, amico d'infanzia, con la moglie Aniuta, di Jeanne "ma lo gnardò a lungo, senza dir nulla, come se i suoi occhi si appagassero della sua disgrazia. Si ritirò camminando a ritroso, fino alla porta. Conservava il ricordo del viso del morto e si sfrozava di non vedere nient'altro". L'indomani, all'alba, Jeanne Hébuterne si gettò dal quinto piano. "Sembrava un angiolo" disse Foujita, che non rifugge dalla cattiva letteratura. Chantal Quenneville scrive: "Jeannette Hébuterne si era rifugiata dai suoi genitori, cattolici offesi della sua unione con l'ebreo Modigliani, e non diceva una parola. Erano trascorsi due o tre giorni quando domandai ad Andre Delhay: 'E Jeannette?'. Mi guardò male. Si era gettata, la mattina, dalla finestra del quinto piano della casa dei suoi genitori.
Urbino non fu solo la città natale di Raffaello, ma determinò in modo significativo la sua formazione, restando per tutta la sua vita un punto di riferimento essenziale. Partendo da questo presupposto, la grande mostra di Palazzo Ducale a Urbino intende recuperare e valorizzare proprio questa stretta connessione tra Raffaello e la sua città natale. Esaminando il contesto urbinate, dalla fine degli anni Settanta a tutti gli anni Ottanta del Quattrocento, viene ricostruito l'ambito artistico-culturale in cui si formerà il giovane Raffaello e nel quale opera il padre, Giovanni Santi, pittore dei duchi e letterato, che è a capo di una ricca e fiorente bottega, oltre che autore della famosa Cronaca nella quale esprime importanti giudizi sui pittori a lui contemporanei. Una sezione della mostra è inoltre dedicata al rapporto dell'opera di Raffaello con la più importante produzione del ducato di Urbino, la maiolica, basata sulle immagini raffaellesche, di cui sono esposti esemplari antichi. Sarà visibile, per la prima volta, un pezzo mai esposto, derivato direttamente da un disegno originale e non da un'incisione di Raffaello, assieme a numerosi esempi fra i più preziosi di questa produzione.
Dal bisogno del cuore umano di ridere, piangere, aver paura, amare, sognare, sono nati i grandi capolavori della storia del cinema. All'origine di essi vi è una capacità di meraviglia e di stupore, senza la quale il cinema si ridurrebbe ad un passatempo per colmare la solitudine. La scuola, in un mondo come il nostro sempre più dominato dalle immagini, dovrebbe consegnare il sapere delle proprie discipline anche alle immagini, e non solo alle parole, inserendo il film nella programmazione scolastica. Ma il cinema può diventare uno strumento didattico a patto che l'alunno sia guidato dal docente a cogliere i passaggi narrativi e i nuclei tematici del film; a patto che sia aiutato a porsi domande sull'opera e sul suo legame con la realtà, esprimendo infine un giudizio personale motivato. In questo libro vengono proposte 157 schede di film, sia come recensioni che come strumenti di dibattito; il volume è inoltre arricchito da indici analitici e tematici e da percorsi per una programmazione scolastica o per cinforum destinati ad adulti.
Se c'era uno che difficilmente avrebbe potuto sfondare come DJ e musicista nei club newyorkesi a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, quello era Moby. Era la New York del Palladium, del Mars, del Limelight e del Twilo, un'epoca edonistica e sfrenata in cui la dance era ancora sostanzialmente un fenomeno underground, radicato soprattutto nella comunità operaia afroamericana e latinoamericana. E poi c'era Moby, che oltre a essere un ragazzino bianco pelle e ossa proveniente dal cuore del Connecticut era un cristiano devoto, vegano e astemio. Quello è stato forse l'ultimo periodo in cui un artista poteva vivere con nulla a New York: l'era dell'AIDS e del crack, ma anche di un sottobosco culturale provocatorio e festoso. Non senza complicazioni, Moby trovò la sua strada, una strada accidentata e lastricata di eccessi sciagurati – ma, col senno di poi, anche spassosi – che lo avrebbe portato a un successo quanto mai effimero. Ecco perché sul volgere del decennio Moby contemplava già la fine, della carriera come di altre dimensioni della sua vita, una sensazione che incanalò in quello che pensava sarebbe stato il suo canto del cigno, il suo addio, l'album che in realtà era destinato a segnare l'inizio di una nuova e sbalorditiva fase, il mega-bestseller «Play».
Generoso quanto inesorabile nel raccontare un mondo perduto e il ruolo che vi ricopre il suo protagonista, Porcelain è al contempo il ritratto di una città e di un'epoca e una riflessione profondamente intima sul momento più carico d'ansia della vita di ciascuno di noi, quello in cui siamo soli e scommettiamo su noi stessi senza avere la minima idea di come andrà a finire, con il terrore di essere a un passo dal venire scaraventati fuori dalla porta. La voce di Moby trasuda sincerità, ironia e soprattutto una passione incrollabile per la sua musica, una passione che lo ha aiutato a restare a galla in acque molto agitate.
Porcelain è la storia di un successo raggiunto e perduto, amato e odiato. È la storia di un artista che trova le persone giuste e il suo posto nel mondo, e che quando crede di averli persi riesce, in preda alla disperazione e convinto che sia finita, a creare un capolavoro. Il racconto acuto, tenero, divertente e straziante del percorso che porta da una vita di periferia povera e alienata a una di splendore, squallore e successo nella scena dei club newyorkesi. Una rara autobiografia musicale capace di raccontare un'intera epoca e persino una dimensione eterna della condizione umana. E allora play.
Moby è un cantante, autore, musicista, DJ e fotografo. Ha venduto venti milioni di dischi in tutto il mondo. Vive a Los Angeles.
Il pictorial turn è la “svolta” epistemologica che pone lo studio delle immagini sullo stesso piano di quello del linguaggio. Il libro, in una nuova edizione completamente rivista e aggiornata, presenta al pubblico italiano i testi più rappresentativi di uno dei massimi protagonisti dei visual studies contemporanei. A fronte di una raffinata elaborazione teorica, l’autore non perde mai di vista il significato che le immagini hanno per la cultura contemporanea.
I saggi qui raccolti pongono le basi di una “scienza delle immagini” che possa dialogare con le discipline tradizionali della storia dell’arte, della semiotica visiva e dell’estetica.
Nella presente pubblicazione viene esaminata la storia del pittore rivoluzionario che espresse un'arte legata alla creatività fabulistica di un popolo: Marc Chagall. Uno dei grandi protagonisti dell'arte contemporanea: da Vitebsk a Parigi, dalla Russia della Rivoluzione all'America, portò la sua visione poetica e lirica di ebreo errante dall'anima russa.
«De André, Battiato, i Beatles e non solo! Pur non disponendo di tanto tempo, non ho mai smesso di ascoltare musica». Così monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, nella presentazione del volume, un testo che tenta di esplorare le "contaminazioni" spirituali e/o religiose del musicista genovese che, almeno nel nostro Paese, è stato meglio di tutti il cantore degli ultimi.
Il libro nasce da una ricerca sui testi di Fabrizio De André. Testi che ancora oggi fanno discutere, provocano le coscienze: la capacità di raccontare senza condannare, di coinvolgersi nelle storie dei vinti; la forza evocativa dei versi, che lasciano emergere le istanze esistenziali più autentiche. Tra queste, vi è la domanda di Dio, della sua paternità, della sua giustizia. Si coglie l’ammirazione per Gesù Cristo e la sua umanità, che il cantautore non vuole pensare come «figlio di Dio» ma come «figlio dell’uomo».