
Richard Sennett ha trascorso la sua vita intellettuale a esplorare la maniera in cui gli esseri umani vivono nelle città. In questi due saggi indaga su due delle più grandi città del mondo in un momento cruciale della loro storia per riflettere sulla condizione dell'esule nella sua dimensione sia geografica che psichica. Ci conduce nel Ghetto ebraico della Venezia rinascimentale, dove la condizione di forestiero imposta dallo stato diede vita a una ricca identità comunitaria. Ci fa scoprire poi la Parigi del diciannovesimo secolo quale autentica calamita per gli esuli politici (categoria di cui il russo Alexander Herzen fu un esempio illustre in Europa), una città dove l'esperienza del dislocamento finì per filtrare nel mondo artistico e culturale. Proprio perché, come dice Sennett, "lo straniero deve riuscire ad affrontare la propria condizione di sradicato in modo creativo, e deve imparare a elaborare i materiali che costituiscono l'identità alla maniera in cui un artista lavora i fatti più banali trasformandoli in cose da dipingere. Ognuno deve costruire se stesso".
Oggi più che mai, il modello tradizionale di famiglia e i ruoli che donne e uomini ricoprono nella società, sono oggetto di confronto e accese discussioni. L'ordine determinatosi negli ultimi secoli di storia è in forte crisi: famiglie monogenitoriali, matrimoni fra persone dello stesso sesso, adozione da parte di single e coppie gay, senza contare quanto succede in campo professionale, con una maggiore presenza di donne in tutti i settori, dai lavori manuali alle posizioni dirigenziali. Questi cambiamenti, e la rivendicazione di status e diritti inevitabilmente connessa, si inseriscono nel dibattito sulla sessualità e sulle differenze di genere che oggi sembra far prevalere la conclusione che le differenze fra uomini e donne, ammesso che esistano, siano insignificanti e "socialmente determinate". Steven Rhoads, al contrario, afferma che, a dispetto di ciò che molti oggi amano credere, le distinzioni sessuali restano profondamente radicate nella natura umana. L'autore presenta un gran numero di prove scientifiche che dimostrano come queste differenze siano innate ed esplora le differenze maschio/femmina per quanto riguarda l'aggressività e l'istinto di dominio, la sessualità e la cura dei figli. Un'analisi, la sua, che a qualcuno potrà sembrare conservatrice e forse anche reazionaria, ma che invece, sgombrando il campo da pregiudizi e posizioni ideologiche grazie al rigore con cui è stata condotta, consente di studiare i fenomeni e i processi in atto nella loro reale complessità.
Negli anni ottanta del Novecento e nel decennio successivo Elémire Zolla esponeva in queste edizioni la sintesi di uno "sguardo" da dentro e dall'alto, da vicino e da lontano sugli scenari della realtà: la cinghia degli archetipi che regge il carro della storia; i "climi" tiepidi, gelidi o infuocati del paesaggio esterno e interiore; i piccoli e grandi misteri che la mente contemplativa riconosce come "verità" fino a quando la mente calcolante non li falsifica. Tutto questo era consegnato in Archetipi, Aure e Verità segrete esposte in evidenza, i tre libri che ora rivedono la luce con l'aggiunta di un testo formidabile sul tema di Dioniso errante, quel dio dell'ebbrezza, spirito di-vino e divino il cui omor de la vite cola, parafrasando Dante nel canto XXV, 76 del Purgatorio. Se l'esperienza della vita è realisticamente intermedia tra inferno e paradiso, Zolla in queste pagine ritrovate offre una zattera cui aggrapparsi, un farmaco che disintossica. Con un saggio introduttivo di Grazia Marchianò.
Pur consapevole della temerarietà dell’impresa, l’autore non rinuncia a porre – con umiltà, convinzione e coraggio – la questione circa l’identità dell’essere umano. Procede con cautela e senza pretese definitive, esorbitanti. Si concentra sul “mimino” possibile. «La griglia dei temi e la loro interpretazione, pertanto, costituiscono un timido approccio al difficile fenomeno umano» (G. Ancona).
Dire l’uomo è un’operazione difficilissima, estremamente complessa e misteriosa. Nessun sapere sarà in grado di fornire risposte esaustive, soddisfacenti, capaci di esaurire una volta per tutte l’interrogativo fondamentale circa l’identità antropologica e il suo destino.
Dell’uomo si possono dire solo dei “minimi antropologici”, che stimolano la ricerca nei suoi percorsi interpretativi. Tali “minimi antropologici” vengono qui declinati secondo una griglia di temi (si potrebbe dire, nella forma di appunti), che costituiscono un timido tentativo di lettura dell’umano: i fenomeni che dicono l’esistenza umana nella concretezza del parlare, del conoscere e pensare, del lavorare, dell’amare, del soffrire e morire, del credere e sperare; l’interpretazione che dell’uomo viene offerta da alcuni saperi significativi (antropologia filosofica e culturale, neuroscienze, teologia); la presentazione di tre paradigmi del vivere concreto dell’uomo, che si offrono come orizzonti di “conquista” di una vita riuscita in pienezza.
"Per la prima volta nella storia dell'umanità, a intervalli regolari e a orari fissi, milioni di individui si sistemano davanti al loro televisore domestico per assistere e, nel senso pieno del termine, partecipare alla celebrazione dello stesso rituale".Un rito celebrato da ventitré officianti e qualche comparsa davanti a una folla di fedeli che raggiunge talvolta le decine di migliaia di individui ai quali si sommano, davanti agli apparecchi televisivi, milioni di "praticanti a domicilio". Il football, il più popolare tra gli sport di massa, è al tempo stesso pratica e spettacolo, fenomeno sociale che si prolunga nella tensione mai risolta tra professionismo e pratica amatoriale e occasione di riflessione sull'etica del gioco e sulla lealtà tra avversari. Il calcio, spiega l'antropologo Marc Augé, funziona come un fenomeno religioso in cui numerosi individui provano gli stessi sentimenti e li esprimono attraverso il ritmo e il canto. Gli stadi diventano così luoghi di senso, di controsenso e di non senso, simboli di speranza, di errore o di orrore, in cui si compiono ancora i grandi rituali moderni.
Nell'Encilica Laudato si' Papa Francesco contrappone la concezione dell'uomo come persona creata a immagine e somiglianza di Dio, e dell'universo come creazione, al "paradigma tecnocratico" che li considera invece come prodotto di uno sviluppo casuale. L'Enciclica attribuisce la responsabilità per i problemi ambientali al mancato riconoscimento e rispetto dell'ordine intrinseco della creazione. Questa contrapposizione ha una lunga storia e ha caratterizzato per più di due millenni la cultura occidentale. La filosofia classica prima, e l'antropologia d'ispirazione cristiana poi, si sono dovute confrontare con interpretazioni naturalistiche che pretendono di spiegare il pensiero e il comportamento dell'uomo unicamente come prodotto di forze naturali, che nel corso dei secoli sono state identificate sulla base di teorie più o meno scientifiche del tempo: dagli influssi celesti dell'astrologia fino ai mediatori chimici cerebrali delle neuroscienze. L'autore ripercorre la storia della civiltà occidentale descrivendo teorie e pensatori che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla formazione del "paradigma tecnocratico" e della cultura dominante del nostro tempo.
Il 13 settembre 2013 due speleologi sudafricani scesi nel vasto sistema di gallerie di Rising Star, nei dintorni di Johannesburg, individuarono casualmente una «camera segreta», colma di ossa fossili. Sarebbero poi risultate essere circa 1550. È così, in modo del tutto imprevedibile, che avviene la scoperta più rivoluzionaria e misteriosa sull'origine dell'uomo, quella di Homo naledi («stella» in lingua locale sotho), una nuova specie ominine dalle caratteristiche uniche. Dall'eccezionale ritrovamento prende il via un'entusiasmante avventura scientifica e umana, che apre scenari inediti sulla nostra storia più antica e ci spinge a guardare con occhi diversi anche il presente. A raccontarla è uno dei suoi protagonisti, Damiano Marchi, paleoantropologo dell'università di Pisa, l'unico studioso italiano chiamato a partecipare al workshop scientifico internazionale su Homo naledi.
Esperto nello studio degli arti inferiori e dell'evoluzione della locomozione, Marchi, insieme ad alcuni tra i più brillanti paleoantropologi del mondo, ha analizzato i fossili rinvenuti a Rising Star, tracciando ipotesi estremamente precise e sorprendenti sulle abitudini e il comportamento di questo nostro remoto predecessore. Alto circa un metro e mezzo, dotato di mani adatte ad arrampicarsi sugli alberi e, insieme, di gambe perfettamente in grado di camminare in posizione eretta, con un cervello piccolo come un'arancia, Homo naledi unisce caratteristiche arcaiche e moderne, che fanno di lui il potenziale anello mancante nella catena evolutiva dell'uomo. Eppure, rimane una creatura enigmatica, che custodisce ancora molti segreti. In quella cavità del sottosuolo, ribattezzata Camera di Dinaledi («stella nascente»), giacevano infatti i corpi di almeno quindici individui di varie età. Come e perché erano giunti in un luogo così remoto? Possibile che la presenza di tanti resti testimoni la più antica forma di sepoltura mai scoperta? E quando è realmente vissuto Homo naledi: 2 milioni o 500.000 anni fa, visto che entrambe le ipotesi sono tuttora aperte?
Con una passione contagiosa cui è difficile resistere, lo studioso ricostruisce il complesso lavoro del paleoantropologo che, con la pazienza di un detective scrupoloso, esamina ogni minimo frammento di fossile per trovare nuove risposte alle domande che da secoli gli scienziati si pongono sull'origine del genere umano. In qualsiasi epoca sia vissuto, l'«uomo stella» ci costringe infatti a rivedere consolidate teorie dell'evoluzione e a riconsiderare anche noi stessi non più come rappresentanti privilegiati di un «mondo a parte», ma come il frutto di un processo che, attraverso gli stessi meccanismi, ha portato sia all'Homo sapiens sia a tutti gli esseri viventi con cui condividiamo il pianeta.
C'è una storia antica quanto il mondo. Ma nessuno l'ha mai raccontata. Perlomeno non in maniera sistematica e critica, ossia cercando gli strumenti concettuali e pratici per provare a superarla. Questa storia riguarda il pregiudizio contro le donne. Partendo dalle origini della civiltà occidentale (Esiodo, Omero, la Bibbia), dipanandosi poi attraverso il teatro greco e i grandi classici del secolare pensiero filosofico, religioso, politico e scientifico, il coro contro l'essere femminile è risultato assordante e compatto. Con argomentazioni sorprendentemente simili, pur provenienti da autori delle scuole più diverse - religiosi o atei, conservatori o progressisti, antichi o moderni - il consenso intorno al pregiudizio misogino ha rappresentato il più grande e atavico collante della cultura occidentale. Un gran discutere fra uomini per arrivare a stabilire l'inferiorità inemendabile dell'essere femminile, tanto da giustificare e anzi rendere scontata, opportuna e persino necessaria, la sottomissione al maschio. In questo libro Paolo Ercolani non si limita a ricostruire la storia del più antico preconcetto - tirando in ballo le responsabilità della filosofia, della religione e delle scienze in genere -, ma propone una nuova teoria della soggettività umana che possa agevolare il superamento di contrapposizioni e pregiudizi sessuali con i quali è arrivato il momento di fare i conti in maniera definitiva.
«Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse». Così scriveva nel 1776 Adam Smith, il padre dell’economia moderna. Da allora ci sentiamo ripetere che è l’egoismo a muovere il mondo; tutto – oggetti, persone, idee – è misurato sulla base di un unico metro, il mercato, ma le conseguenze estreme di questa fede cieca nell’Homo œconomicus sono ormai da tempo sotto gli occhi di tutti.
C’era però qualcuno che lavorava per Adam Smith, e non per egoismo: sua madre. Per l’economia il suo lavoro, come quello che le donne hanno sempre svolto dentro le case, in famiglia e nelle proprie comunità, non è mai esistito. Il lavoro femminile non viene calcolato nel Pil; eppure è difficile immaginare cosa sarebbe dello sviluppo, della crescita, del benessere e del Pil senza di esso.
In questo libro provocatorio e irriverente, aggressivo e ironico, Katrine Marçal attacca la base stessa del più tenace mito del nostro tempo, quello della «mano invisibile» dell’economia, mettendo finalmente nella giusta luce l’importanza del «sesso invisibile».
L'idea dell'anello mancante, capace di rivelare qualcosa di quel misterioso passaggio in cui smettemmo di essere animali per diventare umani, affascina da sempre il nostro immaginario. Ma si tratta di un pregiudizio. Il libro mostra come il ramificato percorso evolutivo che si è realizzato fosse soltanto uno dei molti possibili, debitore molto più del caso che di un processo orientato ad affermare l'eccezionalità della nostra specie. Dall'essere bipedi alla crescita del cervello, dal linguaggio alla capacità di provare sentimenti, nessuna di queste qualità è prerogativa esclusiva dell'uomo. La chiave non sta dunque in ciò che ci separa, ma semmai in quello che ci unisce al resto della natura. Presentazione di Telmo Pievani.
Molti negano che l'ideologia gender esista, soprattutto nella scuola, ma questo breve lavoro dimostra esattamente il contrario analizzando i contenuti educativi presenti nelle schede dello Standard per l'educazione sessuale in Europa dell'OMS. Le sue linee guida comprendono tutte le varie fasi d'età dalla nascita fino al conseguimento del diploma di scuola media superiore. Il principio su cui si basa questa nuova forma d'indottrinamento è la decostruzione degli stereotipi (culturali e religiosi) sulla sessualità così da strappare i bambini alla loro identità e inculcare in loro sin dalla più tenera infanzia l'uso della genitalità in chiave esclusivamente sessuale e della contraccezione in tutte le sue forme. Si apre così la strada al diritto soggettivo del figlio a tutti i costi e allo stravolgimento del concetto di famiglia. Se questo non è gender, allora che cos'è?
Il velo che cinge il capo delle donne, siano esse suore o cattoliche a messa, ebree o musulmane, è divenuto l'emblema di una sorta di schiavitù mentale, un simbolo più o meno forte della sottomissione di un sesso all'altro. Ma davvero quel triangolo di stoffa è solo un mezzo per nascondere, per rinchiudere, per celare nell'umiltà, per segnare una sorta di proprietà privata e riservata, per separare o educare alla docilità? Non potrebbe, invece, essere anche un oggetto che dichiara una scelta libera e consapevole?