Descritto dai suoi contemporanei come "l'uomo più famoso al mondo dopo Napoleone", Alexander von Humboldt fu uno dei personaggi più affascinanti e stimolanti del suo tempo. Nato nel 1769 in una ricca famiglia aristocratica prussiana, rinunciò a una vita privilegiata per scoprire come funzionava il mondo. I suoi viaggi e le sue esplorazioni in ogni angolo del globo ne plasmarono il pensiero e ne fecero un personaggio leggendario, ammirato e citato come diretta influenza non solo da studiosi come Charles Darwin, Henry David Thoreau, Ralph Waldo Emerson e John Muir, ma anche da letterati come Goethe, Coleridge e Wordsworth; Thomas Jefferson scrisse che Humboldt era "tra i principali artefici della bellezza" della sua epoca. Tuttavia, questa straordinaria personalità, a cui dobbiamo il nostro stesso concetto di natura e l'idea moderna di ambientalismo, sembra oggi pressoché dimenticata, e mentre il suo nome resiste ovunque - piante, animali, fiumi e città prendono il suo nome -, le sue opere prendono polvere sugli scaffali delle librerie. Andrea Wulf, acclamata storica e autrice di numerosi bestseller internazionali, si è immersa nelle opere, nei diari e nei documenti personali di Humboldt, ne ha seguito le tracce in tutto il mondo, visitando gli stessi luoghi e scalando le stesse montagne, per restituire a Humboldt, con questo libro, il posto che egli merita nel pantheon della natura e delle scienze. "L'invenzione della natura" è anche un tentativo di capire come è nato e come si è formato il modo stesso in cui pensiamo il mondo.
Avere diciott'anni ai margini di Roma, il cemento di Corviale a fare da sfondo a tutti i sogni possibili, può essere una condanna. Ma non se hai un'Idea in testa e sei disposto a qualunque cosa per realizzarla. È quello che succede a Matteo, sguardo di ghiaccio e una determinazione capace di superare ogni ostacolo: un padre che resta senza lavoro e deve reinventarsi proprio quando lui sta per iscriversi all'università, un allenatore che lo esclude dalle nazionali di nuoto Juniores perché porta il cognome sbagliato e il grande amore, Emma, che non ne può più di essere sempre al secondo posto nel suo cuore. Perché il primo è occupato da lei, l'Idea. È il 2011, Facebook è entrato di prepotenza nelle vite della gente, e Matteo ha capito che quello che serve per far parlare chi cerca con chi offre lavoro è proprio un social network: eccola, la chiave per accendere il futuro. È così che il ragazzo dalla massa ribelle di capelli castani lascia la periferia estrema della Capitale - e lo scantinato dove con un amico ha iniziato a progettare il suo sito - per dare forma concreta alla sua intuizione. A Milano lo accoglie un coinquilino che parla solo per indovinelli e citazioni di film e poi la Bocconi, il tempio della finanza e il luogo dove, con tanta sfrontatezza e i contatti giusti, una startup può diventare una delle più importanti realtà nel mercato delle risorse umane. Perché quando sogni in grande, i confini non esistono.
«Caro papà, ho deciso di scrivere questo libro per il semplice motivo che ti spetta. Dopo la tua morte sei stato riscoperto, osannato, mitizzato, ti sono stati dedicati saggi e tavole rotonde. Ma credo che nessuno sia riuscito a descrivere la tua vera personalità, a esprimere la tua profondissima umanità.» La biografia di Totò raccontata dalla sua unica figlia, Liliana, è uno spaccato di vita familiare in cui il grande artista viene descritto nella sua dimensione umana segreta. Totò, padre tenero, ma troppo possessivo, marito-padrone per l'adorata moglie Diana, pieno di pregi ma anche di difetti, balza fuori da queste pagine con eccezionale vivezza. Per riuscire in questa impresa Liliana ha attinto al bagaglio dei suoi ricordi, una sterminata quantità di episodi, divertenti o drammatici, come è logico in un personaggio per il quale, secondo una sua definizione, «una lacrima è solo l'altra faccia del sorriso». Per gli ammiratori, poi, ci sono delle vere chicche, e cioè alcune poesie inedite e una lettera che Totò, nel 1943, indirizzò alla moglie e alla figlia, corredata da un suo disegno. Parlare del padre, spiega Liliana, non le riesce facile per quella ridda di emozioni che risvegliano in lei i ricordi, dolci o amari, ma comunque impressi indelebilmente nella sua memoria. Perciò nella scrittura ha dovuto lasciarsi guidare soprattutto dalla voce del cuore. Ne è nata una biografia molto vera e priva di retorica, una lettura indispensabile per tutti quelli che, amando Totò, vogliono conoscerlo nell'intimo della sua complessa personalità, al di là della maschera diventata ormai un mito senza tempo.
Professionista straordinario, da corrispondente per il «Corriere della Sera» Luigi Barzini ha raccontato i principali eventi del suo tempo: il volo dei fratelli Wright, il raid Pechino-Parigi del 1907, la rivolta dei Boxer in Cina, il fronte libico, la guerra civile in Messico. Antieroe per cultura, egli rappresenta anche, nei suoi pregi e difetti, la media borghesia italiana che al crollo dello Stato liberale si consegna al fascismo e fiancheggia la dittatura. La sua storia attraversa l'esperienza di Salò e l'immediato dopoguerra, restituendoci uno spaccato dell'Italia, prima liberale e poi fascista. In queste pagine a metà tra il saggio e il romanzo, Simona Colarizi ricostruisce gli ultimi tre giorni di vita di Barzini prima della tragica fine, tutt'oggi avvolta dal mistero. Non semplicemente le vicende del cronista, ma anche dell'uomo nei suoi affetti privati: l'amore per la moglie e i figli, il senso di colpa per la fine del terzogenito, morto a Mauthausen. Al grande innovatore del giornalismo italiano fa da contraltare un uomo paradossalmente fragile, insicuro, tanto da incarnare secondo l'autrice «il prototipo del conformista moraviano». Il controverso rapporto con le élite, la fascinazione per il potere, la cocente delusione nei confronti della politica sono tratti che possono dirci molto sulla nostra identità di oggi. «La storia si ripete - scrive Colarizi - anche se non è mai identica a se stessa; in ogni tempo rotture più o meno traumatiche nei sistemi politici nascono dal malessere di una parte della popolazione che si sente esclusa dalla cittadinanza o percepisce quanto siano inadeguate le classi dirigenti a rappresentare le rivendicazioni e a soddisfare le aspettative dei cittadini».
Si può scampare alle persecuzioni dei due grandi regimi totalitari del Novecento e poi scrivere un libro di memorie come questo: sobrio, indomito, luminoso. Heda Bloch è fuggita dalla marcia della morte verso Bergen-Belsen, ma Praga la riaccoglie con ostilità: troppo forte, per i suoi amici, è il terrore delle rappresaglie naziste. Dopo la liberazione e la «rinascita comunista», nel 1952 il marito, Rudolf Margolius, alto funzionario governativo - un «mercenario al servizio degli imperialisti» -, verrà condannato all'impiccagione nel clima plumbeo e maligno del processo contro il segretario generale Slànsky. Inizia il periodo del «silenzio attonito, terrorizzato»; solo le seconde nozze con Pavel Kovàly salveranno Heda e il figlio Ivan da una lunga, tragica vita da reietti. E quando sta per giungere il lieto fine, quando dopo la Primavera di Dubcek tutta la popolazione di «una città che non riusciva a dormire per la gioia» si riversa festosa in strada, ecco l'estremo orrore: l'arrivo dei carri armati sovietici.
L'esperienza umana e spirituale di Benedetto XVI, il primo papa emerito nella storia. J. Ratzinger, enfant prodige della teologia e intellettuale europeo, è stato prefetto della Dottrina della fede ed eletto papa nel 2005: papa del pensiero più che del gesto, papa «teologo» più che «di governo». Figura complessa e insieme di autentica semplicità evangelica, difensore della «fede dei semplici», timido ma all'occorrenza deciso, intende rimuovere la «sporcizia dalla Chiesa», si batte contro la marginalizzazione della religione nel mondo contemporaneo e propone la «differenza cristiana»: Dio è amore. Limiti e scandali interni non intaccato la sua profezia ecclesiale.
Il titolo "Autoritratto nello studio" un tema iconografico familiare alla storia della pittura - va qui inteso alla lettera: il libro è un autoritratto, ma soltanto nella misura in cui il lettore potrà alla fine decifrarne i tratti attraverso il paziente scrutinio delle immagini, delle fotografie, degli oggetti, dei quadri presenti negli studi in cui l'autore ha lavorato e tuttora lavora. La scommessa di Agamben è, cioè, quella di riuscire a parlare di sé soltanto e unicamente parlando di altri: i poeti, i filosofi, i pittori, i musicisti, gli amici, le passioni insomma gli incontri e gli scontri che hanno deciso della sua formazione e hanno nutrito e ancora nutrono in vario modo e misura la sua propria scrittura, da Heidegger a Elsa Morante, da Melville a Walter Benjamin, da Caproni a Giovanni Urbani. Per questo del libro sono parte integrale le immagini che, come in quei rebus in cui varie figure accostate l'una all'altra ne disegnano una diversa e più grande, si compongono alla fine col testo in uno dei più insoliti autoritratti che un autore abbia lasciato di sé: non un'autobiografia, ma una fedelissima e intemporale autoeterografia.
Tra i tanti interessi di d'Annunzio dobbiamo annoverare anche quello di pittore; e, a dimostrare sino a che punto si dedicò a questa attività artistica, vi è questo libro, il quale ci mostra l'entità della sua inclinazione e le opere da lui realizzate. L'autore di questa ricerca è il biografo dannunziano Costanzo Gatta, figlio di Alfredo, che fu giornalista, critico musicale e teatrale del "Giornale di Brescia". Costanzo ha seguito le orme paterne e, ancora oggi, dedica in maniera assidua le sue energie al giornalismo. Nel 1972, inviato a Monaco dal quotidiano "La Notte" per seguire le Olimpiadi, fu uno dei due giornalisti italiani ad annunciare il blitz dei fedayn contro gli atleti israeliani. Per molti anni, infatti, Gatta è stato cronista del famoso quotidiano milanese "La Notte", diretto dal 1952 al 1979 da Nino Nutrizio.
Questo libro è la storia di una vita fuori dagli schemi. Anzi, di una vita "sulle ruote". Non quelle di un'auto, o di una bicicletta da corsa. Quelle di una carrozzella. Una carrozzella a motore, per la precisione. Una carrozzella di nome Herbie, come il maggiolino tutto matto, che è uno dei film preferiti di Matteo. Matteo è un ragazzo di vent'anni. Ma è anche la prova vivente che il mondo visto da una sedia a rotelle non è poi tanto diverso da quello di chi sta in piedi. A fare la differenza è l'ironia di Matteo, la sua curiosità, la capacità di scherzare su tutto - perfino sulla disabilità. La sua storia, raccontata in prima persona, sottoforma di viaggio... in ascensore, permette di tuffarsi in questo mondo, tra parenti eccezionali, volontari imprevedibili, amici un po' "normali" e un po' matti, ma anche insegnanti, tutor e allenatori capaci di trasmettere tutta la loro passione nel lavoro che fanno. MP3. Sulle ruote me la rido è l'autobiografia di un ragazzo che, nonostante la sua patologia - tetraparesi spastica, conseguenza di un parto gravemente prematuro - ci dimostra che è possibile vivere una vita normale e specialissima assieme. Una vita che è tutta un susseguirsi di "se" che lasciano il segno. A partire da quello fatidico del 30 aprile 1995: cosa sarebbe successo se mamma e papà non si fossero messi in auto, nel cuore della notte, senza sapere che con loro tra poco ci sarebbe stato anche Matteo?
Pio La Torre è stato l'unico parlamentare della Repubblica ucciso dalla mafia mentre era ancora in carica. A trentacinque anni dalla sua morte, avvenuta il 30 aprile 1982, i suoi due figli, Franco e Filippo, raccontano l'eccezionale normalità di un eroe che non ha mai voluto diventare un eroe, l'umanità di un uomo e di un padre ancora scomodo, che interroga ciascuno di noi, chiedendoci fino a dove siamo disposti a metterci in gioco per vivere davvero le nostre battaglie. «Il motivo per cui nostro padre poté fare quello che fece sta proprio in questa identificazione totale e piena con le sue battaglie. Oggi come allora queste parole possono sembrare retoriche eppure non lo sono. Pochi hanno avuto e hanno la credibilità per pronunciarle, pochi possono davvero dire "Io sono la mia battaglia"».
Il 31 ottobre 1969 le telescriventi di tutto il mondo battono una notizia che ha dell'incredibile. Ralph Minichiello, marine italo-americano di vent'anni, decorato in Vietnam per le sue azioni «eroiche», sta dirottando un aereo decollato da Los Angeles. All'aeroporto di New York, dove il Boeing 707 atterra per rifornirsi di carburante, Minichiello riesce a beffare l'imponente dispiegamento di forze dell'Fbi coordinato da John E. Hoover in persona. L'aereo sembra diretto al Cairo ma all'alba del i° novembre si ferma a Roma, dove il marine, su un'auto della polizia guidata da un vicequestore, comincia una disperata fuga verso Napoli e il paese in cui è nato, Melito Irpino. Dopo rocambolesche avventure nella campagna romana, viene arrestato e condotto nel carcere di Regina Coeli. Gli inquirenti faticano a credere al suo racconto: un anno, il 1968, vissuto nelle giungle del Vietnam; il torto subito al suo ritorno negli Stati Uniti; la decisione di sfidare, da solo, il Paese per cui era disposto a sacrificare la vita. Tutto per 200 maledetti dollari. Qualche giorno dopo cominciano a giungere, da ogni parte del mondo, messaggi di solidarietà per il ragazzo capace di sfidare «l'impero» impegnato nella «sporca guerra» diventata l'emblema di tutte le proteste che riempiono le piazze dell'Occidente. Se estradato, Minichiello, che a quattordici anni era emigrato in America con i genitori per fuggire dalla miseria dell'lrpinia colpita dal terremoto, rischia la pena di morte. Ma ormai è un simbolo: la sua vicenda si intreccia, involontariamente, con una storia che parte dalle proteste nelle università americane, passa per il Maggio francese, per Woodstock, la strage di Piazza Fontana a Milano, la ritirata americana dal Vietnam e gli Anni di piombo in Italia. Non è più la bravata di un ragazzo diventato uomo sparando raffiche di mitra in Vietnam ma la parabola di un'intera generazione che mette sotto accusa i propri genitori.
Nato negli ultimi mesi della Trento austro-ungarica da una famiglia di origine slovena, studente di medicina a Padova, partigiano comunista, Gino Lubich viene arrestato e torturato nel famigerato carcere di Bolzano, da cui riesce fortunosamente a fuggire. Nei difficili anni del dopoguerra sperimenta la sua vocazione giornalistica nell'opera di ricostruzione civile e morale del Paese, mettendo a servizio dei lettori la sua penna forbita e la sua acutezza di pensiero dapprima alla redazione milanese dell'«Unità», poi - dopo il distacco dal partito comunista - a Roma e a Padova. Testimone e interprete sempre libero e originale di tanti eventi decisivi della storia d'Italia del Novecento, amico fraterno di Ermanno Olmi e di Igino Giordani, oltre che legatissimo alla sorella Chiara, fondatrice del movimento dei Focolari, Gino Lubich è divenuto per molti un maestro di impegno per la libertà, la democrazia e la dignità di ogni persona.