Le tempere di Duilio Cambellotti nel Palazzo del Governo di Ragusa
Fotografie di Giuseppe Leone
Il 6 dicembre 1926 Ragusa diventò capoluogo di provincia, staccandosi dalla tutela di Siracusa. La città decise allora di dotarsi di una sede adeguata e, alacre promotore l’onorevole Filippo Pennavaria, vicinissimo al nuovo Cesare di Roma, affidò all’architetto Ugo Tarchi il progetto e la costruzione dell’edificio.
Progetto e costruzione posti sotto la diretta “responsabilità artistica” di Pennavaria. Il quale, a palazzo ultimato, fece sì che, dopo un concorso pro forma, la decorazione, che si voleva grandiosa e “a buon fresco”, venisse affidata all’artista italiano più noto e capace in questo campo, Duilio Cambellotti. Nel 1933, a due anni dalla costruzione del palazzo, dopo aver vinto la battaglia a favore della tempera contro il più fragile e secco affresco, Cambellotti diede mano alla decorazione parietale dei tre ambienti maggiori, il Salone d’Onore, la Sala del Camino, la Sala da pranzo. Obbligati i temi: la Vittoria di Vittorio Veneto e la Marcia su Roma per il Salone d’Onore, le immagini e le attività del territorio ragusano per la Sala del Camino, i prodotti della terra per la Sala da pranzo. Obbligati gli spazi e gli arredi, tutti a opera del Tarchi. Obbligati i tempi e gli stanziamenti finanziari. Cambellotti comunque, da grande artigiano e rigoroso professionista, seppe onorare l’impegno e l’arte, stendendo nei trittici del Salone d’Onore e sulle pareti delle altre sale immagini di grande maestria, d’impeccabile rigore stilistico, di elevata qualità tecnica. Tant’è che, al di là delle circostanze e delle pesanti ipoteche ideologiche che gravavano su questo lavoro, non ci si può che rallegrare per lo scampato pericolo quando, nel dopoguerra, qualcuno propose di distruggere queste scene che certamente potevano dar luogo a situazioni imbarazzanti. Fortunatamente ci si limitò a coprirle con bianche cortine, così da rendere possibile in seguito possibile un recupero nel momento in cui le passioni, i rancori e i protagonisti erano solo un lontano ricordo.
Duilio Cambellotti, “il tecnico più esperto, inventivo e geniale dell’arte italiana a cavallo dei due secoli,” come è stato definito da Giulio Carlo Argan, nasce a Roma nel 1876, da un padre artigiano del legno. Nella bottega paterna si sviluppa la sua vocazione per le arti applicate e la decorazione, vocazione che in più di mezzo secolo di sterminato lavoro farà di lui un vero maestro nel campo della scenografia, dell’illustrazione, della scultura e dell’incisione, e uno degli ultimi grandi della decorazione parietale. Fin dal 1896 crea manifesti e cartelloni teatrali, disegna oggetti e arredi, in una visione unitaria erede di Morris e Ruskin. Nel 1908 firma la scenografia per La nave di D’Annunzio e da allora questa attività costituirà una delle principali direzioni del suo lavoro, culminando nell’impegno per il Teatro Greco di Siracusa, per il quale creerà scene e costumi dal 1914 al 1947. docente di Ornato Modellato all’Istituto d’Arte di Roma, si lega dal 1908 al gruppo di intellettuali e letterati impegnati nel riscatto dell’agro romano: per la mostra sull’agro e per la scuola Cambellotti produce allestimenti, libri, manufatti, decorazioni ad affresco e a tempera. Ormai famoso nei vari campi dell’arte applicata, mantiene negli anni un’alta e pregevole produttività, e non a caso nel 1933 gli viene commissionata la prestigiosa decorazione per il Palazzo della prefettura di Ragusa. Nel dopoguerra continua la sua molteplice attività: insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma, illustra libro per ragazzi e raffinate edizioni di poesia e letteratura, continua della decorazione di edifici pubblici e privati. Muore a Roma il 31 gennaio 1960.
Il volume anticipa il cinquecentenario della morte di Sandro Botticelli (Firenze, 1445-1510), che verrà celebrato nel 2010 con diversi eventi espositivi.
L'autrice - sovrintendente dei musei di Firenze e in particolare della galleria degli Uffizi, la più importante raccolta di opere di Botticelli al mondo - racconta nel saggio introduttivo il contesto storico, culturale e artistico della Firenze di Lorenzo il Magnifico.
Nell'opera, circa 75 opere del maestro fiorentino, provenienti dai musei italiani e del mondo. Ogni dipinto è corredato da una scheda esplicativa.
Ad impreziosire il volume sono i numerosi e spettacolari dettagli fotografici, che evidenziano le qualità pittoriche - in particolare i volti, i gesti, le vesti - di uno dei pittori più amati del mondo.
Le cattedrali medievali sparse per l'Europa sono uno dei tesori più preziosi che i nostri antenati ci abbiano lasciato in eredità. Anche l'osservatore meno attento prova un'intensa emozione quando si trova di fronte a una di esse. Facciate, campanili, sculture, capitelli, vetrate, chiostri testimoniano di un'epoca nella quale l'uomo raggiunse uno dei punti più alti della sua parabola. Della loro costruzione conosciamo in genere molti dettagli, e così delle successive vicende di cui sono state protagoniste. Eppure, scrive Christian Jacq, conosciamo poco il loro significato più autentico. Il nostro tempo dominato dal razionalismo e dall'individualismo confina questi capolavori in una dimensione esclusivamente artistica e storica. Eppure essi parlano all'uomo a un livello assai più profondo perché racchiudono misteri e contengono simboli legati all'essenza stessa della vita spirituale. Oscurato dalla civiltà greco-romana, questo patrimonio oggi negletto esprime la straordinaria ricchezza esoterica dell'Occidente, che trae la propria linfa dalle culture del bacino del Mediterraneo, in primo luogo dall'Egitto dei Faraoni. Ma chi furono allora i costruttori delle cattedrali? Geniali artisti, abili capimastro, eccellenti artigiani? Oppure soprattutto i depositari di una sapienza antica espressa in simboli capaci di attraversare i secoli e le culture, per parlare di Dio a ogni uomo e portare a tutti la Conoscenza?
L’arte cristiana, a partire dal Medioevo, ha rappresentato il Dies irae, il giorno del Giudizio Universale, attingendo alle Scritture, alla teologia e all’immaginazione: Cristo giudice, angeli con le trombe, san Michele con la bilancia, cadaveri che si rianimano, l’inferno con i diavoli e i dannati, il paradiso con i beati. Questo saggio ci aiuta a capire come nel corso dei secoli l’uomo di fede ha immaginato il giorno del Giudizio, proiettando nell’aldilà le paure e le speranze che viveva nell’aldiquà.
Il ciclo "MACROradici del contemporaneo", che inaugura con la mostra "Cesare Zavattini inedito", rappresenta un ulteriore segnale di vitalità e di attualità delle proposte del MACRO. L'idea è quella di presentare al grande pubblico alcune fondamentali figure della cultura e dell'arte attraverso le quali il legame tra la memoria, la contemporaneità e l'utopia venga felicemente disvelato al visitatore. Zavattini fu tra i pochi a transitare indenne dal neorealismo alla comedia, interpretando perfettamente le più evidenti attitudini italiane e, con esse, le sue contraddizioni. Per questo artista, il fare ed il sapere non erano mai separabili, il che si evince persino dai suoi disegni e dai suoi acquerelli, grazie ai quali riuscì a tessere trame di racconto, e cronache, e atmosfere che ancor oggi rimandano ai luoghi e all'identità di Roma. Catalogo della mostra (Roma, 13 ottobre 2009-10 gennaio 2010).
Lo stato dell'arte della legge Ronchey a 15 anni dalla sua formulazione. E tanti interrogativi. Uno tra tutti: come modernizzare la gestione dei Beni Culturali? "Punto e a capo" offre un quadro aggiornato sugli sviluppi della gestione e valorizzazione dei Beni Culturali, fornendo molti suggerimenti per superare l'impasse normativo-legislativa cui si è arrivati negli ultimi anni: una giungla di norme, certamente in misura superiore alle reali necessità. L'evoluzione del consumo culturale è alla base di una necessaria e urgente modernizzazione dell'offerta e dei servizi culturali. Il libro nasce dall'esigenza di affermare la necessità di una nuova stagione di avanguardia per i Beni Culturali del nostro paese, capace di elaborare modelli di gestione in grado di rispondere ad un mercato esigente, veloce ed effimero. Le utili voci di abbecedario per i musei forniscono un'efficace sintesi su singoli aspetti e problematiche quali la tutela, i servizi aggiuntivi, le concessioni, l'editoria, le mostre e molto altro.
Anche nei periodi di più intensa attività, quando dalla sua penna nascevano opere quali i Pittori moderni o Le pietre di Venezia, John Ruskin dedicava diverse ore al giorno al disegno e alla pittura. Rarissimo esempio di teorico capace di tradurre in pratica artistica i princìpi che enunciava, nell’inverno 1856-1857 decise di acconsentire a suo modo alle richieste di tanti aspiranti allievi, e scrisse Gli elementi del disegno.
Da allora innumerevoli studenti, dilettanti e artisti di fama hanno letto questo manuale con pari ammirazione, e se l’autore proclamò di avervi trasfuso il metodo di Leonardo, Monet non esitò ad affermare che i nove decimi dell’impalcatura teorica dell’Impressionismo erano contenuti nelle sue pagine. Pagine che, presentandosi sotto forma di lettere a uno studente, prendono le mosse dagli «esercizi preliminari» – senza trascurare gli aspetti più pratici (che tipo di pennini da disegno comprare, come stendere le ombreggiature in modo perfettamente uniforme) – per poi affrontare il «disegno dal vero». Ruskin spiega con chiarezza esemplare, ammonisce, incoraggia, ha sempre in serbo il consiglio giusto, e anticipa con intuito infallibile il sorgere delle difficoltà, in un crescendo di complessità cui corrispondono i progressi dello studente-lettore. Finché il maestro giudica sia il momento di introdurlo ai segreti del colore – per dominarli, avverte, non basterebbe l’intera vita –, e quindi all’ultima tappa dell’apprendistato: quella «composizione» che Ruskin tratta in dettaglio enunciandone anzitutto le leggi di preminenza, ripetizione, continuità, curvatura, irradiamento, contrasto, interscambio, coerenza e armonia.
Entriamo così nelle segrete officine della pittura, e soprattutto impariamo a vedere, iniziando a comprendere, finalmente, i segreti dei maestri nascosti nei più minuti dettagli – e ritrovandoci, inevitabilmente, con il prepotente desiderio di cimentarci a nostra volta con matita e carta da disegno.
Da migliaia di anni l'uomo scruta il cielo alla ricerca di segni per conoscere il destino: nel continuo ruotare del firmamento, circa sette secoli prima di Cristo gli astronomi assiri ed egizi hanno fissato una sequenza di dodici costellazioni, che si alternano nel corso dell'anno. I segni zodiacali, abbinati da questo momento ad altrettante "figure", dovrebbero determinare il carattere delle persone, permettere di prevedere eventi, suggerire azioni nella vita di tutti i giorni o nei grandi avvenimenti della storia. Non c'è da stupirsi se l'immagine dello zodiaco e del suo influsso sia fortemente presente nel corso della storia dell'arte, soprattutto in alcuni momenti molto caratteristici, combinandosi con riti magici e misteriosi. In modo esplicito o implicito, il riferimento ai segni astrali caratterizza opere di grande suggestione: dall'archeologia al Medioevo, dall'intero corso del Rinascimento all'età barocca. Il volume prevede un saggio introduttivo generale sulla storia e sulla fortuna iconografica dello zodiaco, seguito da capitoli che presentano uno per uno i dodici segni, così come sono stati raffigurati nell'arte, e nei loro contenuti simbolici.
Sin dagli albori della stagione figurativa le donne costituiscono una presenza continua nell'opera d'arte, che le ha rappresentate in una miriade di situazioni diverse. Il repertorio di figure e immagini muliebri è sterminato, così come infinite appaiono le declinazioni della femminilità. Obiettivo dell'opera non è tanto quello di raccogliere un catalogo di immagini di donne in diversi periodi storici, quanto di analizzare come l'opera d'arte abbia raffigurato il femminile e di come le donne si siano raprpesentate attraverso il linguaggio artistico.
Il pensiero iconologico attraversa tutto il XX secolo, trovando in Germania e poi in Inghilterra e negli Stati Uniti i luoghi di affermazione e di diffusione. Il percorso di questa tradizione di studi segue le vicende accademiche, scientifiche e personali dei protagonisti: Aby Warburg, Fritz Saxl, Erwin Panofsky, Edgar Wind, Rudolf Wittkower e il viennese Ernst Gombrich. In questo libro, nuova edizione di un testo ormai "classico" del settore, l'autrice esamina con sguardo critico lo sviluppo dell'iconologia che trova, dopo la metà del Novecento, esiti e connessioni con altre discipline, dalla semiotica alla psicanalisi, alla psicologia della percezione, alla storia sociale, all'antropologia. Alla luce degli attuali interessi per l'immagine e per la cultura visiva l'iconologia è al centro del dibattito sul rapporto fra immagine e opera d'arte, fra capolavoro e immagine documentaria, fra visività e espressione significante e patetica, fra tradizione e anacronismo, fra immagine e testi, fra linguaggi visivi e linguaggi verbali, poetici e musicali, introducendo, nel superamento dei confini disciplinari e geografici, un'accezione antropologica dell'immagine, all'interno del dibattito attuale sull'"iconic turn", e aprendo al multiculturalismo, alla multimedialità e alle neuroscienze.
Un paesaggio idilliaco, una natura morta, un ritratto: ogni quadro racconta una storia e, a saperne cogliere anche gli aspetti meno immediati, ci parla del tempo e del luogo in cui è nato. I grandi pittori del Rinascimento vivevano immersi nella cultura umanistica, fondata sulla filosofia greca e romana e sui valori cristiani. Il vocabolario delle allegorie messe in scena nei dipinti era, quindi, molto più comprensibile per il pubblico dell'epoca rispetto a quello dei nostri giorni perché i secoli hanno oscurato e reso illeggibili molti dei significati stratificati nelle immagini. Questo volume analizza nel dettaglio sessantadue capolavori dal XIV al XIX secolo, dal Giudizio universale di Giotto a Giove e Semele di Gustave Morcau. Ogni opera è corredata da una pagina con "finestre" che mette in evidenza i tratti più importanti e ne dà una spiegazione specifica. Inoltre vengono discussi ed evidenziati dettagli della flora, della fauna, dei riferimenti ai miti classici e alle leggende, in pagine che mettono in luce le ricorrenze dei diversi simboli in luoghi ed epoche diverse. Introduzione di Philippe Daverio.
Una sintesi unica nel suo genere su una delle sorgenti artistiche e spirituali dell'umanità
Il buddhismo è la più antica delle religioni missionarie. Unico fattore di unità del continente asiatico, ha ispirato un’arte di grande spiritualità, parte essenziale del patrimonio universale. Tracciarne il panorama in un’unica opera è un’autentica sfida. L’assenza di un dogma unitario, la grande varietà ed eterogeneità delle tradizioni da un territorio all’altro, la grande disomogeneità del grado di conservazione di monumenti e loro decorazioni e una ricchissima bibliografia rendono particolarmente complesso il suo studio e difficile ogni tentativo di sintesi. Ma è proprio a causa della vastità dell’impegno e per evitare sovrapposizioni o contraddizioni che questo progetto, al quale Gilles Béguin, appassionato conoscitore della materia, pensa già da molto tempo, ci sembra la sola risposta possibile. La forma editoriale scelta, pur conservando le caratteristiche di un libro d’arte, è quella di un Atlante storico, il che significa che accanto alle fotografie dei monumenti ci sono piante, ricostruzioni e una cartografia inedita. Si tratta del più vasto apparato iconografico mai raccolto in un unico volume sull’arte buddhista. Questa opera non si rivolge quindi ai soli specialisti, sempre avidi di nuovi e inediti orientamenti, ma aspira anche a soddisfare la curiosità del lettore colto, fornendogli una introduzione chiara e pratica, punto di partenza per eventuali successivi approfondimenti, un autentico viaggio attraverso lo sviluppo dell’arte buddhista da un angolo all’altro del continente asiatico.