"Nel cuore dell'uomo la speranza è come una fiammella: e uno dei più grandi peccati contro lo spirito avviene proprio quando viene cancellata o spenta. Ci vuole molto coraggio per cercare sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, per osare la ricerca del cane che salva l'uomo e non di quello che lo azzanna." È questo l'augurio di Antonia Arslan: che la fiammella della speranza non si spenga mai. In tempi troppo spesso bui, la segreta bellezza dell'altro è la sola fonte di salvezza, l'unica luce che possa liberarci dalle tenebre dell'intolleranza. E così non esiste crescita interiore senza condivisione, non c'è cammino senza incontro, non c'è amore per il Paese senza memoria delle origini. Lo sa bene la testimone diretta dello scambio tra popoli: lei che attendeva nella sua casa di Padova i parenti sparsi e divisi dalla diaspora, davanti ai quali spalancava gli occhi incuriosita dai racconti dei cibi armeni e dei colori vivaci delle miniature. O sempre lei che scopriva che il nonno Yerwant aveva dato ai suoi figli quattro nomi armeni ciascuno, nonostante avesse compreso che l'antica patria era perduta per sempre e avesse deciso di dedicarsi a quella nuova con inesauribile energia. Dopo esili e diaspore, partenze e abbandoni che hanno segnato indelebilmente il destino di Oriente e Occidente, navigare verso la tregua è l'unica direzione accettabile; e proprio attraverso queste pagine che narrano di meravigliosi mondi lontani, ancora una volta la scrittrice della "Masseria delle allodole" ci conduce verso l'intimo equilibrio degli affetti e la scoperta dell'altro.
Nell'ampio e affollato panorama degli studi che intrecciano Bibbia e letteratura italiana mancava un'opera in grado di offrire un quadro sistematico e il più possibile completo del legame che le opere e gli autori della nostra tradizione letteraria hanno intrattenuto con la sacra Scrittura. Il Dizionario biblico della letteratura italiana ha coinvolto con tale intento circa 150 studiosi, di grande prestigio e di molte Università, che hanno realizzato 270 voci, alcune delle quali si configurano come lemmi collettivi. L'opera spazia dalle origini della produzione letteraria in volgare fino al Novecento, con un'incursione del terzo millennio. Oltre all'indubbio valore scientifico, il Dizionario biblico della letteratura italiana costituisce un viaggio nelle pieghe più e meno remote della nostra storia letteraria, nella quale le parole della Bibbia rappresentano spesso un riferimento essenziale.
Nel fitto di un bosco di uno dei monti dell'Italia settentrionale un uomo ritrova una baita appartenuta ai suoi antenati. Decide di ristrutturarla, per andarci a vivere e sfuggire così alla crudeltà del mondo che lo circonda. Ma, mentre lavora, un colpo di piccone bene assestato cambia per sempre la sua vita. Dietro la calce, in un'intercapedine del muro, trova i corpi mummificati di tre donne. E si accorge che sulla loro carne sono stati incisi dei segni, quasi lettere dell'alfabeto di una lingua misteriosa e sconosciuta. Qual è la storia delle tre donne? Chi le ha nascoste lì? Qual è il terribile messaggio che quelle lettere vogliono comunicare? Ed è possibile che la cerva dagli occhi buoni che sbuca ogni sera dal bosco voglia davvero proteggere l'uomo e rivelargli qualcosa? Mentre le tre mummie cominciano a infestare i suoi pensieri e i suoi sogni, trasformandoli in incubi e allucinazioni, l'uomo si mette alla ricerca della verità, una ricerca che può portarlo alla perdizione definitiva o alla salvezza. O forse a entrambe. Mauro Corona, dopo anni in cui si era dedicato a forme più brevi, torna al romanzo vero e proprio. E lo fa con un libro che racconta la maestosità della natura e la cattiveria degli uomini, denso di immagini - per esempio quella del pivason, l'uccello-vampiro, e del suo spaventoso verso, presagio di morte - e di momenti di lirismo, come la scena in cui il protagonista scende in una foiba e dentro una pozza d'acqua scopre un piccolo essere di cui si sente improvvisamente e inaspettatamente fratello. Con "Nel muro", Corona torna a raccontare i boschi, gli animali e gli uomini della sua terra.
Arturo è un trentacinquenne, non ha ancora una fidanzata e fa l'agente immobiliare. Il suo principale obiettivo nella vita è mantenere immutato lo stato delle cose. Ha poche passioni che, con scarso successo, cerca di condividere con gli amici di calcetto. La più importante e irrinunciabile sono i dolci, in particolare quelli con la ricotta. Almeno fino a quando entra in scena lei, Flora: la figlia del proprietario della pasticceria che fa gli sciù più buoni di Palermo, il dolce preferito di Arturo. E in un istante diventa la donna dei suoi sogni. Sveglia, intraprendente, ma anche molto cattolica, Flora sulla religione ha la stessa pignoleria di Arturo sui dolci, ed è proprio così che lui la conquista, interpretando Gesù durante una Via Crucis. Quel giorno è per Arturo un vero calvario, perché durante il tragitto si accorge di aver dimenticato i più semplici insegnamenti cattolici e sbaglia tutto, dando vita a una rappresentazione ai limiti del blasfemo. Ciò nonostante, Flora s'innamora e per un periodo felice i due stanno insieme, senza che lei si accorga della sua indifferenza religiosa e, naturalmente, senza che Arturo la confessi. Un precario equilibrio, fatto di sotterfugi e risposte liturgiche bofonchiate a mezza voce, che non può durare. Quando lei se ne accorge, Arturo, un po' per sfinimento e un po' per provocazione, reagisce con insolita fermezza: seguirà alla lettera la parola di Dio. Per tre settimane. Una rivoluzione che cambierà la sua vita, rivelando a lui, ma anche a Flora e a tutti coloro che li conoscono, amici e colleghi compresi, una verità molto scomoda. Pif esordisce nel romanzo con un'opera che ci costringe a riconsiderare i rapporti che ci legano gli uni agli altri e il senso profondo delle parole solidarietà, uguaglianza, verità.
Una madre che non ha avuto il tempo di esserlo. Un figlio mai cresciuto. Tra di loro, i giorni teneri e feroci, sognati eppure vividissimi che non hanno vissuto insieme. E un dialogo ininterrotto che racconta cosa significa diventare donne e uomini oggi. A più di quarant'anni dai versi che hanno disegnato i contorni di un cambiamento possibile -"Libere infine di essere noi / intere, forti, sicure, donne senza paura" - Dacia Maraini riavvolge il filo di una storia tempestosa, quella al femminile, attraverso le parole di una madre a un figlio perduto, il suo, che cammina verso la maturità pur abitando solo nei ricordi. È così che l'immaginazione si fa più vera della realtà, come accade per tutte le donne che popolano i suoi libri - Marianna, Colomba, Isolina, Teresa - e sono arrivate a noi con le loro voci e i loro corpi. Corpi che non hanno mai smesso di cercare la propria via per la felicità, pieni di vita o disperati per la sua assenza, amati o violati, santificati o temuti, quasi sempre dagli altri, gli uomini. Ed è proprio a loro che parlano queste pagine. Agli occhi di un bambino maschio non ancora uomo. Per ricordare a lui e a tutti noi, sul filo sottile ma resistente della memoria, che solo quando l'amore arriva a illuminare le nostre vite, quello tra i sessi non sarà più uno scontro ma l'incontro capace di cambiare le regole del gioco.
Il giornalista (e detective per caso) Saverio Lamanna ha avuto l’incarico di scrivere per un giornale on-line alcuni articoli sui siti siciliani dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Parte, non a caso, dalla Valle dei Templi di Agrigento; proprio in quei giorni, infatti, la sua fidanzata Suleima che ora vive a Milano sarà in quella zona della Sicilia per accompagnare il titolare dello studio di architettura dove lavora. Lamanna, alle prese con qualche problema di gelosia, viaggia naturalmente in compagnia di Peppe Piccionello, sua spalla confidente e mentore, che deve svolgere una piccola indagine familiare. Giunti nella Valle si trovano nel bel mezzo di una contesa scientifica: sono infatti affiorate da uno scavo archeologico alcune pietre che sembrano indicare la presenza dell’antico Teatro greco. Ricercato da secoli, mai ritrovato, è uno dei rompicapo degli archeologi di tutto il mondo che si sono dati appuntamento proprio in quei giorni in un congresso per discutere della scoperta e accertare se quelle pietre siano davvero i resti di uno dei più grandi teatri dell’antichità. Ma nel corso del convegno la comunità di studiosi e ricercatori viene scossa dalla morte violenta del professor Demetrio Alù, docente emerito e autorità dell’archeologia siciliana. Un delitto inspiegabile, consumato in un angolo di paradiso, tra mandorli, rovine e ulivi saraceni, sotto lo sguardo del Tempio della Concordia. Toccherà a Lamanna e Piccionello risolvere questo mistero nel mistero, nell’unico modo in cui sanno farlo: irriverente e appassionato, icastico e dissacrante. L’indagine svagata e serrata di due investigatori involontari dotati solo delle armi dell’intelligenza e dell’ironia.
È l'alba del XVI secolo.L'Italia è divisa in una miriade di regni litigiosi e incapaci di opporsi alle mire delle grandi potenze. Tra quelle corti soggette ai capricci della guerra si aggira un personaggio bizzarro e affascinante, che sembra uscito dalla penna di uno scrittore. È un pittore e scultore che come nessun altro riesce a catturare l'anima di ciò che raffigura. È un inventore in grado di concepire monumenti di prodigiosa bellezza, architetture così ardite da superare ogni immaginazione, macchine belliche che sembrano provenire da un futuro lontano. È uno scienziato che di ogni fenomeno dell'universo vuole indagare i meccanismi profondi: il moto dei pianeti, dell'aria e dell'acqua, il volo degli uccelli, il corpo umano. Quasi non esiste disciplina in cui non dimostri una maestria senza pari. Si chiama Leonardo da Vinci. Intorno al suo nome fioriranno leggende, miti, storie fantastiche. Eppure, sono ancora molti gli enigmi e le zone d'ombra nella sua biografia. Servirebbe una macchina del tempo o lo sguardo di un testimone oculare, per poter finalmente risolvere il rompicapo di colui che da secoli rappresenta, nell'immaginario comune dell'umanità, l'incarnazione del Rinascimento. Il libro che avete in mano è esattamente questo. Attraverso le memorie - immaginarie, ma scrupolosamente documentate - di Francesco Melzi, che del maestro fu per anni amico e allievo prediletto, Massimo Polidoro ci conduce in un incredibile viaggio nella turbolenta Europa di cinquecento anni fa. Cammineremo accanto a Leonardo, seguiremo gli stupefacenti sviluppi del suo ingegno, lo ammireremo nell'attimo irripetibile della creazione delle sue opere immortali, e ascolteremo dalla sua viva voce i pensieri e le intuizioni del più grande talento universale della storia. Prefazione di Piero Angela.
Nel giro di pochi giorni, nel marzo del 1927, un furto di denaro e gioielli ai danni di una svaporata e fantasiosa vedova, la contessa Menegazzi, e poi l'omicidio della ricca, splendida e malinconica Liliana Balducci, sgozzata con ferocia inaudita, incrinano la decorosa quiete di un grigio palazzo abitato da pescecani, in via Merulana, come se una «vampa calda, vorace, avventatasi fuori dall'inferno» l'avesse d'improvviso investito - una vampa di cupidigia e brutale passione. Indaga su entrambi i casi, forse collegati, Francesco Ingravallo, perspicace commissario-filosofo e segreto ammiratore di Liliana: ma la sua livida, rabbiosa determinazione, il suo prodigioso intuito per il «quanto di erotia» che ogni delitto nasconde e le pressioni di chi pretende a ogni costo un colpevole da dare in pasto alla «moltitudine pazza» non basteranno ad aver ragione del disordine e del Male. L'inchiesta sui torbidi misteri del «palazzo dell'Oro» gli concederà, al più, la medesima, lacerante cognizione del dolore di Gonzalo Pirobutirro. Giallo abnorme, temerario, enigmatico, frutto della irresistibile attrazione che su Gadda esercitavano il romanzo e i crimini tenebrosi ma insieme di una tensione conoscitiva che finisce per travolgere ogni possibile plot, il Pasticciaccio è anche il ritratto di una città e di una nazione degradate dalla follia narcisistica del Tiranno, dove si riversa a ondate tumultuose una realtà perturbata e molteplice - e dove, a rappresentarla, sono convocate, in uno sforzo immane, tutte le risorse della nostra lingua, dei dialetti, delle scienze e delle tecniche.
Londra, 5 novembre 1605. Un atto terroristico senza precedenti raggela l'intera nazione e devasta la vita del giovane Jack Digby. La sua famiglia distrutta, le sue speranze infrante, il ragazzo si ritrova in un mondo spietato fatto di intrighi, minacce e tradimenti, nel quale, per diventare un uomo, dovrà innanzitutto ritrovare sé stesso. Frequentando bettole e teatri, popolani e aristocratici, scoprirà che la verità non è facile né indolore; che i teatranti - tra i quali spicca l'enigmatico William Shakspere - potrebbero non essere semplici intrattenitori; che talvolta nulla è come sembra. L'intreccio si snoda tra sordidi vicoli cittadini e signorili dimore di campagna, sontuosi palazzi e antichi sotterranei; tra enigmi del passato, manoscritti segreti, amicizie, amori e rivelazioni inaspettate, mentre il patibolo è una minaccia che incombe dietro ogni angolo. Sullo sfondo scorre placido il Tamigi con i suoi colori, suoni e odori.
Napoli è la città meno equilibrata del mondo. È una metropoli complessa, piena di sfaccettature, è più città in una: un miscuglio di colori e di stati d'animo, di stili architettonici e classi sociali, di sapori dolci e salati, pastiera e pizza, sfogliatella e ragù, di musica antica e neomelodica, di fede e scaramanzia. Come fare allora a catturare le sue mille anime? Acuto osservatore dei piccoli e grandi fatti di cronaca della sua città, Lorenzo Marone sceglie di raccontare Napoli a modo suo, lasciandosi sorprendere da ciò che gli accade intorno così da raccogliere storie, incontri e aneddoti: i "Granelli" della sua rubrica settimanale su "la Repubblica" di Napoli. E proprio dai "Granelli", arricchiti da due testi e organizzati secondo una struttura a ossimoro che ben fotografa i contrasti della città, nasce questo libro. Dalla leggenda della sirena Partenope alle celebrazioni in onore di Totò, passando per l'arteteca e Higuaín, una lettera d'amore per Napoli, vista attraverso lo sguardo privilegiato di uno scrittore. Una guida molto sui generis per bibliofili curiosi, napoletani e non. Perché Napoli è una filosofia di vita, una continua e stupenda contraddizione: forse comprenderla ci aiuterà a vivere meglio.
Roma, autunno 1542. All'età di 68 anni, Michelangelo è richiamato ai suoi doveri: deve completare la tomba di Giulio II, opera ambiziosa ma rinviata per quasi quarant'anni. Guidobaldo II, erede dei Della Rovere, non accetterà altre scuse da parte dell'artista. Ma Michelangelo si trova nel mirino dell'Inquisizione: la sua amicizia con la bellissima Vittoria Colonna non è passata inosservata. Anzi, il cardinale Gian Pietro Carafa, a capo del Sant'Uffizio, ha ordinato di far seguire la donna, con lo scopo di individuare il covo degli Spirituali, la setta eretica capeggiata da Reginald Pole, che propugna il ritorno alla purezza evangelica e alla semplicità della vita in una città in cui la vendita delle indulgenze è all'ordine del giorno. Proprio la Roma divorata dal vizio e violata dai Lanzichenecchi sarà il teatro crudele e magnifico in cui si intrecceranno le vite di Malasorte, giovane ladra incaricata di riferire sugli Spirituali, del capitano Corsini, capo dei birri della città, di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, e di Michelangelo Buonarroti, tra i più grandi geni del tempo. Tormentato dai committenti, braccato dagli inquisitori, il più grande artista della cristianità concepirà la versione finale della tomba di Giulio II in un modo che potrebbe addirittura condannarlo al rogo...
Durante la sua permanenza a Ravenna il Sommo Poeta visitò certamente le splendide basiliche bizantine traendo ispirazione dai loro mosaici.
Fu Giovanni Pascoli a suggerire la rilevanza dell’arte di Ravenna come fonte ispiratrice dell’ultima cantica della Commedia.
Dante è un attento osservatore di ogni forma d’arte, disegnatore lui stesso e necessariamente sensibile rispetto a quel ricco repertorio di immagini fortemente evocative, che per lui ebbero la medesima influenza di una fonte scritta. A Ravenna il poeta esule non trovò soltanto un rifugio tranquillo. Nelle basiliche del V e VI secolo, che si elevavano ancora nobili e preziose, splendevano mosaici dal forte contenuto simbolico. Erano immagini concise e luminose, smaterializzate e prive di tutti quegli elementi sensuali che potevano in qualche maniera ostacolare l’espressione della trascendenza e della spiritualità.
Questa mostra aiuta a comprendere come quell’universo di simboli e trionfi, occultato dall’umile mattone dei monumenti di Ravenna, occupi un ruolo non episodico ma sostanziale nella Commedia come fonte ispiratrice di immagini sublimi dal Paradiso terrestre sino all’Empireo.