Uscito dopo quattro anni dal penitenziario siberiano di Omsk, Fedor Michailovich è un uomo profondamente malato ma assetato di vita e di gloria letteraria. Nel suo animo, diviso tra l’orrore e l’attrazione del male, si agitano sentimenti opposti: l’amore, di cui va alla disperata ricerca, il rifiuto di concedersi, chiuso in un esasperato egocentrismo, e l’insanabile passione per il gioco d’azzardo. Chi lo racconta è Razumichin, personaggio di Delitto e Castigo, e amico di Raskòlnikov. Razumichin vive di espedienti, è un giovane ambizioso, cinico, roso dall’invidia e pazzo di ammirazione verso chi è ciò che lui vorrebbe essere: un grande scrittore, un uomo capace, come Dostoevskij, di perdersi e mettersi a rischio fino in fondo. Seguirà ovunque Fedor Michailovich. palesemente o di nascosto, fin dal suo ritorno a Pietroburgo, nel suo fanatico innamoramento per Marija e nelle drammatiche vicende del loro matrimonio, nei più abbietti bassifondi, nei viaggi attraverso l’Europa, nella disperata avventura con Polina Suslova, nelle miserie di accanito giocatore. Guidato da un amore-odio, che rasenta l’omosessualità, per il suo idolo, Razumichin diventa l’ossessionato e ossessivo biografo di un Dostoevskij sconosciuto agli ammiratori di ogni tempo. In questo appassionato romanzo, antibiografia di un grande scrittore, Ferruccio Parazzoli è entrato in ogni particolare della vita di Dostoevskij, scoprendola e raccontandola nei risvolti più intimi, con l’amore e la spietatezza con cui un figlio guarda al proprio padre.
Anita se n’è andata ponendo fine a un amore che sembrava dovesse durare per sempre. Milan è impreparato, triste, preso da rimorsi e nostalgie che lo inducono a raccontarsi, quasi per consolazione, come sarebbe stato quell’amore se invece di incontrarsi a sessant’anni lui e Anita si fossero conosciuti da ragazzi. Il tempo trascorso insieme ha lasciato in Milan una traccia profonda. Negli alti e bassi della loro storia d’amore ci sono stati viaggi, incontri, passioni. La scomparsa di persone care e importanti ha offerto l’occasione di meditare su che cosa accadrà dopo la morte, di chiedersi se farsi cremare o farsi seppellire. Intorno a queste alternative si aprono discussioni, riflessioni, fatti imprevisti. Dal passato e dalle storie degli altri affiorano episodi curiosi, anche comici, e l’aldilà possibile viene trattato come se fosse la continuazione della vita, come se si trattasse semplicemente di scegliere un luogo dove fermarsi, di darsi un’altra tappa nell’esistenza. Un romanzo acceso da lampi di ironia, attraversato dalla tenerezza dei ricordi: la fine di un grande amore e la fine dell’esistenza terrena si intrecciano fluidi con una serenità che non è distacco olimpico ma assunzione piena, complicata e contraddittoria della fragilità della vita e dei sentimenti.
Alain Elkann è nato a New York nel 1950. Nei Tascabili Bompiani sono disponibili Montagne russe, Il tuffo, Piazza Carignano, Stella Oceanis, Boulevard de Sébastopol e altri racconti, Il padre francese, Rotocalco, John Star (Premio Cesare Pavese 2002), Delitto a Capri, Una lunga estate (Premio Internazionale Tarquinia - Cardarelli 2003), MoMo, Mitzvà, il cofanetto Essere ebreo, Cambiare il cuore, Essere Musulmano (Premio Capalbio 2005), Vita di Moravia, Emma, intervista a una bambina di undici anni, L’invidia (Premio Letterario Mondello – Città di Palermo 2006), L’intervista 1989 - 2009, L’equivoco (Premio Acqui Terme 2009), Diario verosimile, Nonna Carla, Hotel Locarno e Il fascista.
È giunta la primavera. Diana, la cagna incontrata nel primo episodio della saga, abbandonata dai proprietari sulla neve, è sopravvissuta grazie all’intervento dell’esploratore Wolfgang ed è stata accolta nel branco, superando l’inverno e condividendo le vicende affrontate dai lupi. L’attendono ora giorni di tepore, ma anche la mai scontata vita selvatica sull’altopiano, con le sue difficoltà e i suoi pericoli… Le ambientazioni e i comportamenti degli animali descritti si basano su dati reali, solo sporadicamente sono state prese alcune piccole libertà narrative. Anche in questo secondo episodio della saga il lupo, mitizzato oppure oltremodo temuto, viene presentato per quello che è in realtà: un predatore sociale altamente specializzato.
Alberto Franchi vive a Verona, dal 1986 è medico veterinario libero professionista. Appassionato di montagna, fin da bambino ha percorso in tutte le stagioni e con ogni condizione di tempo dossi, boschi, vaj e foreste della Lessinia che sono l’ambientazione scelta per questa saga, uno spaccato della vita dei lupi attraverso l’arco di un anno.
La sua Argentina, il suo passato i grandi personaggi che ha incontrato, i temi a lui cari, ma sempre incarnati attraverso episodi, interessi, testimonianze. Una galleria che descrive, come in un quadro, l'origine di un pontefice preso alla fine del mondo, come disse il giorno della sua elezione. Un romanzo per comprendere e raccontare chi era Jorge Mario Bergoglio prima di essere Papa Francesco. Età di lettura: da 12 anni.
1116, Regno di Francia. Eloisa è una donna fuori dal comune. Chiusa in convento fin da giovanissima, senza sapere nulla dei genitori, non è mai riuscita ad abituarsi a quella vita, una prigione fatta di polvere, silenzio e litanie, per lei prive di senso, ripetute all'infinito. L'unico modo di evadere è chiudersi nella biblioteca del convento dell'Argenteuil e perdersi tra le righe dei manoscritti che lì vengono conservati. Per questo, il giorno in cui le viene consegnata la lettera di suo zio Fulberto, che la invita a raggiungerlo a Parigi a vivere con lui, fuori da quelle odiate mura, Eloisa non crede ai propri occhi. La libertà. Finalmente la libertà che tanto ha desiderato assaporare. Pietro di Berengario, noto in tutta Parigi come Abelardo, è uno dei filosofi più celebri del suo tempo. Le sue lezioni all'università sono seguite da centinaia di studenti. Per quello ha lasciato la primogenitura e il suo castello in Bretagna e ha preso i voti, perché era il solo modo per poter dedicare la sua vita all'unica cosa che per lui abbia un senso: il sapere. Quando Eloisa e Abelardo si incontrano - lo zio di lei ha voluto concedere alla nipote una vera istruzione con il maestro più rinomato del momento - la loro è quasi una sfida. Diffidente lui, perché non pensa che una donna possa meritare la fama di letterata con cui viene acclamata Eloisa. E orgogliosa lei, che sente il rifiuto di Abelardo ad accettare la sua intelligenza. Ed è proprio questo il momento in cui sboccia il loro amore, in cui passione e intelletto fungono da trama e ordito, un'unione che è di corpi quanto di anime e menti. Tanto grande nella gioia quanto disarmante nel suo drammatico epilogo, che li porterà prima a mentire e a imbrogliare chi li ama, poi a perdere tutto e a vivere separati per sempre.
Omar Gentile, "colonnello" di una formazione di estrema destra e Pietro Salis, conosciuto come "er Cattivo", boss indiscusso della criminalità del litorale romano: non hanno nulla in comune, né ideali, né obiettivi, né stile di vita. È un furto in banca da quaranta miliardi, realizzato a metà degli anni Ottanta, a segnare l'inizio di un sodalizio criminale tra i terroristi neri e i criminali di Ostia. E a dare il via a una catena di omicidi, attentati e ricatti che andrà avanti per più di un decennio, attraversando una delle fasi più drammatiche e sanguinose della storia italiana e della Capitale, funestata da una malavita spietata e aggressiva e dalla tragedia degli anni di piombo. Partendo da un reale fatto di cronaca, Antonio Del Greco e Massimo Lugli mettono in scena l'affascinante e violenta storia della "grande mala": la sua nascita, l'ascesa e il cambiamento di un gruppo criminale che ancora oggi domina incontrastato sulla scena di Ostia e di Roma.
Chiara, insegnante, mezz'età, vita professionalmente appagata e privatamente tranquilla, viene informata che suo fratello Michele è scomparso durante un soggiorno tra le montagne delle Alpi Cozie. Sul posto ritrova Simone, vecchia fiamma, che si è ritirato a fare l'allevatore in quelle valli occitane con il figlio Davide, un bambino a cui Chiara presto si affeziona. Simone aveva un legame forte, complicato, con Michele, cementato in anni di estremismo politico. Anni che Chiara ripercorre e rivive per lampi di memoria; anni, benché difficilmente giustificabili con il criterio dell'etica pubblica, di grande significato esistenziale. Simone, brillante studente di chimica e, da giovane, sensibile musicista, ne ha pagato tutte le conseguenze; con Michele invece il destino era stato più benevolo. Quando viene trovato il suo cadavere, precipitato in un burrone d'alta quota, il verdetto è incidente o suicidio. Ma Chiara non si acquieta e cerca, tra ricordi, rimpianti e rivelazioni, la verità. E questa viene con la prima neve. Come gli altri di Claudio Coletta, questo libro è un racconto sommesso, quotidiano, che avvolge il dramma del tradimento in atmosfere malinconicamente naturali, e solleva tragedie passate, trasfigurate dal tempo in ironie della vita.
«Chiamatemi Tiresia. Per dirla alla maniera dello scrittore Melville, quello di 'Moby Dick'. Oppure Tiresia sono, per dirla alla maniera di qualcun altro. Zeus mi diede la possibilità di vivere sette esistenze e questa è una delle sette. Non posso dirvi quale. Qualcuno di voi di certo avrà visto il mio personaggio su questo stesso palco negli anni passati, ma si trattava di attori che mi interpretavano. Oggi sono venuto di persona perché voglio raccontarvi tutto quello che mi è accaduto nel corso dei secoli e per cercare di mettere un punto fermo nella mia trasposizione da persona a personaggio. Ho trascorso questa mia vita ad inventarmi storie e personaggi, sono stato regista teatrale, televisivo, radiofonico, ho scritto più di cento libri, tradotti in tante lingue e di discreto successo. L'invenzione più felice è stata quella di un commissario. Da quando Zeus, o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi di nuovo la vista, questa volta a novant'anni, ho sentito l'urgenza di riuscire a capire cosa sia l'eternità e solo venendo qui posso intuirla. Solo su queste pietre eterne». La "Conversazione su Tiresia" scritta e interpretata da Andrea Camilleri è stata messa in scena per la prima volta al Teatro Greco di Siracusa i giugno 2018 nell'ambito delle rappresentazioni classiche realizzate dall'Istituto Nazionale del Dramma Antico.
Lupo e Nicola nascono alle soglie del secolo nuovo, il Novecento, ultimi della progenie di Luigi Ceresa, fornaio nel borgo marchigiano di Serra de’ Conti. La vita dei Ceresa è durissima, come quella di tutti gli abitanti di Serra, poveri mezzadri che vedono spegnersi figli e speranze una dopo l’altra. Lupo, vigoroso e ribelle, e il fragile Nicola sopravvivono forse in virtù della forza misteriosa che li unisce pur nella loro diversità. Zari nasce in Sudan ma viene rapita ancora bambina e poi convertita alla religione cattolica: in pochi sanno che questa è l’origine della Moretta, la badessa del convento di clausura di Serra, che con la sua musica straordinaria e la sua forza d’animo è punto di riferimento per tutta la comunità. Intanto il vento della storia soffia forte: le idee socialiste e quelle anarchiche, la Settimana Rossa del ’14, la Grande Guerra, l’epidemia di Spagnola... Lupo, Nicola e la Moretta dovranno resistere, aprire gli occhi e scoprire il segreto che lega le loro esistenze. Quella della Moretta – suor Maria Giuseppina Benvenuti, e prima Zeinab Alif, ancora oggi oggetto di culto – è una storia vera, le vicende dei fratelli Ceresa sono invece frutto di invenzione: ma in queste pagine ogni personaggio è seguito con il medesimo sguardo, frutto di una rigorosa documentazione storica e insieme di un’ardente partecipazione spirituale, e raccontato con una scrittura tesa, vibrante, capace di scavare nelle pieghe del tempo e trarne schegge di emozione vivissima. Alla sua seconda prova narrativa, Giulia Caminito sceglie di dare voce a chi non l’ha mai avuta, a chi è ultimo per nascita o per scelta: e si misura così con il grande tema della fede, della speranza salvifica in un mondo migliore.
Da quando "La Mennulara" fu data alle stampe nel 2002, Simonetta Agnello Hornby ha sempre pensato che sarebbe ritornata sul romanzo per un ulteriore lavoro di approfondimento e per aggiungere quelli che da allora ha chiamato "i capitoli perduti", ovvero pagine andate effettivamente perdute ma popolate di immagini rimaste incise nella sua memoria: quelle pagine inedite sono state finalmente ricostruite e ora rafforzano la macchina della storia, l'atmosfera della narrazione, i profili di alcuni personaggi. Roccacolomba, Sicilia, 23 settembre 1963. È morta la Mennulara, al secolo Maria Rosalia Inzerillo, domestica della famiglia Alfallipe, del cui patrimonio è stata da sempre - e senza mai venir meno al ruolo subalterno - oculata amministratrice. Tutti ne parlano perché si favoleggia della ricchezza che avrebbe accumulato, forse favorita dalle relazioni con la mafia locale. Tutti ne parlano perché sanno e non sanno, perché c'è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine. In questa edizione, interamente rivista dall'autrice, la Mennulara è più sensuale, crescono gli affondi di atmosfera e gli agganci alla società siciliana dei primi anni Sessanta. La spirale di commenti, post mortem, sulla buona o sulla mala condotta della Mennulara - vero motore della narrazione - si avvale di alcune voci in più, a sostegno della complessità psicologica della protagonista e della società in cui agisce.
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con "L'Arminuta" fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
Petrarca si pone sullo spartiacque e sul discrimine fra Medioevo e Umanesimo, raccogliendo da un lato le tensioni e i messaggi più vividi e duraturi del primo e prefigurando, dall'altro, quell'assiduo amore per la parola dell'antico che pervase ed animò il secondo... Al pari del Dante paradisiaco, Petrarca è capace di ascendere, con il suo pensiero poetante, dalla terra al cielo, all'eterno dal tempo.
(dal saggio introduttivo di Matteo Veronesi)