Arrivano completamente inaspettate. Durano pochissimo, talvolta solo qualche settimana, poi vengono represse. Ma in quel poco tempo succedono cose tali da rimanere per sempre incise nella memoria collettiva. Sono le rivolte popolari. La storia, almeno nell'ultimo millennio, è tutta punteggiata da momenti critici in cui una massa di persone decide che il futuro così come lo vede non gli piace, e prova a cambiarlo. Il Medioevo non fa eccezione: anche allora non sono mancati movimenti insurrezionali che nel loro sviluppo iniziale non sembrano affatto distinguibili dalle più travolgenti rivoluzioni moderne. In particolare nella seconda metà del Trecento se ne sono concentrati così tanti da costituire un'anomalia. Alessandro Barbero racconta proprio le più spettacolari fra queste insurrezioni. Per molto tempo gli storici hanno visto nel loro fallimento non solo la prova che i rivoltosi non avevano nessuna possibilità di riuscire, ma che non perseguivano neppure un obiettivo consapevole. Nulla di più falso: i rivoltosi sapevano quello che stavano facendo, avevano rivendicazioni precise e si battevano consapevolmente per realizzarle.
«Ma cosa fa un ministro?». Questa è la domanda che Enrico Giovannini, allora ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, si sente rivolgere da una ragazza una mattina del 2022 a Genova. Una domanda che stimola molti altri interrogativi, ai quali Giovannini risponde in questo libro sulla base dei quasi due anni di esperienza da ministro tecnico nel governo Draghi. Se non si può riferire a un programma elaborato dal partito di appartenenza, allora come fa un ministro tecnico a prendere decisioni politiche? Segue l'approccio basato 'sulla scienza e l'evidenza'? Media tra spinte e interessi contrapposti? Si difende dietro il classico «ce lo chiede l'Europa»? Si affida al suo intuito? Come coniuga l'esigenza di rispondere alle urgenze o alle emergenze del momento con quella di operare scelte orientate al lungo termine? Come interagisce con la burocrazia pubblica? E come si rapporta al mondo dei media? Il libro racconta come si fa a fare tutto questo in pratica. Una sorta di 'manuale' per capire in cosa consista la difficile, ma anche affascinante, arte della politica.
«Nel 1989 Andrej Sacharov, prendendo la parola alla riunione di fondazione dell'Associazione Memorial, disse che il nostro compito era raggiungere ogni destino umano, e cioè restituire un nome alle migliaia di vittime, la cui memoria era stata cancellata dallo spazio pubblico». Queste parole, che Irina Scerbakova ama ripetere, costituiscono il messaggio fondamentale trasmesso da Memorial, fatto chiudere in Russia dalle autorità statali alla fine del 2021, ma ancora operante sia in patria che all'estero attraverso una vasta rete di volontari. A fronte del tentativo del sistema di isolare gli individui, la famiglia - di cui il regime sovietico tentò variamente di scardinare la struttura tradizionale - costituì un'isola di umanità: nella narrazione dell'autrice, nelle drammatiche vicende da lei riportate, emergono in primo piano legami autentici di affetto e stima, valori fondamentali come la cultura, il senso della responsabilità civile, il gusto del lavoro, la fede, che anche dai luoghi di reclusione i genitori tentarono disperatamente di trasmettere ai propri figli, vedendo in questo uno scopo più prezioso della vita stessa.
Octavius è un'apologia del cristianesimo in lingua latina. È l'unica opera pervenuta di Minucio Felice, avvocato di origine africana operante a Roma fra II e III sec. d.C., quando i cristiani rappresentano ancora una novità agli occhi del mondo pagano. La forma è quella del dialogo ciceroniano: tre amici - il narratore, Minucio stesso; il cristiano Ottavio; e il pagano Cecilio - camminano sul lido di Ostia parlando del senso dell'esistenza. La buona novella portata da Ottavio giunge inaspettata e in quanto tale inizialmente anche incomprensibile: è come pioggia nel deserto.
Il volume, frutto di una estesa ricerca d'archivio, analizza le formazioni riconducibili a quella peculiare area politica che è stata la sinistra rivoluzionaria italiana fra gli anni Quaranta e Settanta del Novecento. L'anarchismo e le dissidenze antistaliniste "storiche" hanno dato vita a esperienze organizzative significative che, a contatto con le lotte sociali e anticoloniali, hanno saputo intercettare le tensioni generazionali e politiche affiorate negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento. Già prima del Sessantotto sono nate così nuove strutture di matrice antiautoritaria, operaista, marxista-leninista, e/o antimperialista, che hanno raggiunto il loro apogeo nella prima metà del decennio successivo per entrare poi rapidamente in crisi, strette tra il fenomeno della lotta armata, il disimpegno politico e l'emergere di altri bisogni e antagonismi (femminismo in primis).
Dotate di un importante valore culturale e simbolico, le biblioteche pubbliche conoscono una forte diffusione durante l'età moderna diventando la vetrina delle ambizioni della Chiesa controriformistica prima e dello Stato assolutista poi. Per questo, quando la Rivoluzione arriva nella Penisola italiana, le investe. Se ne appropria. Le trasforma mettendole al servizio di un progetto di emancipazione collettiva. Questo saggio studia le logiche e le forme di tale volontà politica, che porta alla costruzione di un nuovo ruolo sociale della biblioteca pubblica durante il decennio repubblicano fino a farne un laboratorio in costante trasformazione grazie all'intervento delle istituzioni pubbliche, ma anche grazie alle iniziative prese da una cittadinanza capace di riappropriarsi dialetticamente dello spazio bibliotecario e influenzarne la gestione. Studiato in questa prospettiva, l'ordine dei libri allora si rivela l'occasione per interrogare e rileggere la costruzione del nuovo regime in Italia.
Alcide Degasperi è oggi un politico universalmente stimato. Difficile poter dire male dell'uomo che ha contribuito più di tutti a ricostruire un paese provato dalla guerra, povero e profondamente lacerato. Ma non è stato sempre così: in vita egli è stato per anni un lottatore indomabile, ma perdente: un cattolico vecchio stile, in un mondo dominato dalle nuove ideologie, il fascismo, il nazismo, il comunismo. Degasperi le ha conosciute tutte e tre e le ha combattute aspramente, come poteva, da subito. Padre dell'Italia repubblicana, del voto alle donne, della scelta atlantica, Degasperi è stato anche un fondatore dell'Europa unita, anche se oggi, forse, non la riconoscerebbe più. Ha condotto l'Italia fuori dalle secche del dopoguerra con decisione e coraggio. Ricordare oggi le sue battaglie, può essere un modo per indicare una possibile strada, per una rinascita che appare di nuovo necessaria.
Viaggiando nelle province dell'Impero bizantino poteva capitare di imbattersi in un monaco arrampicato sulla sommità di una colonna: un asceta che passava la sua vita sospeso tra terra e cielo, dedicandosi alla preghiera e agli esercizi spirituali. Era uno spettacolo strano, che attraeva fiumi di pellegrini. Nonostante la bizzarria di un'ascesi tanto estrema e sorprendente, l'incontro con uno stilita era un evento meno eccezionale di quanto si potrebbe pensare. Gli abitatori delle colonne non erano poi così pochi, soprattutto nei deserti della Siria. Sempre esposti alle intemperie, sottoponevano il corpo a prove durissime. Ma sapevano anche compiere miracoli, guarire i malati, formulare profezie, esorcizzare gli indemoniati. Grazie a queste doti straordinarie si guadagnavano la devozione di fedeli di ogni strato sociale che accorrevano in massa ai piedi delle loro colonne: contadini, soldati, funzionari di corte, e persino imperatori. Per il loro prestigio, gli stiliti erano spesso chiamati a dirimere controversie, sostituendosi alle autorità civili e assumendo così anche un ruolo politico. Di molti di loro conosciamo non solo i nomi ma anche le vicende esistenziali che li hanno portati a una scelta così radicale. Questo volume, indagando testi biografici bizantini quasi mai tradotti in italiano, ricostruisce la storia, la vita e le opere dei santi stiliti. Ma ne narra anche la leggenda: un mito spirituale che ha attraversato i secoli e, tramite la poesia di Kavafis e di Rilke, è arrivato fino al cinema di Buñuel e Monicelli.
Ottobre 1972, struttura psichiatrica Stella Maris. Tra le mura di una stanza un uomo e una donna si scambiano parole di matematica e desiderio, di musica e visioni. Lei si chiama Alicia Western ed è lì per cercare di sfuggire ai suoi demoni. Lui è lo psichiatra che l'ha in cura ed è lì per tentare di salvarle la vita. Falliranno entrambi, ma le parole che si scambiano tra quelle mura resteranno dopo di loro. Nella seconda metà della dilogia cominciata con "Il passeggero", Cormac McCarthy chiude il cerchio delle vicende dei fratelli Western - e della sua intera opera - con un romanzo di diamantina intelligenza e strabiliante vis drammatica: l'ultima degna parola di un autore di genio. Quando bussa alla porta della clinica psichiatrica Stella Maris, con quarantamila dollari in contanti in una busta e poca carne addosso, Alicia Western ha vent'anni e altri due ricoveri alle spalle. Il compito che attende il dottor Cohen, che la prende in cura, è di quelli che possono far vacillare la fiducia di un medico nella propria professione. Con diagnosi plurime di sociopatia deviante, anoressia, probabile autismo, tendenze suicide e schizofrenia paranoide, Alicia è accompagnata fin dalla pubertà da uno stuolo di personaggi allucinatori capeggiati dall'individuo pinnuto e astruso che lei chiama Talidomide Kid. Ma accanto alle sue molte patologie psichiatriche, la giovane Western è anche una matematica di genio con un QI non testabile, nonché una virtuosa del violino troppo assorbita dalla teoria dei topoi per raggiungere nella musica un'eccellenza a lei accettabile. Ardua missione, per un terapeuta, cercare di strappare i brandelli di un'anima lacerata alle spire di una mente tanto vorace: nella danza di parole che i due ingaggiano, a ogni passo del medico corrisponde un nuovo imprendibile exploit della paziente, intriso di beckettiana ironia e puntellato di autorevoli teorie. Grothendieck e Gödel, Maxwell e Feynman. Kant, Schopenhauer e Wittgenstein. Bach. Il sapere moderno distillato in un lasciapassare per il nichilismo. Nel parterre di riferimenti di Alicia un solo nome compare con sospetta parsimonia, ed è quello di suo fratello Bobby, lasciato in coma in Italia dopo un incidente automobilistico, e dato per morto. Di Bobby Alicia non vuole parlare. Ed è proprio in quell'eloquente silenzio che lo psichiatra incunea il suo grimaldello. Perché ora sa che solo di Bobby, solo a Bobby, Alicia vorrebbe parlare. Seduta dopo seduta, il tempo a disposizione si fa sempre più breve. E nel ticchettio ora sommesso ora impetuoso di quell'orologio che lei sa leggere anche al contrario, Alicia si prepara a dimostrare l'estrema verità che ha appreso su questa esistenza: che «il mondo non ha creato un solo essere vivente che non intenda distruggere».
È il 1943, Dacia Maraini ha sette anni e vive in Giappone con i genitori e le sorelline Toni e Yuki. Suo padre, Fosco, insegna all'università di Kyoto, sua madre, Topazia Alliata, è felicemente integrata nel tessuto della città. Il sogno è la pace, si pensa che la guerra finirà presto. Tutto precipita, invece, quando Fosco e Topazia decidono di non giurare fedeltà al governo nazifascista della Repubblica di Salò. La coppia e le figlie vengono portate in un campo di concentramento destinato ai traditori della patria. Per la famiglia Maraini iniziano gli anni più difficili della loro esistenza: con pochi grammi di riso al giorno, tra fame, malattie, attesa, gelo e vessazioni, dovranno imparare a sopravvivere rinchiusi in un luogo ostile insieme ad altri prigionieri. Una delle voci più importanti della nostra narrativa torna in libreria con il suo libro più intimo, il racconto di un tempo terribile tenuto chiuso per decenni in un cassetto della memoria. In una cronaca vivida, dolorosa, commista a pagine di speranza, di incredulo stupore, attraverso gli occhi di una bambina ripercorriamo i lunghi mesi della prigionia di Dacia e dei Maraini nel campo giapponese. Per non dimenticare gli orrori del Novecento, e per celebrare il coraggio, la fedeltà alle idee, il rifiuto del razzismo di una famiglia che ha lasciato il segno nella Storia, e di chi come loro ha lottato per la libertà di tutti.
Ci sono momenti nella vita in cui si sente il bisogno di prendersi una pausa e ripercorrere con calma, senza le continue incombenze quotidiane, le tappe della nostra esistenza. Un viaggio che, anche nei momenti difficili e bui, ci ha portato a provare un sentimento di riconoscenza e gratitudine verso chi ha condiviso con noi il cammino, le prove, le epifanie. Così Chiara, alla soglia dei sessant'anni, approfittando dell'improvviso silenzio che avvolge la sua casa in collina, decide di scrivere tre lettere. La prima alla luminosa figlia adottiva, Alisha, ormai ventenne; la seconda alla diciottenne Ginevra, la problematica figlia naturale; e la terza all'amato e solido marito Davide, con il segreto intento che un giorno la farà leggere anche al piccolo Elia, arrivato in un momento di grande crisi familiare. Sono tutte, in qualche modo, lettere d'amore, declinate nei diversi linguaggi in cui si esprime questo sentimento invincibile e misterioso che ci lega indissolubilmente gli uni agli altri, aprendo nel nostro cuore porte segrete che non sapevamo di avere. Trent'anni dopo Va' dove ti porta il cuore, Susanna Tamaro ci riporta all'interno di complesse dinamiche generazionali, regalandoci pagine preziose che sovrastano il vociare confuso di questi tempi. Il vento soffia dove vuole ci cattura, ci consola e ci guarisce. Un romanzo profondo, appassionante e ricco di umorismo che è un inno alla forza dei legami familiari e all'importanza di dare un senso alla nostra vita.
Seneca torna a parlare dell'uomo e di due sue attitudini opposte: la saggezza e l'ira. Ira che non è irascibilità, così come non è decisione e slancio, ma un sentimento irrazionale, spesso anticamera della crudeltà. Esiste un antidoto, si chiede Seneca? Sì, la ragione, coerente quanto l'ira è incostante; e la pacatezza, la capacità di mettere del tempo tra noi e ciò che ci destabilizza per abituarci a una visione limpida, sgombra da sentimenti inquinanti. Seneca ci invita a rimanere umani, a essere superiori alle malevolenze e alle ingiurie. Perché non ne vale la pena: il tempo di un battito d'ali e voliamo via.