Il mondo come noi lo conosciamo finirà. Presto o tardi, ma finirà. Semmai sarebbe opportuno domandarci quale sarà la fine che attende il nostro pianeta e, con esso, tutta l'umanità che ospita e contiene. Alok Jha, in questo libro dall'apparenza catastrofistica e scanzonata, ma in realtà una vera e propria disamina scientifica, analizza per filo e per segno cinquanta plausibili ipotesi apocalittiche. Sarà la desertificazione o l'inquinamento chimico, la collisione solare o l'inversione dei poli a condannare l'umanità? O piuttosto un olocausto nucleare, una pandemia o un'invasione aliena? "Manuale dell'apocaiisse" è un modo insolito e divertente per imparare nozioni di genetica, biologia, approfondire tematiche sul clima e, perché no?, anche sugli alieni...
Non lo chiamavano ancora così, "pi greco", né tantomeno usavano quello che oggi consideriamo un simbolo universale, pi greco ; ma egizi e sumeri sapevano che il rapporto tra il diametro e la circonferenza di un cerchio è una costante; i greci che è un numero illimitato non periodico e lo chiamarono irrazionale. Ma fu Archimede, a Siracusa, a studiarlo, a darne un valore molto preciso e a concepire l'idea, moderna, di limite. Che storia, quella di pi greco! Ha coinvolto in un crescendo appassionante di studi tutti i più grandi matematici. Ma ha anche catturato la curiosità dei poeti e attraversato la storia dei popoli. Ancora oggi, mentre i computer calcolano milioni dei suoi decimali, pi greco fa parlare di sé, tanto da diventare il primo e finora unico numero cui il mondo intero dedica una giornata di festa: il Pi Greco day!
La crisi economica sta cambiando la struttura della nostra società, introducendo disuguaglianze insormontabili, marginalizzando le energie più giovani, soffocando la ricerca scientifica e cosi inibendo anche la possibilità di sviluppare quelle idee e tecnologie innovative che potrebbero contribuire a guidarci fuori dalla crisi stessa. La scienza può però fornire degli strumenti chiave non solo per la comprensione dei problemi alla radice della crisi attuale, ma può anche suggerire soluzioni possibili e originali.
Uno dei motivi dominanti della moderna storia della scienza consiste nel tentar di chiarire gli elementi di continuità che legano fra loro le varie epoche del pensiero scientifico. È altrettanto vero che esistono personalità eccezionali, capaci di dominare con la loro intelligenza e il loro talento intere epoche. Ma queste personalità non nascono dal nulla. Ricostruire la formazione di un genio significa spesso abbassare il piedistallo su cui lo hanno collocato le generazioni successive e render giustizia a numerose figure minori che hanno contribuito al progresso della scienza. Quello degli ingegneri del Rinascimento è un mondo affascinante e ricchissimo in cui, se da un lato si raccolgono certe eredità del mondo antico e medievale, dall'altro si vengono organizzando e consolidando certe nozioni di statica e dinamica che contribuiranno al sorgere della scienza moderna. Nei taccuini di Leonardo abbiamo un quadro vivo di un'epoca in cui, nel lavoro degli ingegneri, comincia a infiltrarsi una preoccupazione nuova: quella di una base scientifica su cui costruire. Le prodigiose "macchine di Leonardo", che hanno meravigliato e stupito generazioni, hanno spesso antecedenti precisi, individuabili nelle scoperte di Kyeser, Villard de Honnecourt, Guido da Vigevano, Taccola, Valturio, Francesco di Giorgio Martini.
Ben prima dell'invenzione del microreticolo metallico, Efesto nell'"Odissea" forgiava "catene impossibili da frangere, sottili come fili di ragnatela", catene che "nessuno avrebbe potuto notare, neppure un dio, tanto erano ingannevoli". Ben prima degli studi di Maxwell sul tempo di rilassamento dei liquidi, Lucrezio intuì che molecole di lunghezza differente scorrono con tempi differenti. Anche Gozzano, in una delle sue poesie più belle, descrive con precisione l'imprevedibilità di una crepa, oltre che la viltà di un giovane pattinatore di fronte a una donna innamorata. E questo molto prima che i matematici dimostrassero - anche attraverso il Gioco della vita l'impossibilità assoluta di predire l'evoluzione di alcuni sistemi. "Ahimè, non mai due volte configua il tempo in egual modo i grani!" scrive Montale: non è forse questa l'entropia? E Borges sa - forse meglio dei neuroscienziati - che "aver saputo e aver dimenticato il latino è un possesso, perché l'oblio è una delle forme della memoria." La poesia arriva prima? Forse. D'altra parte, però, il linguaggio degli scienziati è fatto spesso di analogie, esattamente come quello dei poeti. La poesia e la scienza, ci spiega l'autore vagabondando tra un secolo e l'altro, non sono opposte, non lo erano alle origini e non lo sono oggi, che si concepiscono entrambe come tensione alla conoscenza del mistero del reale.
Genio indiscusso, appassionato pacifista, eclettico rivoluzionario delle scienze, Albert Einstein ha sovvertito il nostro modo di concepire l'universo. Michio Kaku ripercorre in questo libro le tappe principali che hanno portato alla nascita, al completamento e alla pubblicazione della teoria della relatività, uno dei capisaldi della cultura del Novecento, capace di estendere la sua influenza ben oltre i confini della fisica. Gli aneddoti sulla vita privata di Einstein e sul rapporto con i colleghi si alternano al racconto delle sue straordinarie scoperte scientifiche; un continuo dialogo tra storia pubblica e cronaca privata.
Miliardi di dati personali immagazzinati nel cuore di granito delle Montagne Rocciose, archivi polverosi contenenti i registri dei deportati nelle prigioni della Tasmania, un laboratorio di Oxford che segue le tracce delle popolazioni dell'antica Britannia, moderne società private che custodiscono in immense banche dati il DNA di milioni di individui e nuovi detective della genetica in grado di documentare un'ascendenza diretta con Gengis Khan... Come si conserva il passato dell'umanità? Quale ruolo svolgono i cromosomi dell'uomo di Neanderthal nel nostro corredo genetico attuale? In che modo l'eredità biologica e culturale caratterizza la nostra specie? Attingendo a ricerche all'avanguardia nel campo della genetica, Christine Kenneally, pluripremiata giornalista australiana, in "Storia invisibile della razza umana" risponde a queste e ad altre domande, le stesse che da sempre gli uomini si pongono riguardo alle proprie origini, come del resto testimoniano le innumerevoli genealogie dell'Antico Testamento, le ossessioni dinastiche delle famiglie reali e, più di recente, il crescente interesse per la genealogia reso possibile dai progressi nella decodificazione del genoma. Infatti, se l'eredità della razza umana è un tesoro che ci è stato trasmesso sotto forma di antichi manufatti storici, essa è custodita anche nel nostro DNA, e quindi nei nomi che portiamo, nelle emozioni e persino nelle credenze e negli atteggiamenti che si tramandano da un'epoca all'altra...
Se l'uomo potesse essere invisibile, cosa farebbe? Probabilmente qualcosa che ha a che fare con il potere, la ricchezza o il sesso. Magari le tre cose insieme. Non dovrebbe però sentirsi molto in colpa. Questi impulsi sono sempre stati al centro dell'attrazione che il genere umano nutre per l'invisibilità: riguardano ciò che è al di là dei nostri sensi, servono a comprendere ed esorcizzare paure sogni, alludono a mondi governati da altre leggi. L'invisibilità è un grande potere e una terribile maledizione, un gioco seduttivo, una condizione spirituale. Philip Ball ha scritto la storia dei molteplici rapporti tra l'umanità e l'invisibile: dai miti delle narrazioni platoniche alle ossessioni medievali per l'occulto, dai trucchi e illusionismi dei maghi all'aura e all'etere della fisica vittoriana, dalle strategie difensive degli animali e dei militari alla scoperta di mondi invisibili alternativi al nostro. Muovendosi con la stessa curiosità tra le magiche suggestioni delle fiabe o le tecnologie delle telecomunicazioni, svelando i brividi del soprannaturale o la misteriosa esistenza dell'energia oscura della fisica contemporanea, Ball ci fa scoprire, e persino intravedere, l'immenso universo dell'invisibile.
La poesia di Dante è trapunta di stelle. Il suo sguardo verso il cielo non è però soltanto quello di un poeta, ma è anche quello di un appassionato di astronomia, una delle discipline più alte nell'assiologia scientifica medievale. Un astrofisico e un umanista dialogano intorno alle immagini stellari nella poesia dantesca, che ancora oggi coinvolgono e appassionano i lettori, sebbene il sistema scientifico di riferimento sia totalmente mutato.
Fu nelle colonie greche del Mediterraneo, tra il VI e il V secolo a.C., che vennero formulate le prime congetture sulla sostanza fondamentale di cui è fatto il mondo. "Fisici" e filosofi erano alla ricerca dei principi costituenti dell'universo, e questa indagine da Talete a Eraclito, da Parmenide a Democrito condusse alle prime, originali risposte circa la natura e l'apparenza delle cose. Nell'indagare e descrivere una realtà sottostante e unificatrice, gli antichi greci erano come gli scienziati moderni. Ma, secondo il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg, la somiglianza finisce qui. Infatti nessuno a Mileto, a Efeso, ad Abdera o ad Atene cercò mai di "spiegare" come le teorie sul principio fondamentale del kosmos rendessero conto delle apparenze, così come nessuno tentò di verificare o anche solo giustificare le proprie ipotesi. Non si trattava di pigrizia intellettuale. Semplicemente, i greci non ne avvertivano la necessità e "non lo avevano mai visto fare". Per arrivare a una comprensione scientifica del mondo si dovrà attendere, per Weinberg, la grande rivoluzione intellettuale che, tra il XVI e il XVII secolo, condurrà alla "scoperta" della scienza moderna, vale a dire quell'insieme di pratiche, di canoni e di procedure con cui oggi guardiamo ai fenomeni dell'universo.
Se gettassimo uno sguardo panoramico su tutta la storia del pensiero sull'evoluzione, noteremmo come l'universo ordinato dei teologi naturali sia stato a poco a poco mutato dalla visione evolutiva della vita. Volti, nomi, eventi ci accompagnerebbero in questo cammino: sono quelli che l'autore di quest'opera si impegna a presentarci. Da loro - da Stenone a Teilhard de Chardin, passando per Lamarck, Darwin, Wallace, Mivart - impariamo una verità essenziale: come la vita ha potuto evolversi solo quando si è organizzata la Biosfera come entità con un fine proprio, così i vari individui che compongono la specie umana possono procedere nell'evoluzione solo se realizzano una nuova entità: la Noosfera, un'umanità nuova che muove verso un fine comune, convergente con quanto fissato nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Questa evoluzione diviene per la teologia non un'antagonista, ma una risorsa, un monito, un progetto di tutti e per tutti.
Le origini dei numeri che usiamo, e dai quali dipende la nostra esistenza, sono state per secoli avvolte dal mistero. La storia comincia con il sistema cuneiforme babilonese, seguito più tardi dai caratteri dell'alfabeto greco e latino. Ma da dove provengono i numeri che usiamo oggi, quelli che vengono definiti indo-arabici? Per scoprirlo, Amir Aczel si è avventurato in territori inesplorati, attraversando l'India, la Thailandia, il Laos, il Vietnam e infine la giungla della Cambogia. Qui, finalmente, ha trovato il primissimo zero, il cardine del nostro sistema numerico, su una lastra di pietra che tanto tempo fa si trovava sulla parete ora ricoperta di viticci di un tempio del VII secolo in rovina. L'odissea di Aczel è accompagnata da una serie di stravaganti personaggi: accademici in cerca della verità, avventurosi esploratori della giungla, uomini politici sorprendentemente onesti. Alla fine, tutti contribuiranno a rivelare il luogo nel quale sono nati i nostri numeri.