La notte del 27 gennaio 1967, Luigi Tenco fu ritrovato senza vita nella sua camera nella dépendance dell'Hotel Savoy a Sanremo. Un suicidio, apparentemente. Solo poche ore prima aveva presentato, in coppia con la cantante francese Dalida, Ciao amore, ciao al Festival della canzone ed era stato eliminato. L'improvvisa scomparsa di Tenco sconvolse l'opinione pubblica, lasciando un segno profondo nella memoria collettiva italiana. Eppure l'inchiesta venne chiusa in tutta fretta. Nelle luci sfavillanti del Casinò di Sanremo, dove all'epoca si svolgeva il Festival, nella celebrazione festosa della musica leggera, e dell'immenso business che essa portava con sé, quella scena di sangue, infatti, proprio non ci sarebbe voluta. A quarant'anni di distanza un giornalista francese, voce narrante di questo emozionante libro d'inchiesta, viene invitato a scrivere un reportage sul caso di Tenco e Dalida, anche lei suicida nel 1987. Superando presto l'iniziale disinteresse per avvenimenti così lontani, viene catturato dagli innumerevoli aspetti misteriosi. E così che si butta a raccogliere tutti i documenti e a cercare i testimoni ancora viventi. Ma, a ogni passo della sua indagine, vengono alla luce ulteriori buchi e contraddizioni nella versione ufficiale dei fatti. In "Ciao amore" Philippe Brunel scandaglia la vicenda tragica di Tenco che, con il passare del tempo, sembrava archiviata con una soluzione affrettata e di comodo
È diventato un simbolo della lotta per la libertà nella Russia di Putin: non solo la sua personale ma quella di un intero paese. Ex magnate alla guida del colosso petrolifero Yukos, Michail Chodorkovskij dal 2003 si trova in carcere, imprigionato con l'accusa di frode fiscale. Due lunghi processi, altrettante contestate condanne e la detenzione in Siberia non ne hanno però fiaccato lo spirito. Dalla prigionia ha continuato a scrivere e a lanciare messaggi capaci di incidere profondamente sulla vita politica russa e di imporre il suo caso all'attenzione dell'opinione pubblica europea e mondiale. Questo libro raccoglie gli scritti dell'ex "oligarca". Gli articoli segnano la volontà di partecipare attivamente alla vita del paese, analizzandone vizi e problemi. "Proprietà e libertà", scritto mentre era in atto lo smantellamento della Yukos, ne ripercorre la vicenda e chiarisce i rapporti tra interessi e potere. La serie "Svolta a sinistra" - tre articoli, pubblicati tra il 2005 e il 2008, che hanno provocato reazioni contrastanti - presenta un ambizioso programma di riforme per la Russia, con profonde riflessioni sui concetti di proprietà privata e liberalismo. "La Russia attende un tribunale indipendente" e "Generazione M" richiamano Dmitrij Medvedev alle responsabilità che egli si è assunto come successore di Putin: garantire un potere giudiziario indipendente e stabilire un'agenda seria per la modernizzazione del paese
Gli uomini non parlano. Mai come in questo momento, gli uomini sembrano non avere le parole per "dire": la loro paura e il loro smarrimento, la loro fragilità e i loro desideri. Coloro che per millenni sono stati i dominatori del mondo da tempo non lo sono più e oscillano continuamente tra inedite libertà offerte loro dalle donne e la nostalgia degli antichi privilegi. No, gli uomini non sanno ancora parlare di sé, ed è in questo silenzio che Iaia Caputo coglie una "condizione tragica del maschile", che nella dismisura di una sessualità incapace di evolvere e nella scorciatoia della violenza ha le sue derive più preoccupanti. Così, l'autrice indaga sui padri che uccidono i figli ma anche sulla nuova paternità che ha scoperto la gioia della cura e della prossimità dei corpi; decodifica i gesti che hanno caratterizzato la politica e la sfera pubblica negli ultimi vent'anni, mettendone a fuoco l'arroganza, la volgarità e l'urgenza di costruire e denunciare un nemico; riflette sulle forme del desiderio maschile attraverso l'esemplarità del caso Marrazzo o dell'affaire Strauss-Kahn - passando, evidentemente, per il "ciarpame senza pudore" dell'era berlusconiana. Cita dalla cronaca, intervista, ascolta, analizza nella prospettiva primitiva in cui tornano, inaspettatamente attuali, i gesti di Medea, e quelli di una senescente classe politica, i Crono del postpatriarcato tanto disinteressati al destino dei propri figli quanto intrinsecamente misogini.
In novant'anni di storia, dal 1922 al 2011, abbiamo avuto il Ventennio fascista e il quasi-ventennio berlusconiano: per poco meno di metà della nostra vicenda nazionale abbiamo scelto di farci governare da uomini con una evidente, e dichiarata, vocazione autoritaria. Perché? Una risposta possibile è che siamo un popolo incline all'arbitrio, ma nemico della libertà. Vantiamo record di evasione fiscale, abusi edilizi, scempi ambientali. Ma anche di compravendita di voti, qualunquismo: in poche parole una tendenza ad abdicare alle libertà civili su cui molti si sono interrogati. Da Leopardi a Carducci che dichiarava "A questa nazione, giovine di ieri e vecchia di trenta secoli, manca del tutto l'idealità", fino a Gramsci che lamentava un individualismo pronto a confluire nelle "cricche, le camorre, le mafie, sia popolari sia legate alle classi alte". Per tacere di Dante con la sua invettiva "Ahi serva Italia, di dolore ostello!" e di Guicciardini con la denuncia del nostro amore per il "particulare". Con la libertà vera, faticosa, fatta di coscienza e impegno sembriamo trovarci a disagio, pronti a spogliarcene in favore di un qualunque Uomo della Provvidenza. Questo libro, un'indagine colta e curiosa su una pericolosa debolezza del nostro carattere, è anche un appello a ritrovare il senso alto della politica e della condivisione di un destino. La libertà, intesa come il rispetto e la cura dei diritti di tutti, non è un'utopia da sognare ma un traguardo verso cui tendere.
Il 25 gennaio 2011 piazza Tahrir straripa di dimostranti. È ormai chiaro che le difese del potere si stanno sgretolando, la gente si è svegliata, l'esercito interverrà. Wael Ghonim scrive su Twitter: "Buongiorno, Egitto! Mi sei mancato negli ultimi trent'anni". La scintilla della rivolta l'ha accesa lui, su facebook, coordinando la protesta dalla sua pagina "Siamo tutti Khaled Said", dedicata al giovane torturato e ucciso dalla polizia nel giugno 2010. La reazione dei giovani egiziani, nauseati da decenni di soprusi e sfiancati da un regime inamovibile, è quasi miracolosa. E Wael finisce in prigione, arrestato con l'accusa di fomentare il dissenso. La sua prima intervista dopo il rilascio, appena emerso dall'incubo degli interrogatori, farà il giro del mondo: in lacrime davanti alle telecamere incita i suoi connazionali a continuare a manifestare. La ribellione riprende vigore e poche ore dopo Mubarak si dimette. "Non sono io l'eroe: voi siete gli eroi!" grida il giovane blogger alla folla, ed è per tutti il nuovo leader del movimento. A un anno da Piazza Tahrir, Wael Ghonim racconta quei giorni, le piazze affollate, il carcere, riflette sulle proteste popolari che oggi stanno percorrendo il pianeta, ma soprattutto ci ricorda come Internet sia stata fondamentale per abbattere un potere autocratico e violento. Come è accaduto? Come potrebbe accadere ancora, con altri poteri, in altre parti del mondo?
Cosa è davvero importante nella vita? Cosa rende le nostre esistenze realmente degne di essere vissute fino all'ultimo istante? Arno Geiger affronta queste domande in filigrana al racconto di suo padre August. Un padre che sta progressivamente perdendo i propri ricordi, e il cui orientamento nella vita quotidiana e negli affetti vacilla sempre più. Come se una luce si stesse spegnendo nella sua mente e, negli intervalli di buio, un genio maligno si divertisse a cambiare la disposizione degli oggetti nello spazio e delle persone nel tempo. "Qui tra noi c'è qualcosa che mi ha portato ad aprirmi al mondo. E per così dire il contrario di quello che dicono di solito della malattia di Alzheimer, e cioè che tronca i rapporti. A volte si stringono rapporti, annota Arno. La scoperta che suo padre August è affetto dall'Alzheimer è, infatti, l'occasione, l'ultima, per conoscerlo di nuovo, forse per la prima volta: senza schermi e infingimenti, con un amore mai avvertito prima così forte, acceso dalla percezione di un lento abbandono; è l'occasione per riscoprire dettagli sepolti dell'infanzia e della storia della propria famiglia, persino segreti, nascosti in un diario scritto e lasciato in una soffitta; è la possibilità di confrontarsi con i silenzi di un uomo e con le improvvise e fulminanti combinazioni di una mente che ha smesso di funzionare secondo i criteri correnti e che procede per conto proprio, per associazioni iperboliche ispirate da una logica tortuosa, labirintica...
A diciotto anni Temple Grandin si costruì una macchina per gli abbracci. Aveva visto che le mucche diventavano mansuete dentro la gabbia di contenimento usata dal veterinario per visitarle, e aveva intuito che uno strumento simile avrebbe potuto calmare anche lei. Così, con due assi di compensato che si stringevano dolcemente ai lati di una panca, realizzò lo strano congegno. Che funzionò a meraviglia. E Temple, giovane autistica con molti problemi di relazione, capì di avere una speciale affinità con gli animali. E capì che per essere felice avrebbe dovuto studiarli e stare con loro il più possibile. Quel che non sapeva è che varie altre - e non meno spiazzanti - scoperte avrebbero fatto di lei uno dei più famosi esperti del comportamento animale, e che quelle scoperte avrebbero anche modificato il modo di trattare gli animali stessi.
In questa raccolta di saggi brevi, Claudio Magris insegue e analizza le due grandi direzioni della contemporaneità: il ritorno e la fuga, ovvero la conquista e la dispersione dell'identità. Attraverso l'indagine di grandi autori - Svevo, Musil, Ibsen, Flaubert, Mann, Walser, Singer, Borges... Magris rivive la disgregazione di un'idea armoniosa del mondo con i beni e i mali ch'essa comporta, le nuove strade che apre e le insidie di cui le cosparge. Il dialogo con i temi del pensiero contemporaneo si affianca al confronto con la condizione storica. L'interpretazione letteraria si alterna alla testimonianza autobiografica e all'intervento politico. L'osservatorio del moralista distaccato si salda all'impegno personale nelle grandi tensioni ideali del presente. L'ambiguità e la reticenza della letteratura s'intrecciano alla chiarezza etica.
Andrea Carandini è un protagonista dell'archeologia classica. Ma anche un tecnico che ha messo a disposizione dello Stato la sua conoscenza e il suo rigore al riparo di qualsiasi compromesso politico. Quando ha accettato di presiedere il Consiglio superiore dei Beni culturali, lo ha fatto con spirito di servizio e con animo libero da schiavitù di appartenenza tanto da dimettersi non molto tempo dopo, quando le condizioni tecnico-amministrative (il taglio dei fondi al ministero dei Beni culturali durante l'ultima stagione di Sandro Bondi) gli hanno impedito di condurre in porto il suo progetto. In queste pagine ripercorre la sua formazione e le sue origini (è nipote di Luigi Albertini, il direttore-proprietario del "Corriere della Sera" estromesso dal fascismo), l'incontro folgorante con Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo e politico italiano nel dopoguerra, il suo essere "marxiano, mai marxista e nemmeno comunista". Nel parlare di sé Carandini ragiona sulla perdita di valore del merito, sulla caduta della cultura media in Italia, sul fallimento del progetto del Pci (trasferire alle masse il patrimonio della grande cultura borghese), sulle politiche e i progetti che lo hanno coinvolto come presidente del Consiglio Superiore dei beni culturali e che hanno al centro il nodo del patrimonio culturale italiano, cosa rappresentano per l'identità nazionale i valori che hanno i nostri tesori artistici e il paesaggio che li circonda e li contestualizza.
"La tentazione di parlare di post-Occidente è forte, ma in questo saggio lo eviteremo. Non possiamo infatti congedarci dall'Occidente perché lo portiamo dentro di noi, anche nelle narrazioni del suo tramonto o declino che da oltre cent'anni alimentano una redditizia letteratura. Dobbiamo piuttosto capire che cosa è diventata per noi quella che chiamavano "l'essenza dell'Occidente" identificata nella razionalità. Che cosa rimane di questa razionalità? Forse che la crisi del sistema economico-finanziario occidentale e globale in corso, che produce mutazioni culturali e politiche ancora incalcolabili nelle loro conseguenze e falsifica la sua (presunta) razionalità economica, coinvolge il concetto stesso di razionalità occidentale? Che ne è della sua pretesa di rappresentare un modello universale per tutte le culture? Dobbiamo chiederci se razionalità, razionalismo, razionalizzazione sono concetti che ancora qualificano quello che nel linguaggio tradizionale era il fondamento dell'Occidente". A partire da questi interrogativi Gian Enrico Rusconi affronta problemi e autori che hanno ragionato e ragionano sul sistema dei valori occidentali. Tematiche che riguardano non soltanto l'idea di democrazia e di secolarismo, la dimensione storica, la modernizzazione e il confronto delle civiltà ma anche l'analisi della guerra e il rapporto uomo-natura a confronto con le nuove tecnologie.
Com'è possibile che un paese con poco più di sette milioni di abitanti, privo di risorse naturali, travagliato da continue guerre, riesca ad aumentare la sua crescita economica di cinquanta volte in sessant'anni e a diventare il centro propulsore dell'hi-tech? E la domanda a cui risponde Laboratorio Israele, il saggio che Dan Senor e Saul Singer, profondi conoscitori dell'area mediorientale, dedicano al miracolo economico della nazione ebraica. Israele può vantare la massima concentrazione a livello mondiale di innovazione e imprenditorialità, con un numero di imprese startup, avanguardie della sperimentazione, superiore a quello di Cina, Gran Bretagna, Canada, Giappone e India, e con la più alta presenza di aziende nel NASDAQ, dopo gli Stati Uniti. Queste sorprendenti performance si fondano su una serie di fattori chiave: il ruolo delle forze armate, dove i giovani, nel lungo servizio di leva, acquisiscono vere e proprie com-petenze manageriali da reinvestire nel civile; la percentuale di PIL destinata a ricerca e sviluppo, per la quale Israele detiene il primato mondiale; la politica dell'immigrazione, considerata da sempre una risorsa da valorizzare. A legare tra loro questi aspetti e a fare la differenza, però, è la capacità degli israeliani di trasformare, sin dagli albori della loro storia nazionale, le debolezze e le avversità in punti di forza. Prefazione di Shimon Peres.
Capitale simbolica del mondo, amata di un amore possessivo e totalizzante da ciascuna delle tre grandi religioni monoteistiche, bella come un paesaggio e complessa come un organismo vivente, Gerusalemme si può capire solo con una guida che abbia dedicato la vita a leggerne gli spazi e la storia. Fiamma Nirenstein, parlamentare e giornalista esperta di problemi mediorientali, ci accompagna nei quartieri della Città Vecchia, per i mercati e le piazze, fra mendicanti profeti, donne velate, turisti e commercianti; e oltre le mura, tra i nuovi edifici simbolo della ricostruzione, per i negozi, i teatri, i musei e i caffè degli intellettuali, illuminando i contrasti della moderna e cosmopolita capitale d'Israele. Alla storia di distruzione e rinascita della città si intreccia quella della famiglia dell'autrice, dalla lezione del padre, un "ebreo pioniere" giunto a Gerusalemme dalla Polonia degli anni Trenta insieme alla Giovane Guardia Socialista, alle avventure dei suoi affetti familiari in una città così suggestiva e difficile al contempo, oltre alle riflessioni sulla storia e sul suo mestiere di inviata: le conseguenze della Guerra dei Sei Giorni, l'incubo dell'Intifada, l'attacco a Israele durante la Guerra del Golfo, il futuro della città più contesa del mondo.