Visioni, interpretazioni, riflessioni e pareri per comprendere se ancora oggi l'arte, la cultura e il turismo sono da considerarsi dei settori strategici nei quali investire.
"Ho sentito dire che chi non va a votare priva del diritto di andarci anche tutti gli altri e io, scusatemi, sono vent'anni che sto a casa, quindi sono vent'anni che privo la gente dei loro diritti, e io pensavo, e, vi confesso, penso ancora, che fosse e che sia un mio diritto, stare a casa, e devo dire, scusatemi, che da quando, vent'anni fa, ho smesso di credere che qualcuno che andrà in parlamento farà il mio bene, da quando ho cominciato a pensare che il mio bene era bene non delegarlo a nessuno ma farlo da solo, e che la politica non è una cosa che si fa quando si va a votare, ma che la politica si fa tutti i giorni, e che è politica il modo in cui si parla, il modo in cui ci si muove, che è politica il grado di gentilezza con cui si parla coi propri figli, e coi propri genitori,ecco io sto molto meglio, da quando ho scoperto queste cose." Paolo Nori. Cos'è "Mo mama?" E una disposizione mentale, un modo di vedere il mondo, un metodo che lo scrittore Paolo Nori applica alla sua città, Parma, ai tempi del Movimento 5 stelle, e all'Italia di oggi. Provare a vedere le cose come se le si vedesse per la prima volta. Un libro che diverte e fa pensare a tutto quello che abbiamo perso per strada quando parliamo di politica e di chi ci governa.
L'Italia deve pensare in avanti. Non è un lusso, è una necessità. Con questo libro Beppe Severgnini ci spinge a "riprogrammare noi stessi e il nostro Paese (brutto verbo, bel proposito)". E offre agli italiani di domani questione di atteggiamento, non solo di anagrafe - otto suggerimenti: semplici, onesti, concreti. Sono le otto T del tempo che viene, otto chiavi per aprire le porte del futuro. Talento Tenacia Tempismo Tolleranza Totem Tenerezza Terra Testa. Siate brutali, Siate pazienti, Siate pronti, Siate elastici, Siate leali, Siate morbidi, Siate aperti, Siate ottimisti. Dietro le otto porte non c'è necessariamente il successo, ma di sicuro c'è una vita - e un'Italia migliore. Edizione ampliata con il nuovo capitolo "Dodici cose che ho imparato da voi".
Per chi suonano il piffero gli intellettuali del piffero? Per se stessi, per avere un posto nella società dell'avanspettacolo politico. Offrono i loro servigi al mercato mediatico perché partiti e altre vecchie istituzioni non garantiscono più il ruolo e l'ingaggio di prima. Nell'ultimo ventennio in troppi hanno commesso la truffa di travestire da militanza il proprio tornaconto personale: c'è chi ha goduto di posizioni di rendita grazie a opposti finti estremismi, facendo affari col nemico, e chi ha speculato, mettendo "in pegno" non una qualche autorevolezza ma l'impegno stesso. Risultato? È ormai cronico quel bipolarismo che da sistema elettorale è diventato disturbo psichico: la sinistra è affetta dalla sindrome dei migliori, la destra ascolta gli istinti peggiori; il centro oscilla secondo convenienza, non coscienza, e i grillini hanno paura di sporcarsi le mani. Così i cattolici fanno i libertini e il moralismo è l'arma delle femministe. E ancora: se le vecchie trombette castrano i figli blaterando di rivoluzione, i giovani senza futuro fanno i tromboni. Per questo il parricidio intellettuale è un diritto naturale, una legittima difesa da praticare azzerando i pregiudizi pregressi e mettendo al servizio di tutti i torti e le ragioni di tutti. Come? Leggendo da adulti (traendone la morale) le favole che raccontano al pubblico gli intellettuali del piffero: furbi storytellers, cattivi maestri e arlecchini del pensiero.
Vengono qui raccolti, ordinati e proposti in un insieme coerente gli scritti in prosa dedicati da Andrea Zanzotto al tema del paesaggio. Questi testi, inediti o da tempo irreperibili, permettono di seguire l'evoluzione dell'immaginario dell'autore attraverso cinquantanni di impegno letterario. La scrittura di Zanzotto racconta un"'idea di paesaggio" in cui l'uomo e la natura interagiscono e si confrontano, nonostante l'impatto del primo sulla seconda si faccia sempre più invasivo. Ai luoghi reali della vita dell'autore, il grande Veneto che si estende dalle Dolomiti alle Lagune, si affiancano i paesaggi immaginati, viaggi compiuti o sognati in un'Europa sospesa tra lontananza e prossimità. Il ritratto dei luoghi si intreccia con quello dei personaggi che l'autore incontra e insegue nelle sue peregrinazioni, compagni di viaggio fidati e sorprendenti nella loro caratterizzazione umana e linguistica. Il risultato è un rapporto con il mondo che si completa nella scrittura, "vero luogo del nostro stare", ricercato e difeso con la forza di una passione intima e civile, come solo la poesia può essere.
Quando Robert Peroni, trent'anni fa, arriva in Groenlandia per battere l'ennesimo record, si sente sperduto: una famiglia in Italia, e una professione, quella di esploratore, di cui non capisce più il senso. A ridare una direzione alla sua vita sono gli inuit, vero nome degli "eschimesi": nonostante i bianchi da anni impongano divieti che impediscono loro di vivere dignitosamente, lo accolgono come un amico, perché ogni uomo è solo se stesso e la solidarietà è un dovere. Affascinato da questa cultura, Robert si trasferisce nel centro più grosso della costa orientale, un paese di duemila abitanti, isolato nove mesi l'anno, e ne abbraccia la lingua, gli usi, le regole non scritte. Come il rifiuto di lamentarsi: la fame, il freddo, le privazioni sono accettate con il sorriso sulle labbra, perché soffrire è parte dell'esistenza. Da loro impara ad ascoltare le storie che porta il vento, la bellezza di vivere nel presente e la poesia nascosta nello sciamanesimo. "Dove il vento grida più forte" racconta l'incontro con un popolo straordinario, che ha come unica arma la dolcezza, e con una terra ostile e meravigliosa, in cui la natura è madre e matrigna, dispensatrice di vita e di morte.
Recenti sventure rinfocolano antichi mali italiani. Sudditi congeniti cercano padrone e lo servono con una gran paura d'essere liberi: pensano poco o niente; moralmente sordi, rifuggono dalla serietà tragica, né sopportano l'arte, intenti a tristi farse; l'anarcoide ipocrisia conformistica maschera un socievole cannibalismo. L'esito è miseria cronica.
La nostra immaginazione è popolata da terre e luoghi mai esistiti, dalla capanna dei sette nani alle isole visitate da Gulliver, dal tempio dei Thugs di Salgari all'appartamento di Sherlock Holmes. Ma in genere si sa che questi luoghi sono nati solo dalla fantasia di un narratore o di un poeta. Al contrario, e sin dai tempi più antichi, l'umanità ha fantasticato su luoghi ritenuti reali, come Atlantide, Mu, Lemuria, le terre della regina di Saba, il regno del Prete Gianni, le Isole Fortunate, l'Eldorado, l'Ultima Thule, Iperborea e il paese delle Esperidi, il luogo dove si conserva il santo Graal, la rocca degli assassini del Veglio della Montagna, il paese di Cuccagna, le isole dell'utopia, l'isola di Salomone e la terra australe, l'interno di una terra cava e il misterioso regno sotterraneo di Agarttha. Alcuni di questi luoghi hanno soltanto animato affascinanti leggende e ispirato alcune delle splendide rappresentazioni visive che appaiono in questo volume, altri hanno ossessionato la fantasia alterata di cacciatori di misteri, altri ancora hanno stimolato viaggi ed esplorazioni così che, inseguendo una illusione, viaggiatori di ogni paese hanno scoperto altre terre.
"Gli uomini sono animali, e come tutti gli animali anche noi quando ci spostiamo lasciamo impronte: segni di passaggio impressi nella neve, nella sabbia, nel fango, nell'erba, nella rugiada, nella terra, nel muschio. È facile tuttavia dimenticare questa nostra predisposizione naturale, dal momento che oggi i nostri viaggi si svolgono per lo più sull'asfalto e sul cemento, sostanze su cui è difficile imprimere una traccia. Molte regioni hanno ancora le loro antiche vie, che collegano luogo a luogo, che salgono ai valichi o aggirano i monti, che portano alla chiesa o alla cappella, al fiume o al mare". Robert Macfarlane è l'ultimo, celebrato poeta della natura, erede di una tradizione che da Chaucer fino a Chatwin e Sebald è capace di trasformare una strada in una storia, un sentiero su un altopiano in un viaggio nella memoria. Riallacciando l'ancestrale legame tra narratore e camminatore, Macfarlane compie il gesto più semplice, eppure oggi anche il più radicale: quello di uscire dalla sua casa di Cambridge e iniziare a camminare, a camminare e osservare, a osservare e raccontare. Battendo i sentieri dimenticati di Inghilterra e Scozia, l'antico "Camino" di Santiago, le strade della Palestina costellate di checkpoint e muri di contenimento, gli esoterici tracciati tibetani, Macfarlane riesce, come un autentico sciamano, a far parlare paesaggi resi muti dall'abitudine, a dare voce ai fantasmi che li abitano, a leggere i racconti con cui gli uomini hanno abitato il mondo.
Le utopie massimaliste hanno dominato il secolo scorso. Con la promessa di un mondo migliore hanno acceso passioni viscerali seminando violenze peggiori di quelle che volevano combattere. Ma la nostra società senza utopie, minacciata da un fatalismo di massa, rappresenta uno scenario altrettanto preoccupante. In questo libro Luigi Zoja, da sempre interessato alla psicologia degli eventi sociali, mette in scena una trama finora inesplorata dell'utopia, con una straordinaria ricchezza di riferimenti storici, politici ed economici. Le utopie minimaliste occupano uno spazio psicologico prima che politico, non impongono modelli dall'esterno ma propongono un cambiamento interiore che passa, tra l'altro, dal rispetto dell'ambiente in cui viviamo, degli altri come anche degli animali, dei ritmi naturali del corpo e della mente. Un lavoro anzitutto di coscienza (nel doppio senso di consapevolezza e moralità), che può disegnare la strada verso un mondo più desiderabile.
Servili, bugiardi, fragili, opportunisti: il mondo continua a osservarci stupito e a chiedersi donde provengano negli italiani tante riprovevoli inclinazioni, tanta superficialità etica e tanta mancanza di senso di responsabilità. Colpa delle stelle? Del clima? Della natura beffarda che ci avrebbe fatti così per puro capriccio? In questo suo nuovo libro, sciolto e affabulatorio nella forma quanto ruvido e penetrante nella sostanza, Ermanno Rea ci guida alla ricerca delle origini stesse della "malattia", del suo primo zampillare all'ombra di quel Sant'Uffizio che nel cuore del secolo XVI trasformò il cittadino consapevole appena abbozzato dall'Umanesimo in suddito perennemente consenziente nei confronti di santa romana Chiesa. Dopo oltre quattro secoli, la "fabbrica dell'obbedienza" continua a produrre la sua merce pregiata: consenso illimitato verso ogni forma di potere. L'italiano si confessa per poter continuare a peccare; si fa complice anche quando finge di non esserlo; coltiva catastrofismo e smemorante cinismo con eguale determinazione. Dall'Ottocento unitario al fascismo, dal dopoguerra democristiano alla stessa dinamica del compromesso storico, fino alla maestosa festa mediatica del berlusconismo, "Mario Rossi" ha indossato la stessa maschera del Girella ossequioso. Saggio, pamphlet, invettiva, manifesto: un libro di straordinaria lucidità e saggezza, una riflessione che diventa sbrigliata ricognizione storica, atto di accusa, istigazione al pensiero.
La tradizionale differenza di carattere tra maschio e femmina non è dovuta a fattori "innati", bensì ai "condizionamenti culturali" che l'individuo subisce nel corso del suo sviluppo. Questa la tesi appoggiata da Elena Gianini Belotti e confermata dalla sua lunga esperienza educativa con genitori e bambini in età prescolare. Ma perché solo "dalla parte delle bambine"? Perché questa situazione è tutta "a sfavore del sesso femminile". La cultura alla quale apparteniamo - come ogni altra cultura - si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere: fra questi anche il "mito" della "naturale" superiorità maschile contrapposta alla "naturale" inferiorità femminile. In realtà non esistono qualità "maschili" e qualità "femminili", ma solo "qualità umane". L'operazione da compiere dunque "non è di formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma di restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene".