"L'aspirazione alla libertà si mostra come il vero stimolo per lo sforzo della conoscenza scientifica, essa si mostra ugualmente e anche più chiaramente negli stimoli che costituiscono non solo l'agire del singolo, ma anche e soprattutto quei movimenti politici e sociali, la cui successione costituisce la concreta storia umana" (dalla Prefazione di Bernhard Casper). Il presente volume offre un'analisi del concetto di libertà nel pensiero di Franz Rosenzweig attraverso la sua opera principale, "La stella della redenzione", e gli scritti minori composti dall'autore. Primo studio dedicato a questo tema nella bibliografìa rosenzweighiana internazionale, il testo si articola in due parti: la prima presenta la libertà formale - di Dio e dell'uomo - così come viene descritta nella Parte Prima della "Stella". A questa libertà, intesa come assoluto libero arbitrio, scevro da ogni legame con l'altro da sé, si contrappone la seconda parte del volume, volta ad analizzare la Parte Seconda della "Stella". Ci si trova qui di fronte a una "fenomenologia della libertà vissuta", ossia a uno studio della libertà concreta, declinata - dal punto di vista di Dio - attraverso le categorie di creazione, rivelazione e redenzione e dal punto di vista umano attraverso una dinamica di chiamata, ascolto e risposta che pone la libertà dell'uomo sempre all'interno di un orizzonte relazionale e che apre alla responsabilità verso l'altro uomo e verso il mondo. Prefazione di Bernhard Casper.
La liberazione della donna e della generazione non può essere vera senza una seria riflessione antropologica ed etica. Ma il tortuoso cammino che tale liberazione ha percorso e sta percorrendo, enfatizzando in modo unilaterale la volontà soggettiva, ha rischiato di perdere l'etica per strada: un'etica smarrita della liberazione, nel duplice senso di un'etica che non sa più dove andare, confusa, e di un'etica che è stata persa, a volte per assenza di pensiero. Sono passati poco più di tre decenni dalla nascita di Louise Brown e le biotecnologie legate alla generazione umana sono ormai vissute e rappresentate solo nella loro dimensione tecnico-pratica. Cercando di ricostruire criticamente la storia del pensiero femminile che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo delle nuove tecnologie riproduttive, questo testo prende in esame l'apporto di Simone de Beauvoir, mettendo in luce la ricaduta del suo pensiero sull'interpretazione delle nuove biotecnologie e sulla traiettoria della comprensione del rapporto tra maternità e libertà. Il filo conduttore scelto è quello della relazione - tra i generi, col proprio corpo, tra gli esseri umani -, prospettiva e punto di partenza fecondo per la comprensione dei beni in gioco nella procreazione umana.
Si vive in un mondo fatto di regole e molte nemmeno conosciute. Comunemente si parla di regole religiose, morali, etiche, giuridiche per giungere a quelle di quotidiano uso come le regole di educazione. Ma quale ne sia la fonte e lo scopo e soprattutto se sia ipotizzabile una loro comune origine, è questione complessa e poco affrontata. In questo libro, con linguaggio asciutto si cerca di dare una risposta al quesito giungendo alla conclusione che la tradizionale suddivisione delle regole è frutto più di una superficiale qualificazione che di una sostanziale diversità della loro natura. Forse tale impostazione serve a renderle meglio comprensibili ai più, ma diviene elevato il rischio che molte di esse vengano o non comprese o respinte solo perché erroneamente considerate appartenenti ad un mondo estraneo. Invece, da una attenta analisi si nota che le regole prive di etichetta sono concatenate da una rigorosa logica riconducibile ad una visione unitaria della realtà a sua volta ben governata da princìpi. Questi ultimi, contenuti nelle regole che li sintetizzano donando loro esecutività, sono tutti finalizzati al raggiungimento di un unico ed onnicomprensivo scopo finale.
La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni. Ed è proprio su di esse che si concentra in questo libro la critica radicale di Roger Scruton. La moderna storia europea è stata funestata da tragedie incomparabili (su tutte il nazismo, il fascismo e il comunismo). Responsabili di questi orrori sono, secondo l'autore, gli idealisti e utopisti di destra e di sinistra, che, ignorando la natura umana, immaginano un futuro inevitabilmente radioso, credono nel ritorno a un felice stato di natura (che non è mai esistito), considerano l'utopia una forza positiva della storia. Questi "ottimisti senza scrupoli" hanno in comune il desiderio di imporre, spesso con la violenza, la propria visione del mondo basata su false speranze di palingenesi illusorie: è il caso dei giacobini francesi, dei rivoluzionari russi, dei nazisti, dei comunisti, dei terroristi islamici e, in una dimensione meno tragica ma altrettanto "distruttiva", dei burocrati dell'Unione Europea, degli economisti, dei sociologi, dei politologi e dei vari esperti votati al benessere e al miglioramento dell'umanità. "Del buon uso del pessimismo" costituisce, fin dal titolo, un invito ad adottare un atteggiamento serenamente pessimistico, non dettato da una visione tetra della condizione umana, ma dalla consapevolezza dei vincoli e dei limiti della natura dell'uomo, che rendono impossibile ogni pianificazione e trasformazione idealistica della società.
Il dono e l'abbandono come eventi e forme della vita. E ancora: il fare e l'avere a che fare con gli oggetti, il vedere e il non vedere, la storia e le storie, il ricordare e il dimenticare. Un'analisi di alcuni non marginali aspetti e momenti dell'esistenza.
Tra i filosofi del Novecento, Martin Heidegger è quello che più di ogni altro ha spinto il pensiero oltre i canoni acquisiti del rapporto tra soggetto e oggetto, verità ed esperienza. Ne ha esplorato il limite, al di là del quale occorreva un linguaggio nuovo: una parola rivelatrice che liberasse la filosofia dalla cappa metafisica che aveva pesato su tutta la sua storia. In tale contesto, tanto esaltante quanto arduo, si è svolta la preziosa attività di Franco Volpi non solo come studioso e acuto interprete di Heidegger, ma anche come suo magistrale traduttore. Nulla come una traduzione, infatti, consente di penetrare in profondità nei gangli di un pensiero, e chi voglia oggi smontare, e comprendere dall'interno, la complicata macchina speculativa del "mago di Messkirch" troverà dunque qui il miglior viatico. La padronanza del lessico, sfrondato da ogni compiacenza gergale, la competenza con cui Volpi chiarisce le numerose oscurità del filosofo fanno di questo libro un esempio di lettura ermeneutica, un lucido percorso nei labirinti di Heidegger. Un percorso capace di svelare la segreta relazione tra il secolo che si è chiuso e il suo più imbarazzante testimone: che incarna il destino stesso della nostra epoca, e della sua pensabilità. Con una nota di Antonio Gnoli.
Il testo intende offrire in breve e con uno stile discorsivo un'immagine della filosofia a coloro che nella loro formazione non hanno mai avuto l'occasione di studiarla direttamente. Per far questo i sei capitoli ripercorrono le principali tappe storiche della filosofia (origini, antichità, tarda antichità e medioevo, modernità, età contemporanea, prospettive future), scegliendo alcune figure più rappresentative e mostrando come tale itinerario metta sempre più in evidenza un compito cruciale: la difesa della realtà dell'uomo. Il carattere del testo lo rende un'alternativa sia alle introduzioni semplicemente storiche che facilmente disorientano, sia a quelle propriamente "teoretiche" che spesso suppongono una lettura aprioristica della storia della filosofia.
Questo saggio è finalizzato a documentare, prescindendo da ogni intenzione apologetica, la connessione, non sempre adeguatamente analizzata, tra la "filosofia" della Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) e le posizioni maturate nella modernità remota e recente, dai British Moralists, a Hume, a Kant e agli idealisti, ai neo positivisti e agli "analitici", in materia di filosofia morale. Si tratta di corrispondenze significative, talvolta sorprendenti, che meritano di essere evidenziate in chiave di riflessione critica sui problemi della filosofia moral gli ultimi tre secoli. In particolare vengono affrontati i temi della metamorale, del linguaggio dell'etica, dell'emotivismo, del prescrizionismo, del valore di verità delle norme. La vessata quesito della "grande divisione" fra i giudizi di fatto e giudizi di valore assume una collocazione centrale in un saggio che affronta anche i problemi del relativismo etico nella loro dialettica con l'esigenza di definire e realizzare valori universali.
Il volume rappresenta un percorso attraverso la vita e il pensiero di Ortega, una ricerca dei temi portanti della sua filosofia. Ortega conduce un profondo studio critico su Cartesio, padre della filosofia moderna, sul pensiero tedesco e sui temi principali del suo tempo, quali il relativismo, la nascita di un 'invertebrato', l'uomo massa, il ruolo della scienza, l'Europa. Chiarifica, inoltre, quale sia la missione della filosofia, il ruolo delle credenze e il problema della vocazione, ossia dell'autenticità di una vita. Nell'ultimo capitolo, l'autore ha voluto mostrare come il ritorno filosofico al reale di Ortega si accompagni ad una ascesa filosofica al divino da parte della sua allieva María Zambrano.
Il confronto di Hegel con la filosofìa di Spinoza costituisce un passaggio classico della storia della metafisica moderna. Questo libro, descrivendo il dialogo serrato fra i due filosofi, prova anche a immaginare le possibili risposte del filosofo olandese alle critiche hegeliane. Punto d'incontro e di scontro del dialogo, che dà unità al lavoro, è la lettura dell'età nuova, di quel tempo moderno in cui ambedue i filosofi sono immersi in momenti diversi del suo divenire: il tempo in cui nasce e si sviluppa la nuova scienza che contribuisce alla crisi radicale della vecchia metafisica. Le domande diventano inquietanti e per molti aspetti decisive per lo sviluppo del pensiero: come si salva e si fonda la finitezza umana in un mondo che andava perdendo tutte le sue garanzie consolidate e i suoi presupposti? Quali risposte i due filosofi apprestano alla crisi che accompagnò l'età nuova? Hegel e Spinoza vengono confrontati fra loro, e con i loro interlocutori principali, Cartesio e Kant anzitutto, qui visti, di riflesso al tema principale, come altre vie per rispondere all'irruzione del Moderno. L'ispirazione che unisce Hegel a Spinoza sta nella coscienza dell'inquietudine che attraversa il finito, nella continua tensione che percorre la sua negatività - potente e fragile insieme - nello sforzo di pensare quell'Uno in relazione a cui vive, per loro comune giudizio, il molteplice delle cose esistenti.
Il pensiero di Gianni Vattimo ha accompagnato, indagandolo nella maniera più radicale, il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Partendo dai presupposti filosofici di questo cambiamento, ritrovati soprattutto in Nietzsche e Heidegger, ne ha anticipato le conseguenze, che investono la società, la politica, l'economia, la religione, le arti e la comunicazione, ma soprattutto il nostro rapporto con la realtà. "La fine della modernità", saggio-manifesto pubblicato originariamente nel 1985, esplora per la prima volta in maniera unitaria il concetto di postmoderno, uno stile che ha abbandonato gli ideali dominanti della modernità: quello di progresso e di superamento critico; e nelle arti la poetica e la pratica dell'avanguardia. Attraverso l'esame di alcuni aspetti del pensiero contemporaneo (l'ermeneutica, il pragmatismo, le varie tendenze nichilistiche), Vattimo delinea così le caratteristiche fondamentali di una cultura postmoderna.
In che relazione si trova l'autore de "Il Signore degli anelli" con il pensiero filosofico occidentale? In questo volume i più affermati studiosi di Tolkien, sia a livello internazionale (Tom Shippey, Verlyn Flieger, Christopher Garbovski) che italiano (Franco Manni, Andrea Monda, Wu Ming 4), si ritrovano assieme proprio per discutere su questa tematica, che fino ad oggi è stata poco studiata anche da parte della critica più autorevole.