1943-1993: per cinquant'anni la storia della Democrazia Cristiana ha coinciso con la storia dell'Italia e della sua Repubblica. Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Amintole Fanfani, Aldo Moro, Francesco Cossiga, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti sono solo alcuni dei protagonisti di un partito oggi rimpianto da molti e allo stesso tempo pressoché sconosciuto alle nuove generazioni. Senza nostalgia gli autori ricostruiscono la memoria di un passato recente per immaginare un futuro prossimo diverso da ciò che è stato e magari differente da ciò che è. Prefazione di Giulio Andreotti.
Un leader è chi aiuta un gruppo a formulare e a raggiungere obiettivi condivisi. Talvolta il vero leader non è chi ricopre una posizione ufficiale. Ricoprire formalmente una posizione di leadership è come detenere una licenza di pesca: non garantisce che si porti a casa il pesce. La leadership è ciò che si fa, non solo ciò che si è. "Il potere è la capacità di influenzare gli altri per ottenere i risultati desiderati; ma c'è differenza tra voler esercitare potere sugli altri e volerlo esercitare con altri. I leader del mondo contemporaneo devono saper coniugare varie abilità di soft power con le abilità machiavelliche di hard power. Potrebbe essere proprio questo il messaggio della vecchia massima di Lao Tzu: Il governante più alto è quello della cui esistenza i sudditi si accorgono appena".
I politici politicanti italiani, quelli che un liberale cristallino come Luigi Einaudi attaccò scrivendo che occorreva "licenziare i Padreterni", sono sordi. Non riescono a capire. Non riescono a vedere, chiusi nel loro fortilizio autoreferenziale, l'insofferenza montante dei cittadini di un Paese in affanno che vive, come dice Giorgio Napolitano, "un angoscioso presente". Sono così abituati ai privilegi, all'abuso del potere, all'impunità, da non rendersi conto che la loro sordità mette a rischio non solo il decoro e la credibilità delle istituzioni ma alla lunga il nostro bene più prezioso: la democrazia. Quattro anni dopo La Casta, gli autori che prima e più di tutti ne hanno denunciato gli sprechi, le ingordigie e le prepotenze smascherano punto per punto i tradimenti delle promesse di sobrietà. E l'inadeguatezza di una classe politica che, nonostante l'impegno e la generosità di tanti parlamentari e amministratori perbene e generosi, non riesce a essere davvero classe dirigente. E offre segnali di un distacco rischioso tra chi governa e chi è governato. Un'invettiva civile d'amore per l'Italia e per la politica migliore. Nella speranza di un riscatto.
Perché la maggioranza degli italiani ha appoggiato e/o sopportato Silvio Berlusconi per tanti anni? Non ne vede gli appetiti, i limiti e i metodi? Risposta: li vede eccome. (Anche) per questo, spiegare il personaggio ai connazionali è una perdita di tempo. Ciascuno di noi ha un'idea, raffinata in anni di indulgenza o idiosincrasia, e non la cambierà. Ogni italiano si ritiene depositario dell'interpretazione autentica e discuterla è inutile. Utile è invece provare a spiegare Berlusconi ai posteri: un giorno si chiederanno cosa è successo in Italia. Nella pancia della nazione si muovono tanti elementi: umanità e opportunismo, cautela e astuzia, distrazione e confusione, fantasia e ottimismo. Chi sa interpretarli e utilizzarli può andare lontano. Anzi: c'è già andato. Questo libro è un viaggio. La guida è acuta e incisiva, generosa di notizie, dettagli e informazioni, pronta a far discutere destra e sinistra. Un Severgnini in gran forma, che non rinuncia alla consueta ironia su se stesso e gli altri, ma deciso a farci riflettere sulle nostre scelte e sul cammino che tracciamo per i nostri figli.
Figlio di un venditore ambulante, professore universitario, socialista di formazione, Renato Brunetta è l'uomo di governo che ha invitato i laureati disoccupati ad andare a scaricare cassette di frutta, che ha mandato a morire ammazzata quella "sinistra per male" che non gli piaceva, che ha dichiarato guerra ai precari, ai professori, agli studenti, agli impiegati, ai bidelli, insomma a molti di quegli elettori che pure lo avevano votato. Francesco Merlo racconta in un saggio introduttivo la storia di Brunetta come "la storia di un rancore" e ripercorre, attraverso una raccolta di articoli, lettere e corsivi allegramente polemici (spesso corredati dalle repliche dello stesso Brunetta), l'epopea, le altezze e le bassezze di uno degli uomini politici più discussi degli ultimi anni. E in appendice una sorpresa: l'estratto di un elogio dei brevilinei scritto da Amintore Fanfani nel 1936, quando Brunetta non era ancora nato.
"In fondo, chi può stabilire se questi tempi siano o meno tristi? Ovviamente: chi li vive. Chi li attraversa e li valuta. In questo caso, la mia tristezza dipende e deriva dalla 'mia' difficoltà ad accettare quel che mi avviene intorno. Faccio fatica e anzi non riesco a riconoscermi in questo territorio informe, in questa plaga immobiliare per me senza senso; dove le relazioni personali sono povere e rarefatte, dove le persone si chiudono e si isolano, comunicano attraverso i cellulari, internet, i social network, dove le paure sono le lenti degli occhiali con cui guardiamo gli altri e il mondo, dove il mondo e gli altri arrivano nelle case e agli occhi delle persone attraverso i media, dove la politica è antipolitica, dove i partiti non sono più idee e associazioni ma leader e oligarchie, senza idee e senza associazioni; e vivono a pieno tempo nei telesalotti. Fatico a orientarmi dove gli stranieri appaiono nemici, dove anche gli altri appaiono nemici. Perché tutti diventano stranieri - e potenzialmente nemici, altri da noi - in un mondo e in un territorio che non conosciamo e in cui non ci riconosciamo. Per questo ho - e, forse, abbiamo - bisogno di bussole. Per procedere e orientarsi nella nebbia, cognitiva ed emotiva, prodotta dal nostro tempo. Almeno ai nostri - miei - occhi."
In questo libro la Ciociaria, provincia 'bianca' per antonomasia e da sempre legata a doppio filo con la DC più filo-vaticana, è presa in esame dalla Resistenza fino alla fine degli anni Settanta. In particolar modo si indaga il radicamento dei partiti nella società locale dal momento in cui il Frusinate rientra nel piano di trasformazioni socio-economiche innescate dalla Cassa del Mezzogiorno. Tommaso Baris studia i cambiamenti del quadro politico locale collegandoli alle scelte nazionali che vengono fatte in tema di sviluppo dell'Italia meridionale per capire in che modo quelle decisioni sono state poi usate localmente come strumenti di creazione del consenso elettorale. Al centro della ricerca è la Democrazia cristiana, primo partito grazie soprattutto al ruolo di Giulio Andreotti e della sua corrente. Il campione della destra DC a livello nazionale è stato infatti promotore in Ciociaria, suo feudo elettorale sin dal 1948, di una politica di forte intervento pubblico. Gli andreottiani vincendo la guerra interna con le altre correnti dello scudo-crociato e quella esterna con le sinistre e il Pci, propongono in Ciociaria una sorta di 'modernizzazione tradizionalista', in cui l'avvento dell'industria fordista e della società dei consumi, simboleggiati dalla costruzione nel 1972 di un importante stabilimento della Fiat nel Cassinate, si accompagnano al mantenimento dei valori tipici di una società agricola e legata all'universo religioso.
"A questo punto non avevo scelta. O rassegnarmi a diventare il megafono di Berlusconi. 0 andarmene. Me ne vado." Questo scriveva Indro Montanelli nel suo ultimo articolo per "il Giornale". Così, nel gennaio 1994, l'uomo che vent'anni prima aveva fondato quella testata lasciò la poltrona da direttore per imbarcarsi nella sua ultima grande battaglia: quella contro una destra nella quale non si riconosceva e che, a suo parere, era il nemico numero uno di chiunque avesse a cuore la libertà d'espressione. Questo libro raccoglie in modo organico gli interventi più accesi degli ultimi anni d'attività di Montanelli: editoriali, risposte ai lettori e articoli sferzanti che oggi suonano come una profezia della cronaca dei nostri giorni. Basta leggere cosa scriveva nel 1998, quando, preoccupato che il caso Berlusconi paralizzasse il Paese, proponeva un referendum con questa formula: "Volete voi l'abrogazione dei reati in base ai quali è stato condannato l'on. Silvio Berlusconi?" 0 ancora quando metteva alla berlina i difetti del Cavaliere: bugiardo congenito, con un'innata tendenza al vittimismo, circondato da un drappello di parassiti servili, eccessivo, ignorante, volgare. La metastasi del berlusconismo oggi è più evidente di allora e, anche se Indro non c'è più da dieci anni, questo suo atto d'accusa delinea il ritratto dell'Italia dei nostri giorni, un Paese che Montanelli non ha fatto in tempo a vedere, ma che si era perfettamente immaginato. Prefazione di Massimo Fini.
L'ultima sconfitta della destra alle amministrative 2011 apre scenari di speranza ma non definiti. Se è certo che, prima o poi, l'era di Berlusconi finirà, potrà continuare, in altre forme, il berlusconismo. Le forze della sinistra, e democratiche in generale, hanno un'enorme responsabilità. Goffredo Bettini, protagonista della nascita dell'avventura del Pd, riflette sulla definitiva crisi dei partiti, sulle possibili soluzioni e scenari futuri, non risparmiando critiche e analizzando gli errori commessi, ma mettendo in evidenza la carica positiva e propositiva emersa dall'ultimo confronto elettorale. Per farla divenire azione concreta bisogna dare delle risposte a quelle domande che Bettini individua come decisive: "Perché tante difficoltà a unire veramente in un solo pensiero tutti i democratici: laici, socialisti, cattolici, ex comunisti? Cosa non convince nel nucleo vitale del nostro messaggio?". Un campo unitario, largo, mobile al suo interno, privo di steccati partitici o ideologici, collaborativo e solidale, esiste già e si è ritrovato nei valori democratici di fondo riemersi in opposizione all'aggressività della destra. Si tratta di raccoglierne la sfida e renderlo efficace in direzione di un rinnovamento culturale e politico del Paese. Se nessuno può vantare rimedi certi e miracolosi, il libro vuole essere un contributo per recuperare un linguaggio e una politica reali e risollevare le sorti dell'Italia.
Alla fine degli anni ottanta, quando gli elettori lombardi sanzionano l'arroganza e la corruzione della classe politica votando per la Lega Nord, si fanno sedurre dall'intemperanza anche lessicale di Umberto Bossi. La sua "idiozia" politica, le maschere che di volta in volta indossa diventano la chiave del suo successo. Il suo stile verbale rievoca il buffone della tradizione medievale, non rispettando niente e nessuno, e deridendo a più riprese le istituzioni. Con lui la pratica politica smarrisce ogni riferimento di senso, diventando una giravolta di annunci, minacce, promesse e intenzioni, in una parola "spettacolo". Il suo linguaggio e le sue maniere rimandano ai personaggi della Commedia dell'arte: il politico Bossi si trasfigura nella maschera Bossi. Come emerge da questo approccio etnografico, la Lega Nord non si limita a rappresentare le maschere più profonde dell'immaginario collettivo attraverso l'invenzione di un linguaggio tutto "suo", ma ha campo libero per fare politica nel senso più classico del termine, cioè creando miti. La Lega si dimostra più gramsciana della sinistra, conquistando l'egemonia culturale e investendo in modo ramificato tutti i settori della società. La semplicità lessicale, popolare e dialettale agìta contro l'arroganza delle classi colte e urbane si trasforma nel suo contrario: l'arroganza della semplicità. Prefazione di Gad Lerner.