Allarga i tuoi confini. Vai più a fondo. Spingiti più lontano. Vai oltre. Questo libro riprende le riflessioni della Preghiera di Iabez e va ancora più a fondo. Testimonianze preziose e un chiaro e coraggioso insegnamento biblico sgombrano il campo dai fraintendimenti sorti intorno alla preghiera di Iabez. È giusto chiedere per sé la benedizione di Dio? Le risposte contenute in queste pagine cancelleranno ogni dubbio e faranno risuonare la tromba che annuncerà un nuovo glorioso capitolo del tuo cammino con il Signore! Sei pronto? Dio è ancora all’opera e ti chiede di fare lo stesso!
La crisi, la malattia e ciò che ci arriva inatteso e negativo, è un'occasione fondamentale per una comprensione più grande su di noi, sulla trasformazione che ci attende e che ci indica anche un sentiero migliore da percorrere. L'autrice rivendica che la fiducia nella dimensione benigna della vita non è fondata sulla fede in se stessi o in qualcuno di superiore, ma sull'esperienza di vita, senza sconti o nascondimenti di fronte a malattie e difficoltà. Anche il momento faticoso di oggi la porta semplicemente a concludere che sono proprio i tempi bui quelli in cui si può risplendere di più. Una rivoluzione ci attende ogni giorno. Dalla Prefazione di Antonia Tronti: "La spiritualità è dentro la vita quotidiana": davvero questa evidenza emerge intensa non solo da una riga del testo di Sara Ongaro, ma da ogni pagina. Un testo che scaturisce dalla "pratica" del vivere. La quale sembra aver insegnato all'Autrice innanzitutto una postura, che emerge fin dal primo scritto e permane fino alla fine: "stare immobili, rilassati, in equilibrio, con calma totale, radici salde". E proprio il partire da tale postura le permette di suggerirci degli atti concreti che proprio da lì scaturiscono e che sono contemporaneamente "mistici" e "politici", operando su un piano profondo e sottile della realtà. L'Autrice infatti ci parla di quanto accade al nostro interno, ma continua anche a ricordarci che siamo un tutt'uno con un universo che ci avvolge e che tutto registra e rimanda. Un organismo sensibile, per il quale certi atti, provenienti appunto da quello "stare immobili, rilassati, in equilibrio, con calma totale, radici salde", risultano essere potentissimi.
"Siamo stati battezzati per vivere la vita stessa di Cristo: se seguiamo il maestro mite e umile, anche sopra di noi si aprirà il cielo e Dio gioirà riconoscendosi nella nostra vita. È il miracolo dei Santi, verso i quali la gente corre attratta da una novità e da un fascino che non è più umano. Questo miracolo possiamo farlo tutti: e questo è il miracolo che Dio ci chiede e che gli uomini aspettano da noi cristiani. Oggi più che mai! Un tempo si guardava ai Santi per prendere ispirazione nella vita e dai loro si imparava l'onestà, la fedeltà, la generosità, la passione per l'educazione dei figli, lo spirito di sacrificio che è necessario per affrontare le prove inevitabili della vita, la limpidezza dei sentimenti, la lealtà e l'impegno per costruire e ricostruire continuamente la pace (nella famiglia, tra le famiglie e nell'intera città): e questi valori Sono indispensabili per formare una società veramente degna dell'uomo. Dobbiamo tornare a guardare ai Santi se vogliamo alzare il livello di dignità della nostra società". (dalla presentazione)
Sperare significa essere ottimisti? Che cosa sperare? Come si spera? Alla vigilia dell’Anno Santo 2025, accompagnato dal motto Pellegrini di speranza, questi interrogativi tornano attuali, anche alla luce dei grandi e drammatici sconvolgimenti mondiali che interessano il nostro pianeta: dalla pandemia da Covid-19, alle guerre, alla questione ecologica. L’ascolto di alcuni testi di san Paolo, che della speranza fa uno dei nuclei del suo instancabile annuncio missionario, tenta di raccogliere alcuni spunti per rispondere alle domande iniziali. Un intrigante itinerario tra gli scritti paolini, per misurarsi con le radici, gli effetti attuali e la pienezza futura della speranza cristiana.
Papa Francesco ci invita a coltivare sempre la tradizione del presepe.
Un cammino di speranza per ispirare pazienza e fiducia nelle vite di tutti noi.
Diventare pellegrini di speranza per illuminare tutti coloro che sono alla ricerca del significato della vita.
In queste pagine Franco Nembrini affronta un tema che collega le altezze della poesia dantesca con la ricchezza, mai abbastanza approfondita, della devozione mariana, e lo fa soffermandosi su tre visioni, diverse e però convergenti. Da un lato ci conduce alla scoperta di un affresco attribuito a Dono Doni, un vero e proprio unicum fra le rappresentazioni della Sacra Famiglia: "L'accettazione della maternità di Maria da parte di Giuseppe". Dall'altro, commenta per il lettore il XXXIII Canto del Paradiso, introducendoci alla poetica dantesca riguardante la Madre di Cristo nella gloria dei beati. Infine, ci avvicina a un bassorilievo che spicca nell'opera di Gaudí per la sua originale prospettiva mariana. Questi tre sguardi a Maria e Giuseppe, attraverso l'arte poetica e figurativa, ci offrono una prospettiva nuova e originale per tornare a leggere la nostra quotidianità di padri, madri e fi gli nella prospettiva dell'infinito e dell'eterno.
Ogni porta aperta è un segno luminoso per l'umanità, che oggi si presenta come un popolo di pellegrini di speranza alla ricerca della pace, della giustizia, di un mondo più rispettoso dell'altro e del creato. Il volume, curato da don Nicola Gaglio - che ha messo a disposizione le immagini della stupenda Porta del Paradiso di Monreale - intende valorizzare la ricchezza della tradizione liturgica e artistica ed è arricchito da un approfondimento del teologo don Giuliano Zanchi sul tema della soglia nello spazio liturgico. Varcare la porta santa è sempre un affacciarsi sull'anticipo di quel Regno che è già in mezzo a noi grazie alla presenza viva del Risorto. In tal senso, ogni porta che introduce nello spazio liturgico può essere una porta del Paradiso.
Quello che frate Cesare ha da dire non è, di per se, nuovo. Nemmeno lo potrebbe e lo vorrebbe, visto che espone il cuore della dottrina e della tradizione cristiana: chi legge non si aspetti voli pindarici o sgommate oltre i limiti dell'eresia. Eppure è nuovo, scintillante, lo sguardo con cui contempla quel che esiste da sempre e lo ripresenta in una prospettiva accessibile, attraente, soprattutto veritiera, sicché chi lo ascolta avverte una profonda risonanza interiore. A riprova di quanto "Vita e Fede/Fede e vita" sia un intreccio che non si può e non si deve scindere, frate Cesare propone il suo stesso itinerario esistenziale, visto come la storia di una vocazione a vivere che a poco a poco si prospetta e poi si orienta come una ricerca appassionata di Dio. Tutti siamo "chiamati". Dapprima all'esistenza, poi ad amare. L'Autore nel libro analizza Vita e Fede spiegando sia il loro preciso significato che il loro particolare rapporto e valore, che è sincrono proprio e perché nella pratica del quotidiano vivere sono entrambi sintesi e in strettissimo rapporto tra di loro. Completa poi il ragionamento con una spiegazione dettagliata dei Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso. L'espressione quattro novissimi, o, più semplicemente, i Novissimi, indica le cose ultime, ciò a cui l'uomo, secondo l'economia della Provvidenza divina, va incontro nella vita fino all'ultimo istante del viverla.
Le parabole del Vangelo affascinano e aprono alla comprensione del Regno dei Cieli. La loro immediatezza, tuttavia, più che fornirci risposte, ci dispone all'ascolto di molte domande che il testo stesso suscita. Sono i conti dell'oste, con il quale bisogna sempre ragionare. Da qui, l'invito a ripercorrere, passo dopo passo, il cammino di sequela tracciato nelle parabole per comprendere la novità bella del Vangelo che, se non è per me, per noi, per tutti, è lettera morta.
Le domande e gli aneliti di un giovane che si affaccia sul misterioso e affascinante viaggio dell'esistenza. Una peregrinazione possibile se si volge lo sguardo verso il cielo, prima che verso sé stessi. La preziosità della vita viene riconosciuta nella sua inevitabile scadenza e nella sua imperdibile opportunità di conoscersi e di riconoscersi come parte di qualcosa di più grande. L'uomo senza una vita interiore non può entrare nella spiritualità di una relazione con l'infinito. Tuttavia, proprio il fatto di non riuscire a cogliere l'ineffabile crea un titubanza che ci fa tendere e che ci avvicina a Lui.