Felicità: cosa significa davvero? In cosa risiede? Da sempre il genere umano concentra i suoi sforzi per afferrarla, per coglierla tanto nel fascino delle grandi idee quando nella meraviglia delle piccole cose. Eppure, raramente si può dire di esserci riusciti. In questo libro - parte di un progetto più ampio, che comprende anche uno spettacolo teatrale dal titolo omonimo e un film documentario di Andrea Cocchi - si sceglie di provare a spiegare cosa la felicità rappresenti, al riparo da facili entusiasmi e conclusioni affrettate. La ricerca della felicità si sposa, infatti, con l'inesauribile curiosità di Simone Cristicchi, qui viaggiatore insieme al lettore, il quale, attraverso la filosofia, la meditazione e la fede, ci parla della bellezza, della vitalità, del tempo, del senso di appartenenza e di comunità, di musica e di storie. Ispirandosi a "Comizi d'amore" di Pasolini, Simone Cristicchi crea per il lettore un percorso in sette parole chiave - attenzione, lentezza, umiltà, cambiamento, memoria, talento, noi - in cui trovano spazio aneddoti, racconti e interviste, che ci accompagna nella sorprendente scoperta del senso profondo di questa ricerca per ciascuno di noi.
Il protagonista cammina nel deserto della Galilea e dopo circa 7 chilometri, non lontano dal villaggio di Emmaus, viene avvicinato da uno strano personaggio vestito di una semplice tunica, che sembra appena uscito da un dipinto classico. Nasce un rapporto sconvolgente, giocato sul dubbio tra realtà e visione, sul riconoscimento di questa presenza reale eppure misteriosa, che trapassa l'intera vita e tutti i rapporti interpersonali di Alessandro. Un romanzo di forte impatto emotivo dal quale è tratto l'omonimo film.
L'adolescenza di Miriam/Maria smette da un'ora all'altra. Un annuncio le mette il figlio in grembo. Qui c'è la storia di una ragazza, operaia della divinità, narrata da lei stessa. L'amore smisurato di Giuseppe per la sposa promessa e consegnata a tutt'altro. Miriam/Maria, ebrea di Galilea, travolge ogni costume e legge. Esaurirà il suo compito partorendo da sola in una stalla. Ha taciuto. Qui narra la gravidanza avventurosa, la fede del suo uomo, il viaggio e la perfetta schiusa del suo grembo. La storia resta misteriosa e sacra, ma con le corde vocali di una madre incudine, fabbrica di scintille. L'enorme mistero della maternità. Una lettura della storia di Maria che restituisce alla madre di Gesù la meravigliosa semplicità di una femminilità coraggiosa, la grazia umana di un destino che la comprende e la supera. De Luca al vertice della sua sapienza narrativa.
Tre romanzi in cui nessuna verità sembra reggere e ogni certezza è capovolta. Tre indagini che hanno dato vita alla detective più tosta del noir italiano. Il Lupo mannaro è un killer del tutto privo di sensi di colpa, e dunque imprendibile: di giorno è un padre di famiglia e un imprenditore di successo, di notte uccide a morsi giovani prostitute. L'Iguana corre per la città coprendone i rumori con il rock metallico, e ruba di volta in volta la vita delle proprie vittime. Il regno del Pit bull, invece, è una doppia rete, reale e virtuale: da un lato le autostrade, da cui entra ed esce cambiando sempre identità, dall'altro Internet, dove vende i suoi servizi professionali. Sulle tracce di questi tre serial killer "animali", incarnazioni maledette di un'Italia criminale nel profondo, c'è una donna, fragile nell'aspetto ma con una determinazione da vendere, e un intuito che non sbaglia un colpo: il suo nome è Grazia Negro, e non esiste assassino che possa sfuggirle.
Due storie parallele a circa mezzo secolo di distanza sono destinate ad incrociarsi. Da una parte un giovane seminarista, Rolando, figlio di contadini emiliani, vive i drammi della seconda guerra mondiale lungo la Linea Gotica. I nazisti occupano il suo seminario, determinandone la chiusura, mentre i partigiani comunisti vogliono eliminarlo per mettere a tacere la sua ardente testimonianza di fede. Non c'è posto per lui nel progetto ideologico di chi vuole fare della fine della guerra l'inizio della rivoluzione proletaria. Per questo Rolando viene rapito, fatto prigioniero, spogliato dell'abito talare, condannato innocente a morte. Dall'altra parte in una giovane famiglia milanese irrompe inaspettata la malattia dell'unica figlia, Marta, ancora bambina. Un urto improvviso e violento che, nella sofferenza, rimette in gioco i genitori e lentamente ricompone il loro amore e la loro unità, che si stava sgretolando. Dopo un lungo percorso di ansie, speranze e delusioni il terribile morbo, però, sembra avere il sopravvento. Nella scena finale i due racconti convergono, improvvisamente, nella stanza di un ospedale, dove la bambina è in coma. Ma la morte non ha l'ultima parola. Nello scrivere questo romanzo l'autore si è ispirato, dopo un lungo lavoro di ricerca, alla storia vera del seminarista martire Rolando Rivi, per il quale si sta concludendo la causa di beatificazione presso la romana Congregazione delle Cause dei Santi.
"Il giro di boa" venne scritto sotto l'impulso di due avvenimenti distanti tra loro, ma che mi colpirono e m'indignarono in modo particolare. Il primo fu il G8 di Genova e il comportamento non certo esemplare delle Forze dell'ordine in quelle terribili giornate. Il secondo avvenimento fu la scoperta che alcuni trafficanti di carne umana avevano sbarcato sulle nostre coste dei bambini per venderli. "La pazienza del ragno" invece mi è stato letteralmente suggerito dall'aver visto un ragno tessere la sua tela tra un ramo e l'altro di un castagno ultracentenario. E fu proprio mentre l'osservavo che nacque in me il progetto di un romanzo la cui idea portante fosse appunto la tessitura di una sorta di tela di ragno appositamente congegnata per farvi intrappolare la vittima designata. Mi proposi cioè di scrivere un romanzo poliziesco senza omicidi o fatti di sangue, ma con la distruzione sociale di un individuo raggiunta attraverso una macchinazione di raffinata intelligenza. "L'idea di "La luna di carta" mi venne in mente dopo un incontro fortuito con un amico che non vedevo da trent'anni il quale mi raccontò d'avere scoperto un giorno che tanto Anna, sua moglie, quanto Giulia, la giovane amante, non solo avevano fatto conoscenza ed erano diventate amiche, non solo lo tradivano sistematicamente con altri, ma l'ingannavano quotidianamente mentendo su tutto, anche sulle cose più ovvie, così, per il puro piacere di ridere poi alle sue spalle."
È il giugno del 1850, e Napoli è bella come non mai sulla spiaggia di Chiaia, con i pescatori stesi al sole insieme alle loro reti e le ragazze che ridono nell'acqua bassa. Elvira ha ventidue anni e potrebbe essere una di loro, e invece deve andare in sposa a Giuseppe Morelli, che conosce appena e sicuramente non ama. Ma la sua famiglia è caduta in disgrazia, e il matrimonio, per la società in cui vive, c'entra ben poco con l'amore e molto col sacrificio. Il primo giorno della nuova vita è però segnato da una scoperta nerissima, che sconvolge la bella villa fin nelle stanze della servitù - lo specchio e la lente di ingrandimento delle vite dei signori. Elvira si convince che una maledizione sia scesa sulla casa, e anno dopo anno ne vede ovunque la conferma: nelle scelte indigeste a cui il suo ruolo la consegna, nella solitudine grigia che pian piano la avviluppa, nel vicolo cieco dell'unica possibilità di un futuro diverso, suo e soltanto suo. E come una staffetta, la maledizione pare trasmettersi alla figlia Angela, bellissima ma altrettanto fragile, e a Giuseppina, adottata proprio nel tentativo di ripianare i debiti con il destino. Tre donne costrette a vivere per gli altri, a immolare i propri sogni, la propria libertà, la propria felicità "per il bene della famiglia", alla cui ombra si nascondono le più scure prepotenze. E mentre i Morelli cercano di farsi un nome nel mercato dei tessuti e della moda, il mondo intorno si trasforma, con Garibaldi e quella strana unità del Paese che pochi capiscono, il fiorire di nuovi quartieri e una nuova moneta, le grandi epidemie che non fanno differenza tra ricchi e poveri, e le ancora più terribili malattie che si accaniscono sulla villa dei Morelli. Fino a quando, proprio dove meno ce lo si aspetta, brillerà la scintilla dell'emancipazione, la forza di strappare il diritto a vivere non la vita che ci è stata data in sorte, ma quella che la nostra anima si merita.
Siamo in Sicilia, all'epoca del tramonto borbonico: è di scena una famiglia della più alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi (dall'anno dell'impresa dei Mille di Garibaldi la storia si prolunga fino ai primordi del Novecento). Accentrato quasi interamente intorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, il romanzo, lirico e critico insieme, ben poco concede all'intreccio e al romanzesco tanto cari alla narrativa dell'Ottocento. L'immagine della Sicilia che invece ci offre è un'immagine viva, animata da uno spirito alacre e modernissimo, ampiamente consapevole della problematica storica e politica contemporanea.
S'innamorano di una sagoma di cartone o di un pretoriano in miniatura, odiano i bambini pur portandoseli in grembo, lasciano una donna ma ne restano imprigionati, vomitano amore e rabbia, si tagliano, tradiscono, si ammalano. Sono alcuni dei personaggi del nuovo libro di Michela Murgia, un romanzo fatto di storie che si incastrano e in cui i protagonisti stanno attraversando un cambiamento radicale che costringe ciascuno di loro a forme inedite di sopravvivenza emotiva. "Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita." A volte a stravolgerla è un lutto, una ferita, un licenziamento, una malattia, la perdita di una certezza o di un amore, ma è sempre un mutamento d'orizzonte delle tue speranze che non lascia scampo. Attraversare quella linea di crisi mostra che spesso la migliore risposta a un disastro che non controlli è un disastro che controlli, perché sei stato tu a generarlo. In stato di grazia, Murgia scrive per tutti noi un libro estremamente originale che rimanda a una costellazione di altri grandi libri: Il crollo di Fitzgerald, Lo zen e il tiro con l'arco di Herrigel e L'anno del pensiero magico di Didion.
«Cominciamo dal nome, Velarus. Lo scelse quella scema di mia madre. L'idiota che era mio padre non si oppose, e così fu». Sullo sfondo della ricca e fin troppo operosa provincia del Nord Italia, la sfrenata tragicommedia di un ragazzino con una famiglia di disgraziati. Il padre e la madre di Velarus non sono quel che si dice due tipi amorevoli. Del resto come potrebbero esserlo dei faccendieri sempre in viaggio, sempre attaccati al telefono, sempre impegnati a comprare e a vendere. Anche la nascita di un figlio è per loro una semplice transazione. Solo che poi non hanno né il tempo né la voglia di occuparsene, preferiscono scaricare l'impiccio su uno strampalato tassista e sulla sua altrettanto bizzarra moglie infermiera. Così il bambino viene lasciato in custodia un po' a chi capita: comincia per lui una lunga teoria di «affidamenti». Tutto questo, però, produce nel piccolo uno strano fenomeno fisico, qualcosa di davvero eccezionale. Ed ecco che nella testa dei genitori guizza l'idea di combinare l'ennesimo affare della vita, il più redditizio. A quel punto, la vendetta di Velarus prende il via.
Lei è una giovane gitana in fuga dalla famiglia per sottrarsi al matrimonio combinato con un uomo anziano, lui è un orologiaio che sta campeggiando sul confine e la accoglie nella propria tenda. L'incontro inaugura un'intesa fatta di dialoghi notturni sugli uomini e sulla vita, uno scambio di saperi e di visioni - lei che crede nel destino, nei segni, nel dio delle cose, lei che addestrava un orso e lo amava come il migliore degli amici; lui che si sente un ingranaggio dentro la macchina del mondo e che quel mondo interpreta secondo le regole dello Shangai, come se giocare fosse un modo per mettere ordine nel caos. Un'intesa che durerà a lungo, anche da lontano, e finirà per modificare l'esistenza di entrambi: uno scarto nel gioco, un bastoncino che si muove. Erri De Luca si mette su piste poco battute, su vite che si annodano e si sciolgono. Lo fa con una storia densa e lieve, dove ogni parola schiude significati più profondi, ogni frase è una porta di accesso prima di tutto a sé stessi, e nel farlo ci invita a un gioco calmo, paziente e lucido, nel quale anche una mossa impercettibile può cambiare il corso della partita.
Teresa Pandolfi ha esagerato. Questo pensa chi l'ha rapita. La sfacciata, attraente bionda a capo dell'Unità segreta dei Servizi deve essere messa a tacere. Prima di farla fuori, però, serve la certezza che non abbia lasciato prove compromettenti per il loro sistema di potere. Intanto Sara è in crisi. Diverse come il giorno e la notte, lei e Bionda sono amiche, colleghe, rivali. Più ancora: sorelle. Dal giorno in cui non le risponde a un messaggio, Mora ha capito: Teresa è in pericolo di vita. Lei è disposta a qualsiasi cosa per salvarla, con Viola, Pardo e persino Boris, il colossale Bovaro del Bernese. Al suo fianco la risorsa più preziosa, l'ex agente Andrea Catapano, che con Bionda e Mora ha condiviso gli anni migliori. Così comincia una forsennata corsa contro il tempo. Per capire se esistono delle prove, unica merce di scambio per la liberazione di Teresa, Sara dovrà scavare dentro tutto ciò che sa di lei. Tornare alle indagini di ieri, collegarle a quelle di oggi. Ma dovrà soprattutto schiudere lo scrigno dei ricordi, anche i più minuti, all'apparenza insignificanti, che ognuno di noi cela a propria insaputa in fondo al cuore. Lì in mezzo, Mora potrebbe indovinare la pista giusta, a cui arriverebbe - in uno slancio dell'anima - soltanto una sorella.