
I decenni più neri dell'Europa: tra gli anni Trenta e l'inizio della guerra fredda. Un tempo in cui tutto cambia e anche la Chiesa deve confrontarsi con i nuovi poteri via via emergenti: prima i totalitarismi europei, poi le due superpotenze del mondo bipolare. In questo quadro, risulta centrale la questione del rapporto tra mondo cattolico ed ebraismo, non solo negli anni della persecuzione e dello sterminio ma anche dopo, con un «ritorno a casa» dei sopravvissuti segnato da ostilità e da pogrom, e con la partita aperta della questione mediorientale. Quale fu, rispetto a questi temi, la posizione della Chiesa e in particolare di papa Pio XII, che era stato nunzio apostolico a Berlino durante l'ascesa di Hitler? Come mutò in quegli anni la visione di politica internazionale della Santa Sede? Chi era il nemico irriducibile: il nazismo pagano, il fascismo con i suoi richiami alla religione di Stato, o il comunismo tenacemente ateo? Quando, e in quali modi, la Chiesa si avvicinò alle posizioni dell'alleato americano, non sempre in sintonia con le priorità strategiche del Vaticano? Interrogando i documenti, molti inediti, alcuni recentemente desecretati, questo saggio indaga il periodo tra il 1932 e il 1948. Tre lustri durante i quali il mondo cambiò aspetto, ma pregiudizi e timori profondamente radicati rimasero vivi nelle menti e nelle prassi di popoli e istituzioni. Indagarne la persistenza, capire come influenzarono azioni, inazioni, silenzi e decisioni della Chiesa come degli altri protagonisti di quegli eventi, è oggi più necessario che mai.
«Lo storico non è un fiancheggiatore che solo il suono dei tamburi mette in marcia, ma è in marcia perché pensa: un pensare, il suo, che libera dai dubbi, dalle oscurità dell'azione immediata, intendendone egli nel passato i motivi profondi. [...] La storia non è un artigianato tradizionale, ma un impegno totale di comprensione: una comprensione che parte dalla pienezza di vita e che più ampia e profonda diventa non per l'apporto di nuove tecniche di ricerca, ma per la ricchezza, la complessità, l'urgenza dei problemi che lo Storico avverte e suscita in se stesso. Dunque vivere la vita è la condizione essenziale per vivere la storia. E barbaro o imbarbarito, perché fattasi vuota la sua coscienza, è nel nostro concetto di civiltà chi non è in grado di vivere la storia. L'incontro con la storia è l'occasione per gli uomini di capire se stessi e anche di misurare quanto sono disposti a pagare per capire, serenamente, gli altri uomini». Con uno scritto di Chiara Frugoni.
Dopo "Mussolini ha fatto anche cose buone", Francesco Filippi è ormai riconosciuto come una voce importante nel dibattito sul fascismo in Italia. Avendo effettuato il suo meticoloso e definitivo lavoro di «debunking» sulle numerose e ostinate leggende relative al ventennio fascista e alla figura del duce, ancora così diffuse nel nostro paese, Filippi dirige ora la sua affilata analisi verso i motivi che hanno portato tanti nostri concittadini a cadere vittime, ancora oggi, di una propaganda iniziata oltre due generazioni fa. Com'è possibile - ci si chiede in molti - che dopo tutto quello che è successo - dopo una guerra disastrosa, milioni di morti, l'infamia delle leggi razziali, la vergogna dell'occupazione coloniale, una politica interna economicamente fallimentare, una politica estera aggressiva e criminale, un'attitudine culturale liberticida, una sanguinosa e lunga guerra civile... -,oggi ci guardiamo intorno, ben addentro al terzo millennio, e ci scopriamo ancora fascisti? Ma cos'altro avrebbe dovuto succedere per convincere gli italiani che il fascismo è stato una rovina? Eppure ancora si moltiplicano le svastiche sui muri delle città, cresce l'antisemitismo, un diffuso sentimento razzista permea tutti i settori della società e il passare del tempo sembra aver edulcorato il ricordo del periodo più oscuro e violento d'Italia: a quanto pare la storia non ci ha insegnato abbastanza, non ci ha resi immuni. Per aiutarci a capire perché, Filippi in questo libro ci racconta molte cose: ci racconta com'è finita la guerra, cosa è stato fatto al termine del conflitto e cosa non è stato fatto, quali provvedimenti sono stati presi nei confronti dei responsabili, quali invece non sono stati presi, cosa hanno scritto gli intellettuali e gli storici e cosa non hanno scritto, cosa è stato insegnato alle nuove generazioni e cosa invece è stato omesso e perché. Soprattutto, ci mostra come noi italiani ci siamo raccontati e autoassolti nel nostro immaginario di cittadini democratici, senza mai fermarci a fare davvero i conti col passato. Che, infatti, non è passato.
Grazie all'opera di artisti e intellettuali, nel Rinascimento emerge una consapevolezza inedita del divenire storico che favorisce il culto del nuovo nelle arti, in letteratura, in filologia e nelle scienze. Il nuovo prendeva il posto del culto, una liturgia umana subentrava a quella divina. Questa rivoluzione tocca anche la cultura ebraica, motore e agente di un rinnovamento senza precedenti. Lo studio di Giuseppe Veltri ricostruisce la vita intellettuale ebraica nel Rinascimento italiano ed europeo, mettendo in luce momenti salienti del dibattito del tempo: la coscienza storica del divenire e la secolarizzazione, la funzione della poesia dantesca come ponte fra mondo ebraico e mondo cristiano, l'uso del volgare come simbolo del connubio delle diverse tradizioni, la nascita del criticismo, l'atteggiamento scettico come strategia e sintomo della crisi politica e intellettuale, il dibattito sull'immortalità dell'anima.
Tra le storie più affascinanti di sempre merita senza dubbio un posto quella del Koh-i-Nur, il diamante dal valore stimato «in due giorni e mezzo di cibo per il mondo intero», la gemma portentosa contesa nel corso dei secoli da un numero impressionante di re, conquistatori, principi, razziatori, ladri e imperatori, le cui morti truculente ne alimentarono la fama di pietra maledetta: accecati, avvelenati, torturati, bruciati nell'olio bollente, 'incoronati' con il piombo fuso o uccisi dai familiari. Nel riscrivere questa storia, William Dalrymple e Anita Anand la sottraggono alle brume del mito e la ricostruiscono meticolosamente a partire dalle fonti originali (persiane, afghane, urdu, in parte tradotte per la prima volta). E mostrandoci, tra l'altro, come la 'maledizione' non abbia nulla di soprannaturale, ma sia la concreta manifestazione della cupidigia e della furia omicida che questo gioiello inestimabile ha suscitato, storicamente, in tutti coloro che lo hanno bramato. E quando il Koh-i-Nur trovò in Inghilterra «la sua dimora definitiva», lo seguì il suo ultimo proprietario indiano, Duleep Singh, che nacque sovrano del più potente regno dell'India e morì, abbandonato da tutti, in un hotel di Parigi, mentre la gemma che un tempo aveva fieramente indossato faceva bella mostra di sé sulla corona della regina Vittoria.
La corte del re Luigi XVI sta per essere travolta dallo scandalo del secolo, passato alla storia come "l'affare della collana". L'intrigo, ordito da una nobildonna decaduta, assetata di denaro e bramosa di scalare i vertici dell'alta società parigina e di avere un ruolo a corte, coinvolge nelle sue trame l'ambizioso cardinale Rohan, il sedicente mago e alchimista Cagliostro, fidatissimo amico dell'alto prelato, e la stessa regina Maria Antonietta, spianando la strada alla Rivoluzione dell'89. L'affare della collana non resta confinato fra le mura dei tribunali, ma diventa subito di pubblico dominio. Le arringhe degli avvocati vanno a ruba come bestseller, molti scrittori si arricchiscono con pamphlet scandalistici venduti in migliaia di copie. La Francia si appassiona alla vicenda e si divide fra innocentisti e colpevolisti. Ma il debole re Luigi non ne coglie appieno la portata e lascia che le cose seguano il loro corso, accelerando così il tramonto e la fine della monarchia francese.
In questo libro su un tema oggi di grande attualità, l'autorevole storico Hugh Kennedy ricostruisce la lunga storia del califfato: dalle prime attestazioni nel Corano - dove sono chiamati "califfi" Adamo e David - ai più recenti attentati terroristici dell'ISIS, lungo un arco temporale di quattordici secoli e in un'area geografica che va dal Sud-Est asiatico al Portogallo e al Marocco. Al suo culmine, tra il IX e il X secolo, il califfato si estendeva infatti dalla Spagna ai confini della Gina e costituiva la più potente entità politica nell'Eurasia occidentale. In un'epoca in cui Parigi e Londra contavano poche migliaia di abitanti, Baghdad e il Cairo rappresentavano sofisticati crocevia commerciali e culturali, mentre i califfati omayyadi e abbasidi si distinguevano per i progressi nelle scienze, in medicina e in architettura. Ben diversa invece l'attualità. Il volume si chiude infatti sulla recente ricomparsa dell'ideologia califfale all'interno dell'Islam fondamentalista, sottolineando quanto sia importante per noi conoscere questa forma di governo per capire le idee politiche del cosiddetto Stato Islamico e degli altri gruppi islamisti del XXI secolo.
Un attacco premeditato, il saccheggio selvaggio, massacri e una parziale distruzione della città sul Bosforo: la prima "caduta di Costantinopoli" non avvenne nel 1453 per mano ottomana, come generalmente si ritiene, ma nel 1204 ad opera dei latini, ossia veneziani e milites in gran parte francesi. È la storia raccontata in questo volume: nota come quarta crociata, la spedizione promossa da Innocenzo III puntava ufficialmente alla riconquista di Gerusalemme, ma finí per prendere la Nuova Roma, greca e cristiana. La storiografia si è interrogata sull'episodio con esiti differenti.I bizantinisti hanno generalmente considerato la presa del 1204 come un atto deliberato ai danni di Costantinopoli, mentre gli studiosi della crociata sono stati piú cauti, fino a sposare il punto di vista dei protagonisti: come il cronista Goffredo di Villehardouin, il quale presenta una concatenazione di incidenti casuali che avrebbero condotto al sacco della città. Alla luce delle numerose fonti dell'epoca, il libro restituisce un quadro preciso della vicenda e non esita a chiamare in causa volontà e comportamenti sinora occultati da una storiografia a tratti compiacente.
Il libro nasce da centinaia di lettere, cronache e resoconti scritti dalle Dorotee di Vicenza sotto gli allarmi, i bombardamenti, le fughe. Le carte provengono da varie regioni d'Italia e perfino dal campo di prigionia inglese in Palestina. Narrano la seconda guerra mondiale vissuta dalle suore insieme ai pazienti negli ospedali e nei ricoveri, i detenuti nelle carceri, i bambini negli orfanotrofi, i ragazzi nelle scuole, la gente dei quartieri poveri. Ma rivelano anche un'altra guerra, meno conosciuta. Quella combattuta in segreto da alcune suore che rischiarono la vita per aiutare ebrei perseguitati, nascondere militari e prigionieri fuggiaschi, appoggiare operazioni partigiane; suore che si misero dalla parte dell'uomo da soccorrere e da curare, indipendentemente dallo schieramento militare o politico a cui apparteneva. Eppure, in quei momenti confusi e difficili, quando si trattò di fare una scelta, tutte scelsero d'istinto di mettersi dalla parte di chi lottava per la libertà.
Questo libro segue lo svolgersi dell'amicizia tra David Hume e Adam Smith, dal loro primo incontro nel 1749 fino alla morte del primo nel 1776. Descrive come i due si leggessero l'un l'altro, si aiutassero reciprocamente nella carriera e nelle ambizioni editoriali, spesso consultandosi su questioni personali, in particolare dopo la drammatica lite di Hume con Jean-Jacques Rousseau. Membri della vivacissima scena intellettuale dell'Illuminismo scozzese, Hume e Smith ebbero amici (e nemici) in comune, frequentarono gli stessi club e s'interessarono agli stessi argomenti, e non solo di filosofia ed economia: dalla psicologia alla storia, dalla politica al conflitto britannico nelle colonie americane.
Le leggi razziali del 1938 rappresentarono un drammatico spartiacque, che mise in luce le divisioni all'interno della Chiesa e di tutto il mondo cattolico riguardo al tema dell'antisemitismo. La coscienza di una parte dei credenti entrò in conflitto con i sentimenti filofascisti che fino ad allora aveva nutrito. Quali ripercussioni vi furono sull'atteggiamento della Chiesa verso il regime? La sfida dei totalitarismi alla tradizione cattolica fu colta in tutta la sua portata, o venne sottovalutata nella convinzione di poter "cattolicizzare" queste nuove e rivoluzionarie esperienze politiche?