
Charles S.H. Vane-Tempese-Stewart, settimo marchese di Londonderry, rampollo di una delle famiglie più nobili d'Inghilterra, cugino di Churchill e amico intimo del re, non nascose la sua ammirazione per Hitler. Un'ammirazione in realtà diffusa tra gli aristocratici inglesi, ma che fece di Lord Londonderry il capro espiatorio di una colpa che ricadeva su più vasti settori dell'establishment britannico: quella mancata opposizione all'Anschluss e alle leggi razziali che fu una delle cause dell'immane catastrofe della Seconda guerra mondiale.
Tra il 1935 e il 1945 l'Italia fu in guerra senza interruzioni in Etiopia, Spagna, nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa settentrionale, in Russia. Dal 1935 al 1941 il governo italiano dichiarò guerra a: Etiopia, Spagna, Albania, Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Stati Uniti. In questo libro, la sintesi aggiornata e completa di questi conflitti. Una storia militare che mette in luce la continuità tra la politica fascista e il ruolo che le forze armate ebbero nel tradurre in atti concreti la ricerca di potenza nazionale: il principale scopo e giustificazione della dittatura mussoliniana.
Gli autori compiono un viaggio a ritroso nel tempo fino ai Greci e ai Romani per poi ritornare all'oggi, cercando di ricostruire il loro mondo, che è anche il nostro, in tutti i suoi vari aspetti. La religione, i miti, il potere, la politica, ma anche la vita comune di uomini e donne scorrono davanti ai nostri occhi: scopriamo così il mondo antico e colmiamo il divario fra noi e il passato, distante ma al tempo stesso familiare, perché ancora vivo nella nostra lingua, nella letteratura, nel nostro stesso modo di pensare.
Gli americani sono europei che hanno lasciato il proprio paese natale per sfuggire a persecuzioni religiose o politiche, alla povertà, alle barriere dei rapporti di classe o alla mancanza di opportunità di miglioramento economico o sociale. Non stupisce quindi che l'Europa si sia configurata nella coscienza degli americani come una madre-matrigna, sede di intolleranza religiosa o politica, di falsi splendori per pochi e di terribili miserie per molti. Storico delle dottrine politiche, Massimo Salvadori analizza l'idea di Europa nella rappresentazione del pensiero politico americano, dalla fine del Settecento alla metà del ventesimo secolo, evidenziando come un certo antieuropeismo americano abbia origini antiche.
Il liberalismo sottolinea il valore positivo della libertà individuale, l'autonomia del singolo, l'opposizione al conservatorismo sociale. Sorto come una giustificazione teorica della necessità della limitazione del potere statale, il liberalismo non è però riuscito a declinare in termini universalistici il suo discorso ideologico. Come per ogni movimento storico, si tratta di indagare sì i concetti ma anche in primo luogo i rapporti politici e sociali in cui esso si è espresso. E la storia dei paesi in cui il liberalismo ha gettato radici più profonde risulta inestricabilmente intrecciata con la storia della schiavitù e dello sfruttamento.
Meghnagi cerca di analizzare l'esperienza dei sopravvissuti alla Shoah affrontando il tema dell'elaborazione del lutto collettivo attraverso quattro significative figure: quella del politico (Marek Edelman, medico vicecomandante della rivolta del ghetto di Varsavia), del testimone (lo scrittore Primo Levi), dell'eretico (Isaac Deutscher, il biografo di Trockij), del sionista convinto (Gershom Scholem). Da angolature diverse e con prospettive diverse essi rappresentano tutti coloro che si sono misurati con il male assoluto. David Meghnagi, Tripoli 1949, è membro ordinario della Società psicoanalitica italiana e dell'International Psychoanalytical Association e professore di psicologia clinica all'Università di Roma III.
Docente di Letteratura francese all'Università della Tuscia e all'Istituto Universitario di suor Orsola Benincasa, Benedetta Craveri concentra la sua attenzione in questo libro su Versailles e affronta una questione centrale nel corso di tutto l'Ancien Régime: quella legata al potere delle donne. Per secoli è stato infatti predicato che affidare a una donna una qualsivoglia responsabilità di governo fosse "cosa ripugnante alla natura, contumelia a Dio, sovvertimento del retto ordine e di ogni principio di giustizia". Eppure, questo potere a loro ostinatamente sottratto le donne se lo sono arrogato, vanificando di fatto le leggi e le consuetudini. Lo dimostrano le storie di Caterina de' Medici, Maria Antonietta, Diana di Poitiers e tante altre.