"All'età di diciannove anni, di mia iniziativa e a mie spese, misi insieme un esercito, grazie al quale liberai la Repubblica dal dominio dei faziosi." Così iniziano le "Res Gestae Divi Augusti", fatte incidere come suo testamento da Augusto ormai vecchio. Un testo minaccioso con il quale Augusto rivendicava la legalità della sua inquietante carriera politica. Ben diverso è il resoconto che ne dà Tacito, grande smascheratore del linguaggio politico: la devozione per il padre Cesare e la situazione politica di emergenza erano stati solo pretesti per la sete di dominio di Ottaviano Augusto che non esitò a schierarsi dalla parte dei cesaricidi, osò arruolare un esercito privato e lo mosse contro Antonio, ebbe quasi sicuramente una oscura parte nella morte dei due consoli in carica e alla fine puntò sulla capitale scortato dall'esercito vincitore. A diciannove anni, si fece attribuire la massima magistratura imponendo come collega un parente che era una semplice comparsa, liquidata fisicamente dopo poche settimane; atterrì, armi in pugno, il Senato imponendogli di avallare una procedura sfacciatamente incostituzionale; avviò, creando una inedita magistratura straordinaria - il "triumvirato" -, le più feroci proscrizioni. Questa la "marcia su Roma" di Gaio Giulio Cesare Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, e futuro Augusto, il 19 agosto dell'anno 43 a.C.
Il processo di integrazione dell’India nel nuovo ordine internazionale, caratterizzato dal consolidarsi dell’egemonia neoliberista a livello globale, è stato avviato in maniera organica all’inizio degli anni novanta. L’approvazione, nel 1991, di una serie di riforme economiche di stampo neoliberista ha segnato un netto allontanamento dal progetto di trasformazione economica e sociale prevalso nel paese all’indomani dell’indipendenza, fondato sul riconoscimento del ruolo dello Stato nella cruciale questione dello sviluppo. Muovendo dagli squilibri frutto del periodo di dominazione coloniale, il libro dà conto dei tratti salienti dei processi socio-economici che si sono svolti in India dall’indipendenza ad oggi, evidenziandone successi e limiti alla luce del complesso rapporto fra economia e società. Nel tracciare tale quadro, l’autrice si propone di contribuire a spiegare le ragioni della persistenza nel paese di alcuni forti nodi problematici, quali l’ampia diffusione della povertà e la presenza di profonde diseguaglianze sociali.
Trentacinque brevi colloqui immaginati con gli affetti di quattro generazioni. Un album-romanzo sfogliato partendo da un oggetto, un luogo, una frase, un episodio, una foto, un ricordo. Per render conto di come una famiglia ha affrontato la sua pubblica storia, così che anche questa possa essere riletta con qualche sfumatura in più. E per raccontare come, grazie e dentro a questa fitta rete di affetti, alcuni valori di fondo si sono trasmessi attraverso gli sconvolgimenti sociali e politici di un secolo intero. Dalle generazioni dell'ultimo Ottocento fino a quelle del Duemila. Da chi conobbe entrambe le guerre a chi venne educato sotto il fascismo e scelse la Resistenza. Da chi divenne adulto con il Sessantotto a chi fece la prima comunione il giorno dopo l'assassinio di Falcone. Perché, pur nei grandi cambiamenti e al di là dei conflitti tra padri e figli, alla fine la famiglia trasmette i suoi valori e fa scegliere come camminare con gli altri. E insegna a stare in quella che con troppa deferenza chiamiamo la storia.
"A trentadue anni dalla sua prima edizione "Quando cessarono gli spari" non ha perso nulla della sua freschezza narrativa e della sua attualità. Scritto come un diario, ricostruisce ora per ora quel che accadde a Milano nelle due settimane successive alla Liberazione, utilizzando le memorie personali dell'autore confrontate con decine di testimonianze di piccoli e grandi protagonisti della Resistenza milanese. Nelle pagine sfilano uno dopo l'altro i racconti di Pertini, Basso, Cadorna, Curiel, Sereni, Bonfantini accanto a decine di comandanti delle formazioni partigiane. Una ricostruzione corale che rappresenta, ancora oggi, l'affresco più vasto e pulsante di quelle giornate. La 'breve fuga di Mussolini' e la sua esecuzione, la rivolta nelle fabbriche, i conflitti nel Clnai e le ambiguità di Cadorna: molte questioni controverse trovano in queste pagine testimonianze importanti e non eludibili. La recente vulgata revisionistica sul 'sangue dei vinti' trova in questo libro la migliore risposta resa ancor più efficace dall'essere stato scritto ben trent'anni prima." (Aldo Giannuli)
28 aprile 1945: Benito Mussolini e Claretta Petacci vengono fucilati a Giulino di Mezzegra. Il giorno dopo, i loro corpi - con quelli degli altri gerarchi fascisti uccisi a Dongo - sono esposti a Milano, in piazzale Loreto. La morte di Mussolini chiude tragicamente il ventennio fascista e segna al tempo stesso la fine di una gigantesca caccia all'uomo. Sono in molti a voler catturare il duce, primi tra tutti gli americani, che vorrebbero sottoporlo a un regolare processo. Bruciati dall'azione dei partigiani comunisti, più veloci di loro a mettere le mani sulla colonna in fuga, i servizi segreti statunitensi vogliono capire subito come e perché il loro piano è fallito e incaricano uno dei loro più abili agenti, Valerian Lada-Mocarski, di ricostruire la disperata fuga e la fine di Mussolini. Pochi giorni di indagine sul campo e di colloqui con i testimoni e, dopo una prima relazione più approssimativa, il 30 maggio 1945 l'agente numero 441 dell'OSS è in grado di inviare al suo capo, Allen Dulles, un rapporto definitivo. Ora questo materiale è tornato finalmente alla luce. È un documento in presa diretta, scritto a caldo, che racconta con precisione e uno stile essenziale ma vivido l'episodio più drammatico e significativo della recente storia italiana. Soprattutto, il rapporto di Lada-Mocarski fa piazza pulita, una volta per tutte, delle fantasiose ipotesi sulla fine di Mussolini, a cominciare dalle reticenti ricostruzioni del Partito comunista italiano.
Nel secondo dopoguerra il ritorno dell'Italia alla tradizionale libertà d'emigrazione, la ricostruzione economica europea e l'avvento in Occidente di democrazie più compiute sembrarono promettere un'epoca di liberi flussi migratori. Nella realtà tutto andò diversamente: la necessità di lavoratori stranieri fu a lungo limitata e le politiche migratorie internazionali rimasero restrittive e inefficienti. Di conseguenza, in decenni in cui l'Italia era il principale serbatoio europeo di manodopera, l'espatrio illegale divenne un fenomeno vasto e diffuso in tutta la penisola. Solo una piccola porzione dei clandestini italiani era mossa da ragioni giudiziarie o politiche. La maggioranza era composta da lavoratori, uomini, donne e bambini che quasi in nulla si distinguevano dai connazionali più fortunati che riuscivano ad emigrare nel rispetto della legge. Dopo avere attraversato i confini stranieri spesso al prezzo della vita, molti furono "sanati" ed equiparati agli immigrati regolari, ma quasi tutti vissero a lungo nell'illegalità sperimentando sfruttamento e precarietà. Molti si rassegnarono a rimpatriare rapidamente, mentre i più sfortunati, in mancanza di meglio, finirono per arruolarsi nella Legione Straniera francese partecipando anche alle guerre d'Indocina e d'Algeria.
Il racconto di Vittorio Foa - protagonista e testimone delle vicende italiane di questo Novecento - ci accompagna dai primi anni del secolo attraverso due guerre e una lunga pace difficile, arrivando fino all'Italia degli anni novanta. Il filo che unisce tutto il libro è la politica, vista come scelta responsabile che comprende il pensiero e l'azione; come capacità di sostenere le proprie ragioni di parte, tenendo conto al tempo stesso delle ragioni dell'altro. Tenace avversario del nazionalismo, nel quale vede la malattia del secolo e la causa continua di violenze e barbarie, Foa afferma tuttavia il valore del sentimento nazionale, dell'identità dell'Italia unita. E alla fine il senso appassionato della memoria di un secolo che scompare diventa la proposta ai nuovi lettori - anche giovani e giovanissimi - di pensare il passato alla luce della propria memoria, delle domande che la vita pone oggi a ciascuno di noi. Questa edizione propone una introduzione dell'autore.
Dalla calata di Carlo VIII al sacco di Roma, fino all'incoronazione di Carlo V: un periodo burrascoso e cruciale nella storia italiana. A partire dalla fine del Quattrocento, la penisola divenne terreno di conquista per gli eserciti che la attraversarono, seminando allarme e desolazione ma anche attese di mutamento politico e sociale. Al termine di un turbinoso crescendo di fatti d'arme, la Spagna prevalse sulla Francia. Ma le guerre d'Italia non furono un mero confronto militare fra superpotenze europee. Esse nacquero dallo scontro fra visioni diverse dell'Europa e del suo destino, anche in relazione al mondo extraeuropeo e non cristiano, e furono combattute sui campi di battaglia come pure nel dominio dell'immaginario e del sacro. La posta in gioco era un primato insieme morale e politico all'interno della cristianità occidentale, nel momento della transizione dal medioevo all'età moderna.
La papirologia ha per oggetto la decifrazione e lo studio dei testi greci e latini conservati su papiro, legno e altro materiale. Tra le discipline che studiano il mondo classico, essa ha l'indubbio fascino di risultare sempre aperta alle novità e di essere in continua evoluzione, grazie soprattutto alle ricerche archeologiche svolte in Egitto. Il volume presenta gli aspetti fondamentali della disciplina, spaziando dalla pianta di papiro e la fabbricazione della relativa carta ai principali contenuti dei testi papiracei, al loro contributo alla storia dell'Egitto greco-romano e delle letterature classiche, fino ai più importanti strumenti di lavoro del papirologo, compresi quelli offerti dall'informatica.
È difficile trovare fasi della nostra storia così conflittuali, anche nella memoria, come la guerra civile che ha visto fronteggiarsi tra il 1943 e il 1945 gli irriducibili del fascismo e i partigiani, i "ribelli dell'onore" e i "ribelli della libertà". La lacerazione consumatasi in quegli anni si è perpetuata ben oltre la rinascita democratica. Non solo per le ferite - mai davvero rimarginate - riportate dai reduci degli opposti fronti, ma anche per la mancata elaborazione di una memoria condivisa della lotta di Liberazione, pur se elevata a evento-mito fondativo dell'identità repubblicana. È da questa premessa che Roberto Chiarini muove per illustrare la storia della Repubblica di Salò. Del suo esercito dissanguato dalle continue diserzioni e delle sue formazioni di volontari decisi a tutto. Della sua pretesa di fungere da "scudo" contro l'occupante nazista e della sua determinazione a essere una "spada" contro i partigiani. Della sua velleità di attuare una "rivoluzione sociale" e della sua responsabilità di esercitare una violenza sanguinaria, in particolare contro gli ebrei. L'autore affronta anche il tema cruciale della memoria divisa che di quegli anni hanno elaborato nostalgici e antifascisti e del conseguente impatto da essa esercitato sulla vita della Repubblica. L'indagine è stata condotta senza lasciar spazio a facili amnesie e senza indulgere ad acrimoniosi risentimenti di parte, senza concedere colpevoli sconti e senza emettere sbrigative sentenze.