In breve
“Con la sconfitta tutto fu schiacciato dal peso esorbitante del terrorismo e delle sue vittime. L’oblio e il silenzio furono la prima risposta alla delusione. Un intero decennio fu relegato tra le cose alle quali si pensa sempre e di cui non si parla mai.” Le “ragioni” degli anni settanta esplorate e analizzate non per difendere il decennio dai suoi detrattori, ma per smontarlo e sottrarlo a immagini troppo univoche. Un saggio sul passato recente che si fa riflessione sulle dinamiche profonde del nostro presente.
Il libro
“Anni di piombo”. Con questa espressione un po’ spettrale si è creduto – e tuttora spesso si crede – di poter riassumere un intero decennio della nostra storia, quello che va dalla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969 al “riflusso” degli anni ottanta. Eppure sotto quella coltre di piombo restano ancora seppellite le tracce e le storie di troppi protagonisti, in primo luogo le vittime innocenti ma non inconsapevoli di una violenza che le ha travolte insieme ai movimenti e alle idee alle quali avevano deciso di dedicare la propria vita. È un passato che in Italia non riesce ancora a passare, ma su cui non si riesce a costruire una memoria pubblica condivisa.
Le “ragioni” degli anni settanta vengono ora esplorate da Giovanni De Luna in questa ricostruzione appassionata e coinvolgente. Non si tratta di difendere il decennio dai suoi detrattori. Piuttosto, il tentativo è quello di smontarlo, di sottrarlo a immagini troppo univoche. Solo così possono riemergere le coordinate di uno straordinario impegno politico e i contorni di una militanza dai tratti profondamente originali, solo così riesce a rivivere uno “spirito del tempo” fatto non solo di violenza, ma di canzoni, film, intrecci della memoria e rapporto con la Storia.
In breve
I giovani non sono sempre esistiti. Al contrario: sono stati inventati. In America e in Europa, a cavallo tra Ottocento e Novecento, un nuovo attore sociale e un nuovo stile di vita si sono fatti strada in modo prepotente fino a rivoluzionare il costume e la società. Un libro di storia avvincente come un romanzo.
Il libro
I giovani non sono sempre esistiti. Al contrario: sono stati inventati. In America e in Europa, a cavallo tra Ottocento e Novecento, un nuovo attore sociale e un nuovo stile di vita si sono fatti strada in modo prepotente fino a rivoluzionare il costume e la società.
Jon Savage racconta questa rivoluzione in un libro di storia avvincente come un romanzo. Che parte dai sogni di ribellione della generazione romantica e attraversa due secoli di fermenti e tormenti, entusiasmi e angosce: Peter Pan e il mito dell’eterna giovinezza, la fondazione dei boy scout, lo shock della Prima guerra mondiale, lo sviluppo di una psicologia dell’adolescenza, la militarizzazione della gioventù nella Germania hitleriana e nell’Italia fascista, la diffusione di nuovi stili musicali dal ragtime allo swing al rock’n’roll, la nascita della pubblicità e di un mercato pronto a sfruttare economicamente i nuovi gusti e la nuova cultura di massa. Fino alla consacrazione definitiva, quando nel giugno 1945 – poche settimane prima dello scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki – il “New York Times” annuncia trionfante che “i teenager sono un’invenzione americana”. Da quel momento in poi il mondo non sarà più lo stesso. Il futuro sarà dei teenager.
“Un libro che può cambiare il modo in cui le persone pensano all’adolescenza.”
“The Guardian”
“Un lavoro completo, sicuro, commovente e coinvolgente.”
“The Independent”
Mentre l'epoca imperiale romana è normalmente considerata un tutto unico, l'alto medioevo continua a essere descritto come un assemblaggio di storie regionali, vagamente corrispondenti alle aree delle moderne nazioni europee. La conseguenza è che la storia di questo periodo è una storia frammentaria, che ha prodotto solo rare sintesi del grande cambiamento socio-economico sviluppatosi nell'intero mondo post-imperiale. In questo suo monumentale lavoro l'autore integra testimonianze documentarie e archeologiche (comprese le più recenti scoperte), creando una nuova storia comparativa della fine della tarda antichità e del primo medioevo che - dalla Danimarca all'Egitto, e con la sola esclusione dei territori slavi - abbraccia il mondo mediterraneo e l'Europa continentale. Con l'obiettivo di comprendere e spiegare somiglianze e differenze tra le diverse aree geografiche, senza assumere come "tipico" lo sviluppo di una singola regione e come "eccezione" ogni divergenza dal modello, Chris Wickham si concentra sui temi socio-economici classici, la finanza dello stato, la ricchezza e l'identità delle aristocrazie, la gestione delle proprietà terriere, la società contadina, gli insediamenti rurali, le città e gli scambi commerciali.
In breve
Tutti quelli che cercano una reale comprensione della questione mediorientale dovrebbero leggere questo libro sui due secoli cruciali della storia giudaica e potrebbero imparare molto da quella antica tragedia. Diarmaid Macculloch, “The Guardian”
Cupo e magistrale. Se la presa della Bastiglia ha dato forma alla storia del diciannovesimo e ventesimo secolo, si potrebbe dire che il ventunesimo è stato forgiato dalla caduta, quasi duemila anni fa, di Gerusalemme. Tom Holland, “The Sunday Times”
Nel 70 d.C., dopo una guerra durata quattro anni, tre legioni romane comandate dal futuro imperatore Tito circondano, assediano e infine devastano la città di Gerusalemme. Sessant’anni più tardi, la distruzione della città è completata. Sulle sue rovine, l’imperatore Adriano costruisce la romana Aelia Capitolina, dove ai Giudei è proibito perfino entrare. Eppure, fino ad allora i Romani erano stati tolleranti con loro quanto con gli altri popoli dell’impero. Vessati da tasse arbitrarie, umiliati, ostacolati nella pratica della propria religione, gli Ebrei sono derubati perfino del nome della propria terra: la Giudea viene ribattezzata Palestina. Cosa scatena un conflitto tanto rabbioso? Perché, tra le numerose popolazioni assoggettate al dominio romano, solo quella giudaica riceve un trattamento così repressivo, così brutale? Perché accade questo disastro? Cosa, nella società giudaica e romana, rende impossibile la coesistenza? Questo libro superbo, avvincente, chiaro e scorrevole, firmato da uno dei principali studiosi mondiali dell’antica Roma e del mondo giudaico, racconta e spiega questa battaglia titanica, perché quella politica di ostilità radicale servì gli interessi di Roma e come la prima generazione di Cristiani prese le distanze dalle proprie origini ebraiche divenendo sempre più ostile.
Indice
Ringraziamenti - Introduzione - Prologo - parte prima: Un mondo mediterraneo – 1. STORIA di due città – 2. Un mondo sotto Roma – 3. Diversità e tolleranza - parte seconda: Romani e Giudei – 4. Identità – 5. Comunità – 6. Prospettive – 7. Stili di vita – 8. Governo – 9. Politica – 10. Romani e Giudei - parte terza: Conflitto – 11. IL CAMMINO verso la distruzione, 37 a.C.-70 d.C. – 12. Reazioni, 70-312 d.C. – 13. La crescita della Chiesa – 14. Una nuova Roma e una nuova Gerusalemme - epilogo - Note - Ulteriori letture - referenze iconografiche - DINASTIA GIULIO-CLAUDIA - dinastia erodiana - Indice dei nomi e delle cose notevoli - Indice delle cartine
Regilla nasce nel 125 d.C. da una famiglia dell'elite romana, imparentata con la moglie dell'imperatore Adriano. Sposa un greco, il ricco sofista Erode Attico, e lo segue in patria. All'ottavo mese di gravidanza è uccisa con un calcio nel ventre. Trascinato in tribunale con l'accusa di omicidio e giudicato da una corte composta da senatori, il marito viene assolto grazie all'intervento dell'imperatore, anche se le eccessive, quasi farsesche, manifestazioni di lutto cui lui si abbandona equivalgono a una confessione. Inutilmente difesa dalla famiglia, sulla morte della giovane donna cade il sipario. La polvere del silenzio nasconde a lungo il volto di Regilla. Ci voleva una delle voci più autorevoli negli studi sulle donne antiche a dedicarle un ritratto e a svelare i contorni della tragedia. Con gli strumenti di un detective raffinato, l'acuta cultura archeologica, la capacità di ricostruzione storica, il gusto per la suspense, Sarah Pomeroy racconta l'universo del II secolo d.C. e la storia si tinge di giallo.
Dagli anni di Odoacre e di Teodorico fino alle soglie dell'età romanica, Paolo Cammarosano segue nascite, crisi e trasformazioni di aristocrazie protagoniste di strutture differenti di potere: da quelle di stampo classico, legittimate da un'antichità di stirpe e da un ruolo di pubblica ufficialità, a quelle sviluppatesi nelle vicende delle conquiste militari e delle carriere ecclesiastiche, ai notabilati cittadini dei secoli VIII e IX, ai nuovi meccanismi della fedeltà personale di età carolingia, alle formazioni di marchesi e principi in endemico conflitto per la corona d'Italia, ai conti delle città, al pullulare dei cavalieri e al loro radicarsi nei castelli nel X secolo. Agli inizi dell'XI secolo, con l'irrequietudine politica sia nelle città che nelle campagne, si avranno le prime importanti manifestazioni di una dinamica che finirà per imporre forme nuove di vita sia civile che ecclesiastica.
Tra biografia e racconto d'armi, le vite di John Hawkwood, soldato inglese ribattezzato Giovanni Acuto, e dei condottieri al soldo. Attraverso la vita eccezionale di colui che è stato il più grande, stimato e temuto condottiero al soldo dei fiorentini, l'autore descrive le esistenze dei cavalieri e guerrieri mercenari, l'apprendistato delle armi, la struttura delle compagnie, il rapporto con la gente e i committenti, il denaro, gli strumenti del mestiere e la trasformazione delle compagnie di ventura in eserciti regolari.
"Il nostro sistema politico non si propone di imitare le leggi di altri popoli: noi non copiamo nessuno, piuttosto siamo noi a costituire un modello per gli altri. Si chiama democrazia, poiché nell'amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla maggioranza." Sono pochi gli uomini che hanno dato il proprio nome a un momento della Storia. Pericle, gigantesca figura consegnata da Plutarco ai posteri come inventore della democrazia ateniese il modello di governo che avrebbe plasmato il mondo occidentale -, è tra questi. Per comprendere come e perché gli siano stati attribuiti un ruolo e un'importanza tanto fuori dall'ordinario, Claude Mossé ricostruisce vita e battaglie di Pericle, ritraendole nel quadro complesso di una giovane città emergente nel momento in cui stava rapidamente raggiungendo l'apice del proprio splendore e della propria potenza.
Il volume propone al lettore che si avvicina alla storia romana con interesse e curiosità personale un valido e originale strumento per approfondirne la conoscenza. La trattazione si sviluppa secondo un andamento cronologico, dalle origini di Roma sino alla divisione politica fra parte occidentale e parte orientale dell'impero dopo la morte di Teodosio I, con l'interposizione di "finestre" tematiche, dalle quali osservare e comprendere meglio gli aspetti salienti della società romana o la stessa storia degli eventi politico-militari. Una particolare attenzione è dedicata alle istituzioni amministrative e alle relazioni sociali, all'ideologia del potere, ai rapporti tra politica e religione. L'esposizione, che tiene conto dei recenti sviluppi del dibattito storiografico, è caratterizzata da citazioni tratte da documenti antichi ed è corredata di un'ampia bibliografia.
Sottoporre a revisione la storia è il compito stesso degli studiosi, essendo la storiografia nient'altro che una costante riscrittura della storia. Perché, dunque, degli storici come gli autori di questo libro dovrebbero schierarsi contro il "revisionismo"? Perché sotto questo termine si è delineato, nel corso degli ultimi decenni in Italia e nel mondo, un "uso politico della storia" che ha poco a che fare con la ricerca storiografica. Un "uso politico" dalle molteplici diramazioni, ma che, soprattutto nella distorta ricostruzione della nostra storia nazionale, presenta alcune opinioni ossessivamente ripetute: l'idea che il Risorgimento sia stato una guerra di annessione e non un movimento di rinascita per l'unità nazionale; la concezione del fascismo come tentativo autoritario bonario, distinto dal totalitarismo nazista e volto all'edificazione di una patria che non sarebbe esistita prima; l'ipotesi della morte definitiva della patria sancita dall'8 Settembre e la conseguente rivalutazione dei combattenti di Salò come autentici patrioti. Tesi politiche che non hanno la benché minima serietà né il rigore dell'autentica indagine storica, ma che, raffigurando gli avversari come i difensori di una "vulgata resistenziale", di "verità di regime", mirano a distruggere i fondamenti stessi della nostra storia repubblicana e della nostra Costituzione. Contro questo "revisionismo" si schierano alcuni tra i migliori storici italiani.
L’OLOCAUSTO DIMENTICATO
DELL’ULTIMO ESODO DAI LAGER
“il campo dev’essere immediatamente evacuato.
Nessun prigioniero deve cadere vivo nelle mani del nemico.”
— Heinrich Himmler
Ci incamminammo a piedi.
Era la fine del 1944, era inverno, c’era neve e faceva freddo.
Indossavamo soltanto dei vestiti estivi, brandelli di stracci,
non avevamo calze e le scarpe erano distrutte.
Lungo la strada erano sparsi qua e là morti, sangue, vestiti.
”Per evocare questo ulteriore dramma nella tragedia generale, Blatman trova le parole giuste tra rigore storico e impatto emotivo.”
— Le Figaro
Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale, gran parte dei 700.000 prigionieri ancora internati sono costretti a evacuare i campi di concentramento: con l’avanzata dell’Armata Rossa e l’arrivo delle forze alleate è urgente smobilitare per cancellare le tracce. Tra l’estate del 1944 e la primavera del 1945 migliaia di deportati, incalzati dai loro aguzzini, si avviano in una drammatica ritirata di massa che non di rado si svolge nel caos, sovrapponendosi a quella dell’esercito tedesco e alla fuga dei civili. Un esodo in condizioni disperate che passerà alla storia come “le marce della morte”. Persino nella brutalità inaudita che caratterizza la storia del Terzo Reich, sono pochi gli esempi di un massacro così feroce, crudele ed efficiente. E tra i molti studi sull’Olocausto, nessuno aveva ancora approfondito questo aspetto meno conosciuto: l’ultimo tentativo di liquidare i nemici della “razza ariana” e gli avversari politici prima della sconfitta definitiva, nonostante l’apparato burocratico e gerarchico del sistema concentrazionario fosse al collasso.
Lo storico Daniel Blatman ricostruisce qui per la prima volta le marce della morte: interroga i documenti, i luoghi, le voci dei sopravvissuti, allargando l’indagine anche alla temperie culturale e sociale in cui avvenne l’evacuazione. Le piccole comunità locali percepirono, infatti, le colonne di deportati di passaggio come una minaccia e affrettarono la fine dei prigionieri, già decimati dalla fame, dal freddo e dalle armi delle guardie. Come nell’eccidio di Gardelegen, episodio ricostruito nei dettagli: uno sterminio di massa che illustra e simboleggia tutte le complesse dinamiche che in pochi mesi terribili causarono la morte di oltre 250.000 persone.
La sera del 12 dicembre 1969 un uomo varca il portone della Questura di Milano. Anarchico, ferroviere, l'uomo, Giuseppe Pinelli, deve essere interrogato per dire ciò che sa di un gruppuscolo ai margini della galassia anarchica, il "Circolo XXII Marzo", capeggiato da un ballerino, Pietro Valpreda. In quel plumbeo giorno di dicembre, un massacro ha insanguinato Milano e atterrito l'Italia per la bomba esplosa alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana: 17 morti, 80 feriti. A rileggere oggi questo libro, quarantanni dopo, che assomma gran parte di "Pinelli: un suicidio di Stato" a due capitoli di "La politica della strage", non viene voglia di aggiungere o cambiare nulla, la ricostruzione resta ancora del tutto convincente, ma, e è quel che più sorprende, anche la chiave di lettura non è invecchiata, perché, nonostante la passione e la militanza, più che l'ideologia valse già allora il desiderio di verità. D'altra parte, com'è stato evidente anche nelle parole che a quegli eventi ha dedicato quest'anno il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, le trame eversive che tra la fine degli anni sessanta e l'inizio del decennio successivo misero a dura prova l'Italia restano episodi oscuri, in gran parte misteriosi, anche se è inequivocabilmente evidente che i gruppi terroristici di destra e di sinistra allora attivi godettero di più di qualche connivenza tra apparati dello Stato "deviati". (Introduzione di Cesare De Michelis)