
La grande guerra nel Mediterraneo, la cui edizione originale in lingua inglese è apparsa nel 1987, è il primo lavoro di Paul Halpern ad essere presentato al lettore italiano. Fra il 1914 e il 1918 nel relativamente piccolo spazio mediterraneo si affrontarono le Marine inglese, francese, italiana, russa, da una parte, alle quali poi si aggiunsero quella giapponese e americana, e tedesca, austro-ungarica e turca, dall'altra. A quel mosaico di settori, campagne e operazioni, apparentemente slegati l'uno dall'altro, è corrisposta nella storiografi a navale una grandissima quantità di studi, narrazioni e memorie, spesso assai valide, ma altrettanto scollegate, non sorrette da quella visione d'insieme che Halpern riesce, invece, per la prima volta a dare del teatro mediterraneo, partendo da un'imponente opera di ricerca incrociata in tutti gli archivi, mai prima svolta. Ciò consente al lettore, da un lato, di farsi un'idea più precisa sull'importanza del Mediterraneo nel quadro della guerra marittima e, in generale, del Primo conflitto mondiale, dall'altro, di apprezzare meglio il ruolo e il peso effettivamente assunti dai singoli settori e dalle singole Marine. Connessa è l'indagine che l'autore ha condotto su ambiti, poco o punto esplorati, come gli orientamenti politico-militari degli alti comandi navali, i piani di guerra e la stessa genesi delle operazioni navali nonché i rapporti fra le Marine all'interno dei rispettivi campi di lotta.
Nel presente volume sono stati raccolti quattro studi, fra loro strettamente connessi da un fondamentale motivo unificante, l'analisi dello spazio extraurbano in un settore specifico della penisola anatolica, le regioni 'storiche' di Ponto e Cappadocia, e in un arco temporale compreso fra il III ed il VI secolo d.C. La raccolta sistematica e l'analisi delle fonti letterarie, epigrafiche, archeologiche e numismatiche su queste aree dell'Asia Minore tardoantica, hanno permesso di evidenziarne non solo strutture produttive e dinamiche insediative, ma anche problemi amministrativi e aspetti socio-culturali. L'indagine si è così concentrata sulle divinità pagane e sulle figure carismatiche ritenute capaci di allontanare insetti voraci dai terreni agricoli, sui luoghi cristiani di accoglienza, sostegno e cura dislocati fuori dalle città e destinati a tutti i bisognosi, sul complesso rapporto fra "vescovi di campagna" e "funzionari dei distretti rurali", sulla significativa convergenza di infermità e ospitalità, povertà e medicina monastica intorno alle miracolose reliquie di un santo.
La famiglia Lorio tra la fine del Quattrocento ed i primi trent'anni del Seicento diede vita a una vera e propria dinastia impegnata nel mondo del libro. Originari di Portese (nei pressi di Salò), ricoprirono infatti diversi ruoli: da librai ad editori, da traduttori di testi greci a produttori di carta, a tipografi, svolgendo la loro attività tra Udine e Venezia. Lo studio affronta in particolare la figura di Lorenzo Lorio, editore nella città di San Marco tra il 1514 e il 1528, che fu certamente il più importante finanziatore delle opere di Erasmo da Rotterdam uscite in Italia nei primi trent'anni del Cinquecento. Di questo personaggio viene qui offerta una descrizione puntuale dell'intera produzione editoriale.
Il volume traccia una storia politica del Libano contemporaneo dal mandato francese ai giorni nostri evidenziando lo stretto legame fra la struttura confessionale del paese e le sue complesse vicende interne e internazionali. Le istituzioni democratiche libanesi hanno sempre convissuto con il sistema comunitario, che le ha profondamente permeate secondo le proprie esigenze istituzionali, politiche e religiose. Il comunitarismo di stampo confessionale è stato il minimo comune denominatore che ha influenzato le dinamiche socio-politiche, potendo prevenire, tramite un continuo processo di mediazione e contrattazione, le spinte autoritarie o contribuire a esacerbare le tensioni portando allo scontro e al conflitto. Ancora oggi al centro di complesse dinamiche internazionali e regionali, il Libano dovrà tenere conto, come in passato, delle spinte comunitarie e della loro interazione con il sistema politico.
Tra i monasteri e gli eremi delle Solovki – l’arcipelago del Mar Bianco, nell’estrema parte nord-occidentale della Russia, al largo di Archangel’sk – fu creato il primo campo di concentramento sovietico, il laboratorio di quella rete di 476 campi divenuti tristemente famosi con il nome di «Gulag». Apartire dal 1923 e fino al 1939 i bolscevichi vi deportarono i «nemici» del comunismo: aristocratici, preti, «borghesi », contadini, operai, intellettuali, funzionari, artisti, quadri del Partito caduti in disgrazia. «Inventato» da Trockij, adottato da Lenin e perfezionato da Stalin, il campo delle Solovki arrivò a ospitare 70.000 detenuti e nel solo 1937 furono eseguite 2000 fucilazioni. Il modello delle Solovki (e, più in generale, il Gulag) influenzò profondamente la costruzione della società sovietica: si calcola che in quei decenni un adulto su sette trascorse almeno alcuni mesi in un campo. L’esperienza penitenziaria serviva a distruggere le «strutture» dell’epoca imperiale, a livellare le classi sociali e, soprattutto durante lo sforzo bellico, a fornire la manodopera necessaria all’industrializzazione del paese. L’«armata del lavoro» teorizzata da Trockij nel 1918, che avrebbe dovuto fare le fortune dell’Unione Sovietica, non consistette in altro che in migliaia e migliaia di esseri umani ridotti in schiavitù, mutilati e uccisi (anche mediante l’uso, sempre negato dalle autorità, di armi batteriologiche).
Costruito sulla scorta di una vasta documentazione originale, resa in gran parte accessibile dall’apertura degli archivi dell’ex Unione Sovietica, e con l’ausilio di molte testimonianze inedite di prigionieri sopravvissuti e dei loro familiari, questo libro di Francine-Dominique Liechtenhan è un contributo di eccezionale valore alla conoscenza della verità e un omaggio alla memoria delle vittime del comunismo, ancora oggi dolorosamente neglette, in Russia come in Occidente.
L'AUTORE
Francine-Dominique Liechtenhan è nata nel 1956 a Basilea e si è laureata in Storia moderna e contemporanea e in Filologia russa a Parigi, città nella quale risiede e dove insegna all’università della Sorbonne-Paris IV e all’Institut Catholique. È autrice, oltre che di numerosi saggi pubblicati in riviste, dei volumi Les trois christianisme et la Russie. Les voyageurs occidentaux face à l’Eglise orthodoxe russe (XVème-XVIIIème siècle) ed Elisabeth Ière de Russie. L’autre impératrice.