
Dalla fondazione all'età gotica, Andrea Giardina racconta, con l'aiuto di studiosi internazionali, oltre tredici secoli che hanno depositato in Roma un numero incalcolabile di edifici e di storie. Il volume, che ha avuto un'edizione precedente nella collana "Storia e società", contiene saggi di: Mary Beard, Guglielmo Cavallo, Tim J. Cornell, Jean-Michel David, Florence Dupont, Augusto Fraschetti, Andrea Giardina, Giusto Traina, Rita Volpe, Paul Zanker.
L'anno 1492 segna tradizionalmente una cesura epocale importante: con la scoperta dell'America e l'avvio dell'unificazione del mondo per opera degli europei si considera concluso il Medioevo e iniziata l'età moderna. In quello stesso anno accadono cose che fissano alcuni meccanismi di identità e di esclusione tipicamente moderni. In Spagna, la conquista dell'ultimo regno musulmano e l'espulsione della minoranza ebraica avviano la formazione di uno stato fortemente caratterizzato dall'unità religiosa. Non solo, alle altre figure già codificate dell'alterità umana, l'eretico, il giudeo,l'espansione extra-europea aggiunge la figura del selvaggio. È su di loro che si esercitarono i dispositivi di potere creati nella penisola iberica, in modo particolare quello dell'Inquisizione. In una realtà sociale come quella spagnola, divisa per lingue, culture, tradizioni e religioni, lo Stato moderno nasce issando le barriere dell'intolleranza e creando categorie di 'diversi' su cui si esercitano i meccanismi dell'esclusione o dello sfruttamento: si va dall'assoggettamento dei popoli extraeuropei (i 'selvaggi') all'eliminazione dell'eretico e dell'ebreo. In tutti questi casi la religione offre la legittimazione all'esercizio del potere. Sugli ebrei in particolare si registra un passaggio carico di un pesante futuro: quello dalla tradizione dell'antigiudaismo cristiano del Medioevo a base religiosa alle nuove forme di antisemitismo a base 'naturale', fondato sulla presunta differenza di sangue.
Il libro raccoglie i testi delle nove lezioni tenute all'Auditorium di Roma, tra ottobre 2006 e marzo 2007, da alcuni dei più noti storici italiani. Salutato da un grande successo di pubblico, il primo ciclo delle 'Lezioni di Storia - I giorni di Roma' ha tenuto lungamente banco sui quotidiani. Dalla fondazione all'incendio di Nerone, dall'incoronazione di Carlo Magno al rogo di Giordano Bruno, dalla breccia di Porta Pia alle Fosse Ardeatine, in queste pagine scorre il racconto di eventi che hanno segnato indelebilmente la storia e che sono legati insieme dal filo rosso della loro geografia: dall'antichità alla più recente contemporaneità, i giorni di Roma acquistano un significato che travalica le mura cittadine e coinvolge l'intera umanità.
Divenuto strumento centrale, sebbene non unico, della repressione politica nell'Italia fascista, il confino di polizia, basato sulla pratica del detenere senza imputare, contribuì considerevolmente a distruggere le basi dello Stato di diritto nel nostro paese. Per la sua procedura, più veloce e agile rispetto a quella di un processo penale ordinario, questa misura fu facilmente applicabile: per essere assegnati al confino era sufficiente un mero sospetto di pericolosità. Camilla Poesio esamina, oltre agli aspetti tecnici della misura punitiva, anche il rapporto pubblico/privato individuato nello studio di documenti ufficiali e di testimonianze, diari e memorie. La vita di coloro che conobbero quest'esperienza fu infatti segnata dalle dure condizioni alimentari, abitative, sanitarie, dalle violenze fisiche e psicologiche commesse dalle guardie e dalla sostanziale indifferenza della popolazione locale. Essere diventati cittadini senza diritti, non potere disporre di alcuna garanzia, non potere rispondere e controbattere alle accuse era l'aspetto più duro da sostenere per i confinati. L'analisi dell'intreccio fra sfera individuale e contesto generale restituisce uno spaccato chiaro della repressione fascista e demolisce il persistente giudizio sul confino come uno strumento blando e con poche conseguenze sulla vita dei detenuti.
«Nel corso del nostro studio è emerso con sempre maggiore chiarezza un fatto che avrebbe certamente scandalizzato la Chiesa e i cristiani dei trascorsi secoli e che indubbiamente non mancherà di stupirne ancora qualcuno ai nostri giorni: le immagini di Dio cambiano.»
Esiste un Dio dei chierici e uno dei laici, un Dio dei potenti e uno degli umili, un Dio dei poveri e uno dei ricchi. Jacques Le Goff affronta l’argomento in grado di schiudere la piena comprensione del Medioevo. La sua indagine scava tra i testi, le immagini, i rituali dei cristiani medievali e approda a una tesi sorprendente: se ufficialmente Dio era unico, nei fatti le cose stavano altrimenti.
Se venissimo interrogati sull’immagine che di Dio si fanno i nostri contemporanei, probabilmente ce la caveremmo con qualche generico luogo comune, oppure diremmo che la tematica è troppo complessa per essere liquidata in poche parole. Se poi l’interlocutore passasse a chiederci una panoramica dei punti di vista su Dio che hanno avuto gli europei negli ultimi cinquecento anni, finiremmo per sorridere, adducendo l’impossibilità di raccogliere anche solo in un libro un tale ventaglio di prospettive. Eppure ci sono studiosi dotati di una tale capacità di sintesi e una tale chiarezza di divulgazione da riuscire a tratteggiare con serietà ed esaurientemente quale fosse il volto di Dio nei paesi del Sacro Romano Impero su un arco di tempo di quasi mille anni. Uno di questi rari personaggi è Jacques Le Goff.
Enzo Bianchi, “Tuttolibri”
Jacques Le Goff è tra i massimi storici del Medioevo. Dall'inizio della sua carriera non ha mai cessato di esplorare la mentalità medievale e ne ha profondamente rinnovato la storia. La lista delle sue opere e dei riconoscimenti internazionali ricevuti è impressionante. Per i nostri tipi è direttore della collana "Fare l'Europa" e ha pubblicato la maggior parte dei suoi libri.
Il Novecento è una storia ancora in parte viva, con le sue ferite, i suoi drammi, le sue suggestioni politiche e culturali. È stato un secolo unico: senza dubbio il più violento e sanguinario della storia umana. Ha visto lo scoppio della Prima guerra mondiale, con i suoi 10 milioni di morti, i milioni di mutilati e di invalidi; e un secondo conflitto mondiale, che ha cosparso il pianeta di ben oltre 50 milioni di deceduti. Il Novecento è stato l’epoca dei totalitarismi: il fascismo, ma, soprattutto, il comunismo e il nazional-socialismo. Con i loro dittatori, le polizie segrete, gli stermini di massa e i campi di concentramento. Che non sono finiti per sempre, visto che ne esistono tutt’oggi, e non pochi, in Cina, Corea del Nord e forse altrove. Potremmo dire che il Novecento è stato « il secolo senza croce »: l’epoca in cui si è deciso di creare «il regno dell’Uomo», di scacciare definitivamente Dio dalla storia del mondo, dai governi dei potenti, dalla vita degli individui. Per sostituirlo con nuove divinità, ben rappresentate dalle immense statue dei dittatori disseminate per ogni dove, ad esempio, nell’ex Urss. Il Novecento è stato l’epoca delle ideologie che sono diventate dottrine escatologiche di salvezza; dei politici che sono stati acclamati come dei « messia»; della Chiesa di Cristo sostituita, per quanto possibile, dalle chiese-partito. L’epoca in cui la croce di Cristo è stata violentemente avversata, affinché lasciasse spazio alla croce uncinata e alla falce e martello. Non senza che grandi uomini, da Solzenicyn ai ragazzi della «Rosa bianca», sino a Harry Wu ed Armando Valladares, lottassero, come leoni, contro ogni speranza», contro i
moderni Moloch.
Francesco Agnoli, docente a Trento, collabora con Avvenire, il Foglio e il Timone ed è autore di vari libri di storia, filosofia e bioetica. Per Sugarco ha pubblicato Dio questo sconosciuto; Chiesa, sesso e morale (con Marco Luscia) e Santi e rivoluzionari (con Marco Luscia e Alessandro Pertosa).
Dall'antichità a oggi donna Italia è stata via via rappresentazione artistica, letteraria e politica di una realtà geografica e politica dai confini cangianti che, nel corso dell'Ottocento, è diventata nazione. Per descriverne il profilo peculiare, aristocratico e al tempo stesso popolare, in questo libro sono utilizzati versi e immagini: pittura e scultura si intrecciano con la letteratura per rendere più nitidi i particolari di un volto femminile sempre uguale, eppure sempre diverso. Fin dalla sua nascita, nell'ardore della guerra delle tribù italiche contro Roma, e poi ancora nel Medioevo delle divisioni campanilistiche, nell'età rinascimentale e moderna, fino alla stagione dell'Unità e nel secolo appena trascorso, donna Italia si è fatta interprete del clima politico e delle tensioni culturali. Ecco perché, per noi oggi, si presenta come una figura simbolica in grado di narrare aspirazioni, sogni, progetti e fallimenti che hanno avuto durante i secoli passati come teatro la patria Italia, la terra dei padri. Interprete raffinata, donna Italia racconta, forse meglio di qualsiasi altra figura, quel complesso e affascinante passato politico e culturale nel quale si radicano sia il nostro presente che il nostro futuro.
Dagli anni del Terrore staliniano, un'epoca della quale restano pochissimi documenti privati, ci arrivano oggi queste lettere rimaste nascoste per decenni negli archivi sovietici. Sono le voci di alcune vittime che cercavano di sfuggire all'arresto, o si riconoscevano colpevoli, o chiedevano pietà (più raramente giustizia) per sé, i propri cari, il proprio paese. Erano scrittori, intellettuali, militari, diplomatici, dirigenti politici caduti in disgrazia. Si rivolgevano all'unica persona che sarebbe potuta intervenire in loro favore, la stessa, peraltro, cui dovevano la loro condanna: Stalin. Tranne in un caso, non li salvò dal boia nessuna di queste lettere, che restituiscono una visione tremenda della società sovietica negli anni dello sterminio di massa.
Due intellettuali, diversi per formazione, studi e storie culturali, ma uniti dalla volontà di capire, in un dialogo sul loro Paese. Ora che l'ondata di celebrazioni per l'anniversario dell'Unità italiana sta per concludersi, si avverte la necessità di un bilancio: dove siamo esattamente, e in che modo e perché ci siamo arrivati? Solo così potremo renderci conto di come sia forte e realistico il rischio di un declino già altre volte sperimentato nella nostra storia, e quanto sia ancora possibile mantenere aperte le porte del nostro futuro.
Flavio Caroli, storico dell'arte fra i più noti e accreditati in Italia, disegna un grande affresco che parte dal Rinascimento e giunge fino ai giorni nostri. Compendio di oltre trent'anni di riflessioni sull'arte di un grande studioso, il libro appaga quel bisogno di magia nella lettura dell'opera d'arte, che è la grande richiesta del pubblico colto di oggi. Caroli legge e narra, in questo volume, oltre 600 capolavori che appartengono al nostro immaginario. "Si va a vedere l'arte per capire il passato, ovvero per cogliere il senso più profondo della nostra esistenza": a partire da questa considerazione, che spinge il grande pubblico a visitare numeroso le mostre e i musei, Caroli coinvolge il lettore in un racconto avvincente attraverso i cinque secoli chiave della storia dell'arte occidentale.
"Ogni punto della terra - ha scritto Antonio Gramsci - è est e ovest nello stesso tempo, però occidente e oriente sono fatti reali". In questa storia per frammenti, breve e appassionata, tratta da un corso di lezioni alla Sapienza di Roma, il lettore troverà un'esplorazione originale dell'universo ideologico occidentale contemporaneo. È il racconto di storie molto diverse tra loro, tutte ambientate alla frontiera tra oriente e occidente: da “Mimesis”, il capolavoro di Erich Auerbach sulla presentazione della vita quotidiana nella letteratura occidentale (1946), a “Lost in translation”, il film di Sofia Coppola sullo spaesamento di due occidentali a Tokyo (2003). Si parte dalla conquista italiana della Libia, esattamente cento anni fa, fotografata nella “Partenza” di Serra, nei giudizi di Croce, e nel "No! all'invasione" pronunciato alla Camera dall'orientalista Leone Caetani (1913); passando poi per il progetto cinematografico di Clint Eastwood sulla battaglia di Iwo Jima, la rivoluzione di Kemal Atatürk e l'occidentalizzazione della Turchia (è a Istanbul che Auerbach scrive il suo monumento di filologia occidentale), e rifacendo il viaggio a ritroso, da oriente a occidente, dall'Egitto agli Stati Uniti, di Edward Wadie Said, l'autore di “Orientalismo” (1978), che ha legato per sempre immagine europea dell'oriente e conquista coloniale. Per arrivare, provvisoriamente, alla teoria della traduzione di San Gerolamo, a “Ghost dog” di Jarmusch (1999), al suicidio rituale di Yukio Mishima (i giapponesi sono occidentali?) e alle torri gemelle, colonne d'Ercole della modernità. È un percorso a zig zag, imprevisto e accidentato, nel cantiere rumoroso dell'occidente come ideologia, sempre in movimento e indescrivibile, alla ricerca di confini e di mappe, per orientarci nella terra di nessuno in cui ci troviamo.
Nel corso degli ultimi due decenni l'equilibrio geopolitico dell'area adriatica ha conosciuto un repentino cambiamento: la fine della Jugoslavia comunista ha accelerato la reintegrazione nel contesto europeo dei popoli slavi del sud e il ristabilimento di antichi legami fra le due sponde del mare Adriatico. Da campo di battaglia fra Stati nemici e sistemi ideologici contrapposti esso si è trasformato in uno spazio pacifico in cui prevale la cooperazione politica e lo scambio culturale e commerciale. L'Istria croata e la Puglia hanno saputo cogliere meglio di altre regioni le opportunità scaturite da tali mutamenti, dimostrando un dinamismo ed una vitalità promettenti. Grazie al contributo di docenti dell'Università degli studi di Bari Aldo Moro e dell'Università Juraj Dobrila di Pula/Pola, il presente volume offre interessanti strumenti di conoscenza e di riflessione sulle prospettive e sulla rilevanza strategica dei rapporti di scambio e collaborazione tra istriani e pugliesi.