
Questa ricerca, che si è sviluppata nell'arco di tre anni, riguarda la ricostruzione del tracciato viario romano tra Messina e Siracusa, quella strada che Cicerone fugacemente cita come via Pompeia. Poiché di essa non esiste altra traccia nelle opere antiche, l'indagine è stata soprattutto concentrata sulla ricognizione archeologica, al fine di individuare sul terreno tracce visibili dell'antica via. L'ipotesi finale è stata successivamente "costruita" da un lato, sull'ubicazione delle emergenze archeologiche note da bibliografia e, dall'altro, sull'analisi diretta del territorio attraversato dalla strada, che si snoda attraverso tre province e oltre trenta comuni, per una lunghezza totale di circa 150 chilometri. Il testo è arricchito con numerose illustrazioni, con carte analitiche e corredato da tavole, redatte sulla base della cartografia IGM, che sintetizzano il presunto andamento del tracciato viario.
A differenza della tradizionale interpretazione "risorgimentista", che sottolinea la discontinuità tra la tirannide e la libertà sabauda, i saggi di questo volume intendono dimostrare come l'eccezionale crescita economica e sociale di Catania trova le sue profonde radici proprio nell'Ottocento borbonico, quando l'elevazione a Capovalle e la formazione di una robusta borghesia delle professioni e del commercio proiettano la città a terzo polo urbano della Sicilia. Si spiegano così processi in apparenza contraddittori, come la prudenza politica dell'élite locale (sospesa fino all'ultimo tra lealismo al cadente regime ed adesione al nuovo Stato unitario), la vitalità "patriottica" del mondo giovanile universitario e l'ampiezza della rete cospirativa provinciale, autentico "motore" dell'unificazione nazionale. La ricerca apre scenari ancora inesplorati come la risposta di "genere" al crollo dello Stato, le sfide amministrative dei primi Sindaci "italiani" e la reazione dei "vinti" che tra clandestinità ed esilio maltese tentano un impossibile ritorno al passato.
Sicilia Risorgimentale vuole raccogliere il contributo attuale di studiosi siciliani e non, per focalizzare il contributo specifico dei patrioti siciliani nella fase pre unitaria, e nella preparazione dell'impresa dei Mille. A questo contributo storiografico si lega il vasto movimento culturale romantico-risorgimentale che ha permeato la temperie culturale nella letteratura, nell'arte, nella filosofia, nelle scienze, nel diritto fino a creare una coscienza nazionale maturata definitivamente a partire dai moti del 1848 e dal loro fallimento. Importante il contributo di questi precursori preunitari sul concetto di federalismo, di costituzionalismo, di volontarismo e di partecipazione popolare, poiché su questi principi si fonderà il vasto movimento risorgimentale che in Sicilia, a differenza di altre regioni italiane, avrà carattere di massa, trascinando in questo moto vorticoso altre realtà titubanti del meridione d'Italia nei confronti della monarchia sabauda.
Nei mesi precedenti la formazione del Regno d'Italia, la classe dirigente, ponendo sempre al centro l'alto obiettivo dell'Unità, si confrontò e si scontrò su temi ancora oggi al centro dell'agenda politica: accentramento e decentramento, autonomismo e federalismo. Tramite l'esame dei materiali di ricerca sparsi, dei carteggi dei protagonisti e del recente Epistolario di Cavour, l'autore indaga sulla complessa vicenda storica, rileggendo le intuizioni di insigni storici, ma senza la vis polemica che ha contraddistinto il dibattito storiografico in altre occasioni celebrative.
Nell'ambito delle attività organizzate in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, l'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano si propone di fornire un contributo critico che iscriva il processo unitario nelle coeve vicende della democrazia europea. Il volume, attraverso l'analisi dei processi istituzionali e delle elaborazioni teoriche di significativi esponenti del Risorgimento, intende offrire spunti di riflessione sulla transizione dal Regno Borbonico all'Unità d'Italia. In questa ricostruzione degli avvenimenti che precedono e seguono l'unificazione, particolare attenzione è rivolta alla Sicilia, ai conflitti politici ed istituzionali che la investono ed alle tensioni sociali che si pongono alle origini della drammatica vicenda dei fatti di Bronte.
Il Cristianesimo è una religione politica o ha introdotto un principio di essenziale separazione tra sfera religiosa e sfera politica? Il tema è stato molto dibattuto nei tempi recenti da storici che sono andati a verificare i propri assunti alle origini del movimento cristiano. Invece di discutere il problema dell'essenza, Vittorio Frajese esamina il problema in un periodo determinato della storia europea: l'Italia del '500 e del '600. Comunque sia della sua essenza, è infatti certo che nell'Italia moderna la chiesa è stata un'istituzione politica e la religione è stata parte essenziale del governo degli uomini e della società. Il libro ricostruisce dunque alcuni aspetti essenziali del rapporto tra politica e religione nell'Italia moderna raccogliendolo in quattro grandi temi: la discussione sui rapporti tra potere ecclesiastico e potere civile avvenuta tra '500 e '600; le strategie pratiche e teoriche da due oppositori della chiesa controriformistica: Paolo Sarpi e Ludovico Zuccolo; le forme della censura; ed infine le specifiche categorie politico-religiose forgiate dalla cultura della Controriforma. Frajese ne individua quattro principali che hanno più profondamente inciso sulla storia italiana: il gesuitismo, il machiavellismo, l'ateismo e la "superstizione". Seguendo il filo di questi quattro concetti creati, o essenzialmente caratterizzati, nel corso della Controriforma, il libro indaga le categorie dello spirito italiano.
L'opera costituisce la prosecuzione del vasto progetto 'Nuovo Liruti' iniziato nel 2006 con la pubblicazione del primo volume dedicato al medioevo raccogliendo le biografie dei personaggi illustri che hanno contribuito a definire la fisionomia culturale del Friuli in età veneta, dal 1420 al trattato di Campoformido del 1797 che segnò la fine del potere della Repubblica di Venezia. Strumento fondamentale di consultazione storico-letteraria e biografica, questo secondo volume presenta circa 1000 voci di personaggi della cultura friulana, redatte da oltre 120 studiosi italiani.
"È notorio" scriveva Massimo d'Azeglio pochi giorni dopo la proclamazione dell'unità d'Italia "che, briganti o non briganti, i napoletani non ne vogliono sapere di noi e che ci vogliono sessanta battaglioni, e pare che non bastino, per tenerci quel regno. Forse c'è stato qualche errore..." Era il 1861. L'Italia non era ancora fatta, anche se era già stata proclamata regno. Sfumato il progetto federalista di Cavour, il sogno unitario di Garibaldi e di Mazzini tardava a realizzarsi. Per tutto il decennio successivo il neonato Regno d'Italia, privato della lucida guida del "tessitore", morto anzitempo, fu affidato a uomini che non erano all'altezza del grande statista. Invece di attuare l'ampio decentramento regionale da lui auspicato, si preferì rinviarlo "provvisoriamente" e "piemontesizzare" il paese, trasferendo pari pari lo Statuto albertino del vecchio Regno di Sardegna nelle regioni annesse. Le insorgenze che seguirono nell'Italia meridionale furono scambiate per mero brigantaggio da liquidare con la forza, ignorando le motivazioni sociali che le alimentavano. Ne derivò una sorta di guerra civile che insanguinò per anni il paese. Inoltre la rozza campagna anticlericale, pur giustificata dalla stolta politica temporale di Pio IX, divise gli italiani anche nel campo della religione, l'unico collante che avrebbe potuto tenerli insieme.
Il volume offre importanti e originali spunti di riflessione sul Risorgimento e sulla nostra identità italiana. Al di là della mitologia e delle immagini retoriche con cui si continua a parlare oggi del Risorgimento l'autore inserisce il fenomeno del Risorgimento, da un punto di vista culturale, all'interno del processo rivoluzionario che segna la modernità, riuscendo così a leggere in profondità gli avvenimenti e a mostrare, superando le immagini distorte di una certa storiografia, la posizione della Chiesa, soffermandosi soprattutto su Pio IX e Leone XIII. Vengono così sottolineati: l'apporto decisivo del cristianesimo per il formarsi della stessa identità italiana; le ragioni dello scontro con lo Stato italiano; il contributo decisivo del Magistero sociale per la difesa della libertà della persona e la promozione di un'autentica democrazia.