
La scommessa del volume di Tomaso Montanari è quella di non rinunciare ai vantaggi, e al fascino, della sintesi interpretativa che tale categoria porta con sé (con la sua pretesa di definire tanto un'epoca quanto un'estetica e una sensibilità) senza per questo sacrificare la conoscenza puntuale delle singole opere d'arte. Il secolo di Caravaggio e Rubens, di Bernini e Borromini, di Poussin e Velázquez viene così percorso per intero, tenendo come chiavi interpretative la centralità dello spettatore, il rapporto con l'arte antica e con quella rinascimentale, la diffusione geografica del nuovo stile, la tensione tra funzione religiosa e libertà dell'artista, il peso degli equilibri politici e il ruolo dei grandi mecenati. Mettere in evidenza la varietà e la contraddittorietà che segnano ciò che chiamiamo arte barocca significa mettere ancor più in evidenza le tante ragioni che ci spingono a vedere proprio in quel periodo le radici della nostra modernità.
7 febbraio 1945, mercoledì, ore 14.30. Nelle malghe di Porzùs, in provincia di Udine, ha sede il comando Gruppo brigate est della divisione Osoppo, formata dai cosiddetti "fazzoletti verdi" della Resistenza: partigiani cattolici, azionisti, indipendenti. Giungono in zona cento partigiani comunisti, agli ordini di Mario Toffanin sotto le false spoglie di sbandati in cerca di rifugio dopo uno scontro con i nazifascisti. In realtà è una trappola. Ventidue partigiani della Osoppo - fra essi il comandante della Brigata, Francesco De Gregori - vengono assaliti e uccisi. Nel 1954 la Corte d'Assise di Lucca irrogherà tre ergastoli e 777 anni complessivi di prigionia ai responsabili. Ma i tre autori principali dell'eccidio sono già fuggiti, in Jugoslavia. Toffanin non rientrerà più: morirà là, coi suoi molti segreti. In occasione della recente discussione sull'attribuzione alle malghe di Porzùs dello status di monumento nazionale, i saggi contenuti nel volume inquadrano nel suo contesto storico quell'episodio, sin qui nella sua genesi parecchio oscuro. Il libro si apre con un contributo di Tommaso Piffer su "Strategia e politiche delle formazioni partigiane comuniste italiane", e in esso si segnalano i saggi "La controversa memoria di Porzùs", di Elena Aga Rossi, "Violenza politica e presa del potere in Jugoslavia", di Orietta Moscarda, "Il PCI fra via nazionale e modello jugoslavo", di Patrick Karisen, "La violenza del dopoguerra al confine fra due mondi", di Raoul Pupo.
La centralità di Roma, il suo ruolo fondamentale per gli svolgimenti della cultura di età gotica in Italia, la sua funzione di melting pot tra il nord Europa e il Mediterraneo, e infine il suo peso per la "rivoluzione del 1300" e per la formazione di Giotto: sono i temi che motivano la discussione sul Duecento romano, il secolo che ha visto più novità e scoperte durante il Novecento, e che continua in questi anni ad apparire come una sorta di inesauribile vaso di Pandora, la cui abbondanza speriamo di mostrare in questo volume.
Davide Rodogno esamina l'emergenza di una pratica d'intervento nei conflitti, chiamata intervento d'umanità o intervento umanitario a livello internazionale, dalla caduta di Napoleone sino alla prima guerra mondiale. Contrariamente al luogo comune che vuole che gli interventi umanitari siano un'invenzione recente, Rodogno dimostra che la loro storia risale ad almeno due secoli fa quando, sotto l'egida di un sistema internazionale chiamato il "Concerto europeo", le grandi potenze europee si sono arrogate il diritto morale e la legittimità politica di intervenire per salvare popolazioni straniere vittime di massacro, atrocità e sterminio. I casi di intervento riguardano specificamente popolazioni cristiane vittime di violenze commesse da regimi "barbari", come quello turco, che violavano gravemente "il diritto alla vita". Rodogno esplora la percezione politica, legale e morale che gli europei svilupparono dell'impero ottomano e le ragioni per le quali quest'impero fu escluso dalla cosiddetta "famiglia delle nazioni". Un'analisi storica inedita di questa pratica internazionale controversa e delle sue conseguenze sulle popolazioni civili.
L'attuale crisi economica pone l'esigenza, finora poco avvertita, di interrogarsi sul modo in cui eventi simili siano stati, in passato, affrontati e percepiti. Il libro analizza tre momenti salienti della storia economica dell'Italia contemporanea: la depressione di fine Ottocento, la recessione tra le due guerre mondiali e quella causata dagli shock petroliferi degli anni Settanta del secolo scorso. Tre fasi destinate a influenzare profondamente la storia sociale e politica oltre che gli assetti finanziari e produttivi dell'Italia. Paolo Frascani analizza gli esiti economico-istituzionali, senza tralasciare i mutamenti della sensibilità collettiva e del clima culturale. In tutti e tre i momenti, emerge che dalle crisi si può uscire cambiando il modo di governare l'economia: la crisi bancaria di fine Ottocento o quella degli anni Trenta del secolo scorso, sono state superate modificando il sistema delle regole che fino ad allora avevano governato l'erogazione delle risorse e i rapporti di forza tra Stato e capitalismo privato; mentre dalla crisi degli anni Settanta scaturisce una nuova percezione delle piccole realtà produttive del Paese. La ricerca di Paolo Frascani rileva gli strumenti messi in campo dalla classe politica liberale, dalla tecnocrazia fascista e dall.Italia del compromesso storico per riavviare il meccanismo dell.economia e quali effetti hanno prodotto le crisi sugli assetti sociali, le mentalità e i saperi.
I secoli altomedievali videro un crescente investimento economico nella commemorazione dei defunti, espresso dai ricchi corredi depositati nelle sepolture. Un fenomeno in genere spiegato con l'arrivo dei barbari, portatori di una cultura radicalmente diversa da quella del mondo romano, ma che in realtà, come dimostrato nel volume, riflette la competizione sociale presente nelle società post-romane, fortemente instabili. Lo studio dei resti funerari in questa prospettiva permette di comprendere le strategie di commemorazione adottate dai parenti in lutto: organizzare il funerale, scegliere la tomba, il luogo e gli oggetti da riporre significava anzitutto costruire la memoria degli antenati, definendo i propri legami affettivi e sociali. Le sepolture altomedievali, con i loro preziosi corredi, hanno sempre stimolato l'immaginario collettivo, che ne ha ricavato interpretazioni diverse, spesso contrastanti, a seconda delle epoche e dei contesti. Obiettivo del volume è dunque sezionare e analizzare, attraverso fonti scritte, archeologiche e antropologiche, le diverse patine interpretative: ossia spiegare come sono state lette le tombe nel recente passato, e perché sono state lette proprio così; capire che cosa volevano, invece, comunicare attraverso di esse le società altomedievali; quali informazioni sulla vita dei bambini, degli uomini e delle donne vissuti allora racchiudono i corpi dei defunti.
Dalle origini della civiltà minoica alla fine dell'età ellenistica: quasi due millenni trascorrono dall'antica Creta all'ultimo tentativo di ribellione ai Romani. Un periodo in cui nascono e fioriscono idee e valori in cui possiamo riconoscerci: dai modelli di comportamento della mitologia greca alle forme di ragionamento e alle dimostrazioni geometriche, dal sistema politico della democrazia ateniese alla versione eroica dello sport, dall'educazione che pone le proprie radici nella paideia greca alla ricerca continua di dare ordine alla realtà. Molto di quello che noi ancora oggi viviamo ci rimanda alla civiltà dell'antica Grecia.
La serie di eventi the segna l'inizio della Seconda Guerra Mondiale ha lasciato il mondo intero frastornato: in questo clima di incertezza, un ristretto gruppo di persone si trova a fronteggiare scelte decisive, da cui può dipendere il successo o la sconfitta, lan Kershaw ripercorre la serie di decisioni fatali prese tra il maggio 1940 - quando la Gran Bretagna decide di continuare a combattere invece di arrendersi - e l'autunno del 1941 - quando Hitler appoggia la "Soluzione Finale" della Questione Ebraica. A Londra, Tokyo, Roma, Mosca, Berlino e Washington, politici e generali devono affrontare la crisi che sta per consumarsi contando su poche informazioni e gravi problemi logistici, economici e militari. Questo libro racconta i retroscena di quelle scelte, entrando nelle stanze del potere al cospetto dei leader di allora: la risposta combattiva di Churchill alla campagna francese, l'ordine di Hitler di invadere l'Unione Sovietica mentre Stalin presta il fianco all'Operazione Barbarossa, la politica degli aiuti militari portata avanti da Roosevelt, la scelta del comando giapponese di attaccare gli Stati Uniti pur prevedendone le nefaste conseguenze. Decisioni che hanno segnato le vite di milioni di persone e cambiato irrimediabilmente il futuro del mondo.
La conquista del Sabotino, nei pressi di Gorizia, rappresentò un formidabile successo tattico e permise all'esercito italiano di espugnare la testa di ponte goriziana e di scardinare l'intero apparato difensivo creato da Boroevi intorno al capoluogo isontino. Era più di un anno che le fanterie italiane tentavano, inutilmente, di cacciare gli avversari dal monte, che era, col tempo, diventato un'autentica fortezza. Nell'agosto del 1916, grazie a una preparazione accurata e alla perfetta cooperazione tra tutte le armi, dall'artiglieria al genio e dall'aeronautica alla fanteria, il terribile baluardo finalmente cadde in brevissimo tempo e con perdite irrisori. La battaglia per il Sabotino dimostra come una logistica accurata e un approccio scientifico all'obiettivo contino più del numero o dei mezzi dispiegati e forma un tragico contrasto con la tattica suicida con cui le fanterie del regio esercito furono condotte all'assalto delle ben munite trincee austroungariche, nel corso delle prime cinque battaglie dell'Isonzo.Il libro contiene un testo di Pierluigi Lodi.
"A questi motivi di recriminazione si aggiunsero altri meno nobili, che venivano dal costume della vecchia Italia: la consuetudine di scorgere nel governo un'autorità estranea o addirittura nemica, nella polizia non la tutela dell'ordine e della libertà, bensì l'esoso strumento dell'oppressione, nei tributi la imposizione arbitraria, nel servizio militare una mortificante servitù, nella legge un ordine estrinseco cui era lecito e bello sottrarsi". Nel periodo confuso e terribile dell'estate del '43, un intellettuale italiano, concentrato fino ad allora sui propri studi di storia del pensiero, avverte il bisogno di una riflessione eminentemente politica sul senso ultimo della storia d'Italia. Ne nasce un saggio rapido eppure pensoso, che in poche pagine di eccezionale pregnanza coglie una ad una le cause di lungo corso di quei mali pubblici della nazione ancora oggi ben vivi tra noi.
Le moderne dittature del XX secolo hanno dato grande impulso a nuove forme di comunicazione politica, che prevedevano il coinvolgimento delle masse, divenute, dopo la Prima guerra mondiale, un problema, ma anche un'opportunità per allestire nuove forme di governo che facessero appello a parole d'ordine forti e suggestive. Le dittature si sono servite di tutti gli strumenti disponibili e hanno attinto in particolare a quelli più moderni: il cinema e la radio. Si conoscono poco i precisi meccanismi filmici e registici di così forte impatto emotivo ancora oggi. La monografia offre nuove chiavi di analisi del rapporto fra politica delle immagini e dittatura, prendendo in esame i cinegiornali e le modalità con le quali questo strumento comunicativo ha proposto al pubblico la figura del dittatore. L'autrice ha esaminato fotogramma per fotogramma centinaia di cinegiornali italiani e tedeschi, dopo avere selezionato alcune fasi temporali delimitate particolarmente significative: la fase di ascesa dei due regimi, quella del consolidamento totalitario e il primo triennio della guerra.