
Rachele. Storia lombarda del 1848, scritto in francese da Cristina di Belgiojoso e qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, è il romanzo di un “amore rivoluzionario” che ruota intorno alle vicende di una famiglia di contadini nel periodo dei moti di Milano.
La principessa compose il breve romanzo all’indomani dei suoi cinquanta anni, dopo il ritorno a Milano dall’esilio orientale, successivo alle burrascose vicende della Repubblica romana (1849) che l’avevano vista protagonista in qualità di direttrice degli Ospedali militari.
La storia si svolge in una fattoria della Lombardia in pieno Risorgimento e porta all’attenzione dei lettori una serie di tematiche care all’autrice e proprie di quegli anni attraversati da fortissime tensioni politiche e sociali: la mentalità della famiglia patriarcale, la condizione femminile, il pensiero cattolico, l’impegno dei patrioti e la condizione dei rifugiati.
In anni recenti si è assistito a un moltiplicarsi di studi e contributi importanti sulla complessa personalità di Cristina di Belgiojoso, ormai liberata dall’etichetta di donna fatale e bizzarra: in questo processo di risarcimento e di restituzione storico-critica si colloca l’edizione italiana di Rachele.
A lungo si è considerato il fascismo come il prodotto della crisi europea successiva alla glande guerra. In questa sua fondamentale opera Vivarelli rilegge invece la storia dell'Italia postunitaria mostrando che il fascismo è il frutto, non la causa, delle debolezze dello Stato liberale, incapace di gestire la propria trasformazione in Stato democratico dopo l'avvento del suffragio universale. Un fallimento le cui ragioni vanno ricercate indietro nel tempo, anche se fu effettivamente la guerra a creare le condizioni perché esso si manifestasse con effetti dirompenti. Orientato da tale ipotesi interpretativa e sorretto da una rigorosa documentazione, questo lavoro è molto più di una cronaca delle vicende italiane tra il 1918 e il 1922: al di là della guerra, infatti, il problema delle origini del fascismo trova qui la sua definizione nell'intero contesto della storia politica, istituzionale e sociale dell'Italia dopo l'Unità.
L'incredibile odissea di una giovane ragazza di vent'anni nell'inferno della Shoah e nel cuore del Terzo Reich per ritrovare Julius, l'uomo che ama. Un viaggio lungo 3.300 chilometri, da Zagabria a Budapest, da Dachau a Norimberga, sfidando la polizia segreta, gli eserciti, la delazione, le frontiere, i bombardamenti. La determinazione di Olga nell'inseguire il suo uomo per un amore che ha ben pochi ricordi concreti - un bacio sulle labbra, qualche serata all'Opera, poco di più - non si arresta di fronte a nulla. A nessun impedimento. A nessuna beffa del destino. Nemmeno ai cancelli di Buchenwald, il campo dell'orrore.
Che cos'hanno in comune la moderna Istanbul, con i suoi 12 milioni di abitanti, e la capitale dei tre imperi - romano d'oriente, bizantino e ottomano - che l'ha preceduta? In questo sintetico profilo, che spazia dagli insediamenti dei primi coloni dorici alla Costantinopoli bizantina, dalla Istanbul ottomana alla megalopoli contemporanea, la vicenda millenaria di una città che ancora oggi esibisce agli occhi del viaggiatore la stratigrafia complessa e affascinante della sua storia.
Nella sua opera Cipolla si è spesso interrogato sul ruolo della cultura nello sviluppo delle società. Con questo scritto pionieristico ha aperto la strada agli studi sull'alfabetizzazione, sulla scuola popolare, sull'istruzione tecnica, sul contributo dell'istruzione alla crescita economica. Una ricostruzione che ci fa vedere meglio come ancora oggi, in ampie realtà del mondo in via di sviluppo, il problema dell'istruzione resti uno dei fattori chiave del decollo economico.
Fin dalla sua apparizione sulla scena letteraria, verso la fine del XII secolo, il Graal si presenta come un oggetto inafferrabile, in continua trasformazione: grande piatto contenente un'ostia, vaso in cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Cristo, pietra discesa dal cielo. Ma le metamorfosi del Graal non finirono con la sua storia medioevale. Dopo una lunga eclisse, il mito fu recuperato in maniera originale da alcuni autori ottocenteschi e in particolare dal suo "inventore" moderno, Richard Wagner: il suo Parsifal è all'origine di un nuovo, vastissimo "ciclo del Graal", che comprende opere teatrali, narrative, storiche (o pseudostoriche), cinematografiche e altro, un ciclo al quale appartengono anche recenti successi come "Il Codice da Vinci" di Dan Brown. Sintesi di un ventennio di ricerche sulla letteratura cortese e cavalleresca e sui grandi miti che essa lasciò in eredità alla cultura europea, il volume offre una panoramica sull'evoluzione del mito del Graal nel medioevo e sul suo contesto letterario e religioso, proponendo anche un'indagine critica sulle sue riscritture e interpretazioni moderne e su molti luoghi comuni che circolano al suo riguardo nella letteratura commerciale e nei mass media.
Creare artificialmente la vita - un'utopia che ha sempre alimentato l'immaginazione umana - è divenuta una concreta realtà a partire dal Settecento, quando la scienza ha cominciato a investigare il meccanismo della generazione. In questo libro Emmanuel Betta ricostruisce la storia della riproduzione artificiale dell'uomo, dai primi esperimenti dell'abate Spallanzani alla messa a punto di soluzioni efficaci tra Otto e Novecento, fino agli sviluppi più recenti dell'ingegneria genetica, con particolare attenzione alla realtà italiana che ha avuto un ruolo importante in questa vicenda.
Il bilancio di un secolo della nostra letteratura nelle pagine di uno dei maggiori critici del Novecento. Dal Futurismo all'Ermetismo, da Pascoli a Montale, Contini imbastisce un canone della cultura italiana più recente, annoverando al suo interno non solo poeti e narratori, ma anche scrittori di prosa scientifica, critica e politica, nonché i movimenti collettivi italiani e stranieri che hanno contribuito a tracciarne le rotte poetiche. Introduzione di Cesare Segre.
A Jalalabad, in Afghanistan, un distaccamento delle forze speciali della marina americana si prepara a entrare in azione: controllano il funzionamento delle armi portatili, verificano l'efficienza dei collegamenti radio, provano i mirini laser e i visori notturni, regolano le cinghie di imbragature ed elmetti. A Washington, Obama riunisce nella Situation Room della Casa Bianca le massime cariche di esercito e servizi segreti per passare in rassegna un'ultima volta il piano d'assalto: per il prestigio del Paese e del suo governo la posta in gioco è colossale. È il 1 maggio 2011: dopo mesi di sorveglianza e dieci anni di indagini, analisi e preparativi sempre più sofisticati, due Black Hawk silenziati e verniciati di nero attraversano nel buio il confine del Pakistan verso Abbottabad per chiudere la caccia iniziata all'indomani dell'undici settembre. Meno di un'ora dopo, uno dei militari trasmette via radio il messaggio in codice: "Geronimo E.K.I.A." enemy killed in action. L'America ha ucciso bin Laden. In questo reportage, Mark Bowden ripercorre la coreografia dell'intervento. Attingendo a fonti esclusive presso Casa Bianca, Cia e Pentagono svela retroscena non solo dell'operazione ma della guerra al terrorismo: dalla "vena madre" di documenti rinvenuta nel "raid di Sinjar" del 2007 all'identificazione di un misterioso "Passeggiatore" dietro le mura di cinta del complesso di Abbottabad; dagli interrogatori dei prigionieri di Guantanamo alle simulazioni dei Navy Seals in Nevada.
Ludwig von Mises, l’autore di questo libro, è stato uno dei grandi liberali del Novecento. Figlio della Grande Vienna, è stato maestro di Friedrich A. von Hayek e di tanti altri giovani che, dopo la Grande Guerra, si sono trovati a cercare un orientamento culturale e politico. In fuga dal nazismo, Mises si è dapprima rifugiato a Ginevra e poi a New York. In nome dello Stato fa parte degli scritti del periodo ginevrino, che precede e segue di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale. È uno straordinario documento, tramite cui è possibile “rileggere” uno dei momenti più tragici della storia d’Europa. È un testo agile, in cui una prosa nitida e diretta getta luce sull’incubazione del nazismo, sui suoi legami con la cultura interventistica dei prevalenti circoli accademici tedeschi. Dopo la conquista del potere da parte di Lenin, Mises aveva mostrato come l’impossibilità del calcolo economico, in regime di pianificazione, avrebbe portato al crollo del comunismo. Ed è toccato a lui fornirci una delle più immediate e penetranti analisi del nazismo, che non è stato una “terza soluzione” fra capitalismo e comunismo. La cooperazione sociale si può svolgere in maniera volontaria: la via intrapresa dalle società libere. E si può svolgere in maniera coercitiva: con la pianificazione comunista o con un generalizzato sistema di interventi autoritativi. Nel caso dell’interventismo, la proprietà privata non viene formalmente soppressa, ma viene svuotata di contenuto: mediante una fitta trama di provvedimenti amministrativi, la libertà di scelta individuale e l’allocazione competitiva delle risorse vengono soppresse. È esattamente quanto ha fatto il nazismo, che ha perciò avuto una base economica congruente con la sua ideologia totalitaria. La vicenda hitleriana non è una figlia, sia pure illegittima, del liberalismo. È un prodotto di quell’avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, che è il tratto comune di tutti i membri della famiglia del totalitarismo. Il libro di Mises ha una grande utilità. Non serve solo a spiegarci il perché delle gravissime tragedie del Novecento. Esso ci aiuta pure a porre in chiaro le conseguenze economiche, sociali e politiche di ogni tipo di interferenza del potere pubblico. E rende in tal modo trasparente quel che si cela dietro molte delle “pratiche” politiche del nostro tempo. L’interventismo è la malattia professionale di governanti, militari e burocrati. I governi sono liberali solo quando sono costretti dai cittadini.
Questo volume, in cui Rosario Romeo raccolse, per sollecitazione di Giovanni Spadolini, quattro importanti saggi sulla storia d’Italia, è un documento importante non solo nella vicenda intellettuale di uno dei maggiori storici italiani del Novecento, ma anche nella storia dell’idea di nazione e della prospettiva europeistica dopo la Seconda guerra mondiale. Romeo aveva un’alta idea dei valori nazionali e di ciò che l’idea di nazione ha significato nella storia dell’Europa moderna. La sintesi della storia nazionale italiana offerta qui lo dimostra appieno con una felice e realistica rappresentazione degli elementi e delle fasi che caratterizzano la complessa realtà storica italiana dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente ai nostri giorni. La seconda parte del volume è fondata sulla problematicità dei valori nazionali e sulla crisi della posizione dell’Europa nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale, ma è, insieme, animata dalla speranza di un vigoroso sviluppo dell’idea e delle istituzioni di una nuova Europa unita.
Nella storia politica dell'Italia unita - spesso contrassegnata da un'inequivocabile tendenza al trasformismo ideologico dei suoi protagonisti non è poi così azzardato rintracciare un evento, un fatto, una data capaci di segnare un vero e proprio spartiacque tra un "prima" e un "dopo". Quella presa in considerazione da Antonio Di Pierro in questo libro è una data che ha condizionato l'intera storia europea del Novecento, inaugurando il secolo delle dittature. Il 28 ottobre 1922 è un sabato molto piovoso. Benito Mussolini - che ha fondato i Fasci italiani di combattimento appena tre anni prima, dopo essere stato un leader del massimalismo socialista - ha scatenato l'insurrezione armata: le sue camicie nere sono state mobilitate e marciano su Roma per conquistare il potere con la forza. "Marciare", un termine improprio. Il grosso dei fascisti conta di arrivare nella capitale in treno. Gli squadristi si sono impadroniti di numerosi convogli - soprattutto in Toscana e nella notte li hanno messi in movimento verso l'obiettivo prefissato. Obiettivo che, almeno per quella giornata, non riescono a raggiungere perché i militari hanno divelto i binari o fatto deragliare alcuni vagoni, tagliando così alle colonne fasciste la strada verso la capitale. A quel punto, la marcia su Roma può dirsi conclusa con una cocente sconfitta. Il governo si è riunito in piena notte e ha approvato lo stato d'assedio. L'esercito ha assunto i pieni poteri...