
Redatto da una gruppo di studiosi del Centre d'histoire et civilisation de Bysance (CNRS-Collège de France) e curato da un'importante bizantinista italiana, questo primo volume, di una serie di tre, è dedicato al periodo fondativo dell'Impero: dall'inaugurazione della capitale di Costantino sul sito dell'antica Bisanzio nel 330 fino ai primi anni della conquista araba che definisce i limiti territoriali ridotti dell'Impero (termine del regno di Eraclio nel 641, arrivo degli eserciti arabi in Siria e Palestina e inizio del Medioevo bizantino). Negli ultimi trent'anni molte prospettive e numerosi dati storici sono stati messi in discussione dai progressi avvenuti in campo archeologico, epigrafico, numismatico e papirologico. Questi nuovi risultati sono qui affiancati alle testimonianze delle fonti tradizionali in modo da fornire una sintesi concisa, il più possibile completa, della storia politica e militare, religiosa, culturale e sociale bizantina. Una serie di capitoli è poi dedicata alle principali regioni dell'Impero, dai Balcani all'Egitto. Evitando le semplificazioni legate alla "decadenza" e al dirigismo statale, vengono delineate con chiarezza le cause della prosperità dell'Oriente romano, ma anche quelle della regressione che si avvia nel 550.
Nei secoli VII-XIII l'epoca medievale vede la trasformazione del vasto impero multietnico in uno Stato ricentrato sulla popolazione greca, anche se ancora accoglie minoranze slave e armene e non ha ancora perduto tutte le province italiane. I sovrani bizantini mettono in atto un formidabile rinnovamento che rende Bisanzio la più grande potenza cristiana dei secoli X-XI, prima di essere invasa da un nuovo avversario venuto dalle steppe d'Oriente, i turchi. Le istituzioni, le gerarchie, gli eserciti sono più di una volta modificati per far fronte a nuove minacce o in vista di espansioni. Lo stesso potere imperiale si trasforma in un sistema familiare e dinastico. L'Impero trova la sua identità in un cristianesimo ortodosso, che si fonda, dopo il rifiuto dell'iconoclastia, sulla devozione a immagini che ispirano un'arte religiosa specifica. La chiesa bizantina si allontana da quella romana e allarga la sua sfera di influenza verso Russia e Bulgaria. Durante questo periodo, la cultura bizantina si riappropria della tradizione ellenica pagana e si convince della propria superiorità. La potenza militare ed economica dei latini, che culminerà nella presa di Costantinopoli del 1204, spinge i bizantini verso un rimodellamento identitario che sfocerà nello "Stato-nazione" dell'epoca successiva, e che sarà argomento del terzo e conclusivo volume.
A mezzo secolo dalla pubblicazione della classica "Storia delle crociate" di Steven Runciman, "Le guerre di Dio" di Christopher Tyerman è oggi, per la meticolosità e l'approccio innovativo, il testo di riferimento sull'argomento. Non solo in quanto prende in considerazione le acquisizioni più recenti della ricerca storica, ma anche perché fa i conti con una mutata sensibilità culturale. L'autore, medievista di Oxford, colloca innanzitutto gli eventi in una cornice più vasta e realistica, che tiene conto di tutte le forze che portarono alle crociate: sia quelle politiche e religiose, sia quelle culturali, economiche, sociali, demografiche. Dalla pressione araba in Spagna, ai movimenti ereticali in Francia, alle sacche di paganesimo nei paesi baltici: per la prima volta in maniera tanto esaustiva, le crociate vengono viste come l'evento globale che furono, un qualcosa che va ben al di là delle campagne militari in Terrasanta. Una vera e propria visione del mondo, che ha definito la mentalità europea tra l'anno Mille e la" scoperta" dell'America. Tyerman porta alla luce l'intreccio di aggressività e paranoia, utopia e miopia che si materializzò nelle guerre (in Medio Oriente o nel "fronte interno", contro i movimenti ereticali), raccontando le storie degli individui che vi presero parte, dai personaggi celebri a quelli che nessuna cronaca riteneva degni di riportare ma che ugualmente contribuiscono a questo grandioso, paradossale affresco storico.
Atti dei Convegni Internazionali di Studi 2003-2004 (Rimini, Viterbo, Ancona, Allumiere, Roma) su papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini.
Il volume di MacCulloch si inserisce nella migliore tradizione della storiografia inglese per la capacità di tracciare un grande affresco (oltre due secoli di storia europea) senza per questo rinunciare al gusto per il dettaglio, per la digressione, per l’aneddoto, talvolta anche umoristico o salace. Il risultato complessivo è un libro di grande leggibilità a dispetto della sua mole, dove, come in un romanzo di Dickens, tutta una serie personaggi storici di primo piano – Erasmo, Lutero, Zwingli, Loyola, la regina Margot, Filippo II… – si mescola a una pletora di personaggi minori, talvolta oscuri. Il lettore di romanzi storici ritroverà in Riforma le atmosfere di Q di Luther Blisset o del ciclo di Eymerich di Valerio Evangelisti. Quello di saggistica, che ha letto con interesse i libri di Carlo Ginzburg rincontrerà in queste pagine molti dei temi cari a questi autori: stregoneria, inquisizione, sesso, peccato, soprannaturale, disquisizioni liturgiche, teologiche… Ma Riforma, come tutti i buoni libri di storia, non è soltanto questo. Non si limita infatti a raccontare le vicende di un passato remoto e distante da noi. Dietro questo scontro fra diverse “ortodossie” si possono cogliere i rischi e il dramma di un’epoca dilaniata dagli integralismi religiosi. Non sarà forse un caso allora che il libro sia stato pubblicato soltanto due anni dopo l’11 settembre! Né sarà per caso che molte delle questioni che animano il dibattito contemporaneo sui cosiddetti “temi etici” trovino la loro origine nei modi di concepire la vita e la morte, il sesso e il suo rapporto con la religione, così come il rapporto della religione con la politica, elaborati proprio nei due secoli che MacCulloch affronta. L’esito sarà una “divisione” (cui si fa riferimento nel sottotitolo), una vera e propria spartizione, anzi, di quella eredità classica e medievale europea che fino a quel momento si era mantenuta sostanzialmente unitaria.
La bellezza e la bruttezza non sono mai state, nel corso dei secoli, un valore assoluto e atemporale: entrambe hanno assunto forme diverse: armoniche o dionisiache, associate alla mostruosità nel Medioevo e all'armonia delle sfere celesti nel Rinascimento; hanno assunto le forme del "non so che" nel periodo romantico per poi farsi artificio, scherzo, citazione in tutto il Novecento. Partendo da questo presupposto, Umberto Eco ha curato un percorso che non è una semplice storia dell'arte, né una storia dell'estetica, ma si avvale della storia dell'arte e della storia dell'estetica per ripercorrere la storia di un'intera cultura dal punto di vista iconografico e letterario-filosofico. Questa edizione riunisce in un cofanetto i due volumi "Storia della bellezza" (giunto alla sesta edizione) e "Storia della bruttezza".
Nel medioevo cristiano tutto è simbolo e tra i simboli della natura gli animali sono certamente i più affascinanti e misteriosi. È impensabile avvicendarsi nei meandri della cultura medievale senza conoscerne la zoologia sacra. E il genere letterario che la illustra è quello dei bestiari, raccolte di descrizioni zoologiche (spesso fantastiche) seguite da interpretazioni allegoriche o morali. Solo negli ultimi decenni questi testi sono diventati oggetto di ricerche, di edizioni e di traduzioni. Il presente volume presenta - con i testi originali a fronte - una trentina di bestiari, praticamente l'integralità delle opere che appartengono a questa tradizione, a cominciare dall'archetipo del genere, il «Fisiologo greco». In diversi casi si tratta di nuove edizioni o di testi mai tradotti prima in italiano.
E' la prima opera in grado di offrire, in un quadro esaustivo e completo, un esame della documentazione e della figura del dio coccodrillo Sobek di Shedet durante l'epoca dinastica. Strettamente legato al destino dela sua città, Shedet, e della sua regione, Fayyum, il dio fu senza dubbio una delle divinità più interessanti e popolari del pantheon egiziano.
Con questo secondo volume continua e si conclude il "Dizionario del fascismo", cui hanno collaborato 180 studiosi (per un terzo stranieri), fra cui lo storico francese Pierre Milza, autore della voce su Mussolini, Enzo Collotti, Nicola Tranfaglia, Angelo d'Orsi, ma anche critici della letteratura e dell'arte, sociologi, antropologi e giuristi. Il volume si apre con la voce Labriola Teresa e si chiude con la Z di "zona grigia", con cui gli storici hanno definito quella maggioranza degli italiani che, alla fine della guerra, sono passati dal regime fascista alla repubblica in modo passivo.
"'L'Italia del Novecento' è la descrizione dell'Italia e degli italiani attraverso lo sguardo delle istituzioni e dei partiti, quello dei fotografi professionisti o delle agenzie e quello stesso degli italiani che si sono autorappresentati attraverso la fotografia di famiglia. Dall'incrocio di questi sguardi emerge una storia italiana in cui la complementarità tra locale, regionale e nazionale rappresenta la soluzione adottata, autonomamente dal basso, per sopperire alle carenze dell'"artificialismo" statuale; queste identità locali sono infatti sopravvissute con spontanea vitalità, non ponendosi in alternativa alo Stato unitario ma semmai sottolineando i limiti nella capacità di attivare un efficace processo di integrazione." (G. De Luna)