
24 marzo del 1944, Seconda guerra mondiale, in un paesino della Polonia, Markowa, viene uccisa una intera famiglia: padre, madre, sei bambini e un piccolo ancora nel grembo della mamma. Nove persone soppresse in pochi minuti, "colpevoli", secondo i nazisti tedeschi, di avere dato ospitalità a otto ebrei, che vengono massacrati con loro. È la storia della famiglia Ulma, giusti tra le nazioni e beati per la Chiesa. Sono stati riconosciuti tutti "martiri", compresi i bambini e - per la prima volta nella storia - anche il nascituro. Un gesto, il loro, compiuto per amore, come quello del Buon Samaritano del Vangelo.
L'aggressione della Russia in Ucraina sembra aver dato vita a una nuova stagione di violenza contagiosa. In realtà, come l'autore dimostra con dovizia di dettagli, la situazione in cui ci troviamo non è "nuova" sia perché preceduta fin dagli anni Novanta - dopo la fine della Guerra fredda tra Est e Ovest - da una costellazione di conflitti e di prepotenze "locali", sia perché molti antichi nodi mondiali di potere e di politica attendevano di arrivare al pettine. Questo libro mostra la reale portata di ciò che sta avvenendo in questi anni e il ruolo che l'Occidente, l'Europa e l'Italia sono chiamati a ricoprirvi, perché non accada di peggio.
Margherita di Savoia, una donna che ha lasciato una traccia nella nostra storia: si pensi al termine Margheritismo coniato per definire il movimento culturale-sociale-artistico fiorito attorno alla sua corte o alla prima rivista di moda che si chiamò "Margherita" in suo onore. Regolo, già autore di due biografie su Elena e Maria José, le altre due regine d’Italia, conclude così un ciclo, portando a galla scritti e testimonianze su Margherita che, come scrive la principessa Maria Gabriella di Savoia nell'introduzione, persino tra i discendenti erano sconosciute. Dal rapporto difficile col patrigno, Rapallo, che sposò segretamente la madre Elisabetta di Sassonia, alle nozze combinate con il cugino Umberto I, col quale costruì un'alleanza "professionale" ma mai un rapporto coniugale. Anche col figlio Vittorio Emanuele Margherita alterna slanci e ansie materne a rigore e freddezza estremi dovuti anche al senso di colpa che le provocava l’aspetto dell’erede, di poco superiore al metro e mezzo d’altezza. Lettere inedite ricostruiscono il rapporto con il barone Peccoz, forse l'unico suo vero amore, seppure Margherita non sacrificò mai a esso il "culto" per la missione dinastica. Fu artefice instancabile di disgelo tra i Savoia e la Chiesa dopo la Presa di Porta Pia, ma anche cultrice del latino, musa di poeti come Carducci, referente privilegiata di altri reali, non ultimo il consuocero Nicola del Montenegro che se ne invaghì, capace di ammaliare persino Garibaldi. Le ricevute degli acquisti svelano una smania compulsiva per lo shopping, ma anche il suo perfezionismo, dai dettagli per i costumi carnevaleschi alle lezioni di mandolino. Col suocero, "padre della Patria", ebbe un rapporto complesso e si adirò quando per liquidare le madri dei suoi figli illegittimi il ministro della Real Casa tagliò l’appannaggio anche a lei e al marito, come provano documenti finora inediti dell'Archivio centrale dello Stato. Con le sue contraddizioni Margherita, che fu tra le prime donne a guidare l’auto e ad abbracciare la causa dell'emancipazione femminile, nonostante il reazionarismo politico era entrata nel cuore degli italiani e fu salutata da ali di folla piangente lungo i binari del treno che da Bordighera, dove morì nel 1926, la portò a Roma, dove tuttora, al Pantheon, riposa.
Dagli anni del Terrore staliniano, un'epoca della quale restano pochissimi documenti privati, ci arrivano oggi queste lettere rimaste nascoste per decenni negli archivi sovietici. Sono le voci di alcune vittime che cercavano di sfuggire all'arresto, o si riconoscevano colpevoli, o chiedevano pietà (più raramente giustizia) per sé, i propri cari, il proprio paese. Erano scrittori, intellettuali, militari, diplomatici, dirigenti politici caduti in disgrazia. Si rivolgevano all'unica persona che sarebbe potuta intervenire in loro favore, la stessa, peraltro, cui dovevano la loro condanna: Stalin. Tranne in un caso, non li salvò dal boia nessuna di queste lettere, che restituiscono una visione tremenda della società sovietica negli anni dello sterminio di massa.
L'affermazione della soggettività e della libertà delle donne, i cambiamenti nelle relazioni tra i generi rappresentano uno dei grandi temi della storia contemporanea. La scena si apre a Londra, nel 1899, sul congresso dell'International Council of Women e si chiude sul passaggio al XXI secolo con uno sguardo alla molteplicità dei femminismi, alle differenze e alla pluralità delle storie. Tra Ottocento e Novecento, le donne diedero vita ad associazioni, movimenti, reti internazionali che elaborarono una specifica cultura politica, misurandosi con i processi di modernizzazione delle società occidentali, con le guerre mondiali e con le trasformazioni sociali ed economiche dell'ultima parte del secolo. L'opera offre un articolato percorso di lettura in cui la narrazione storica si accompagna a un'ampia raccolta di documenti (manifesti politici, brani di saggi, testimonianze letterarie), espressione delle idee, delle teorie ma anche dei sentimenti e delle inquietudini che attraversarono le vite femminili durante il XX secolo.
"Siamo nani sulle spalle di giganti", mi è venuto da ripetere con Bernardo di Chartres, rileggendo quei miei elzeviri-incontri con protagonisti nella vita politica e religiosa, sociale e culturale di tre continenti nell'ultimo secolo (oggi tutti ormai scomparsi eccetto Giovanni Paolo II). La mia piccolezza contribuisce, mi pare, a far grandeggiare - anche nell'episodio e nell'aneddoto - la loro importanza nella e per la vita del Novecento. Una vita alla quale io ho partecipato molto modestamente (come ricordano le ultime pagine), operando lungo settant'anni, nella ricerca di verità e di libertà: una ricerca che quei maestri e protagonisti avevano posto generosamente come fine ideale della loro vita e della loro azione. (Vittore Branca)

