
L’eroico ingresso a Fiume del poeta guerriero D’Annunzio è stato usato come mito fondativo dei Fasci di combattimento, eppure molti dei legionari che parteciparono all’impresa non aderirono mai al fascismo. Questo è uno dei trenta episodi di manipolazione della storia che Paolo Mieli smaschera invitando il lettore a diffidare di fonti inattendibili e versioni adulterate. In alcuni casi si tratta di falsi d’autore, come il diario di Galeazzo Ciano corretto ad arte dallo stesso genero del Duce. Altre volte sono invece tentativi, più o meno consapevoli e strumentali, di imporre slittamenti interpretativi e di senso a pagine salienti del nostro passato. Troppo di frequente si riscontra invece un uso politico della – presunta – verità raggiunta.Ecco il filo rosso che collega i saggi qui raccolti: le verità nascoste sono quelle – indicibili, negate e capovolte – che Mieli indaga con il rigore dello storico e l’acume dell’osservatore vigile e inflessibile. Un’analisi che dall’Italia del Novecento, con le sue più ingombranti e fondamentali figure (Mussolini, De Gasperi, Togliatti), attraversa alcuni temi ancora oggi di grande attualità come l’antisemitismo e il populismo. Fino a gettare nuova luce su personaggi dello scenario internazionale quali Churchill, Stalin, Mao e su passaggi poco conosciuti o spesso misconosciuti della storia antica e moderna, dalla rivolta di Spartaco alla “congiura” di Tommaso Campanella.Un tracciato, quello indicato in Le verità nascoste, che suggerisce, nelle parole del suo autore, che “in campo storico le verità definitive, al di là di quelle fattuali e comprovate (ma talvolta neanche quelle), non esistano”.
Balzac scriveva che "i ricordi rendono la vita più bella, dimenticare la rende più sopportabile"; Borges nel racconto La biblioteca di Babele lascia che i suoi personaggi individuino nell'oblio "una forma di memoria"; già Dante alla fine del Purgatorio vuole che il fiume Lete permetta alle anime dirette al Paradiso di lavarsi dei propri peccati, rimuovendo così la memoria delle cose cattive del passato. La letteratura ha sfiorato o trattato con cura il tema dell'oblio, e oggi è necessaria una somministrazione sapiente di dimenticanza anche in ambito storico e politico. Per mettere in luce i danni da "eccesso di memoria", Paolo Mieli, con la chiarezza del grande divulgatore e l'accuratezza dello storico, prende in esame decine di eventi ed episodi del nostro passato, dalla storia antica al Medioevo fino ai nostri giorni: dal ruolo - mal compreso e peggio ricordato - di Caracalla imperatore di Roma a Carlo Magno, da Bisanzio "oscurata" da Costantinopoli alla Napoli rivoluzionaria di fine Settecento. Tra amnesie sospette e memorie riluttanti, queste pagine restituiscono peso anche a temi a noi più cari e vicini, quasi quotidiani, come le origini della mafia, l'eredità del fascismo italiano e del nazismo tedesco, indagando il non detto che segna il racconto della Resistenza e spingendosi a commentare il discorso pubblico del nostro presente, tra virus, pandemie, ipotesi cospirazioniste. Una terapia, quella a base di oblio, che Mieli identifica come necessaria, dato che "gli storici avrebbero dovuto far argine in qualche modo al dilagare della memoria". Perché "quando si hanno idee forti sul presente, è pressoché inevitabile che quelle idee si impongano sulle interpretazioni del passato." Eppure, dobbiamo fare di tutto per evitarlo.
Al giorno d'oggi anche la storia e la politica avrebbero bisogno di una somministrazione di sana dimenticanza. Per mettere in luce i danni che derivano da un'interpretazione del passato troppo legata a idee preconcette, Paolo Mieli, con la chiarezza del grande divulgatore e l'accuratezza dello storico, analizza decine di eventi ed episodi del nostro passato, dalla storia antica fino a temi moderni come le origini della mafia, l'eredità del fascismo italiano e del nazismo tedesco, il non detto che segna il racconto della Resistenza e il discorso pubblico del nostro presente, tra virus, pandemie, ipotesi cospirazioniste. Secondo Mieli, infatti, la terapia a base di oblio è necessaria, dato che "gli storici avrebbero dovuto far argine in qualche modo al dilagare della memoria". Perché "quando si hanno idee forti sul presente, è pressoché inevitabile che quelle idee si impongano sulle interpretazioni del passato." Eppure, dobbiamo fare di tutto per evitarlo.
Viviamo tempi di cancellature, riscritture e revisioni, di riconsiderazione degli eventi e dei fenomeni della storia che hanno portato, in anni recenti, a prese di posizione e dichiarazioni epocali: capi di governo che si scusano in nome del proprio Paese per torti od omissioni, per il ruolo svolto dai loro Stati in vicende più o meno lontane. È quindi un elemento di scottante attualità che accende la scintilla di questo libro: accostare nell'aula del «tribunale della storia» le tesi dell'accusa, le arringhe della difesa, i controinterrogatori degli imputati per acquisire nuovi elementi di conoscenza e di giudizio. Tenendo sempre presente che, come scrive Paolo Mieli, «le pubbliche scuse non equivalgono a sentenze definitive. Sono prese d'atto di una modificata percezione delle vicende del passato. Altre ne verranno». Così, da Fidel Castro a Mussolini, passando per Vittorio Emanuele III, Filippo V e perfino Gesù di Nazareth, Mieli riesce, con la brillantezza del grande divulgatore e l'acume dell'attento osservatore dei nostri giorni, a spiegare in cosa consista l'applicazione di un metodo «giudiziario» per una rivisitazione dei fatti e delle figure della storia. «A patto che, beninteso, tale metodo sia utilizzato in modo comprovatamente onesto. In caso contrario, tutto sarà stato inutile.» Il vero processo, dunque, necessario e prezioso, è quello contro ogni tipo di falsificazione. Ed è «il risultato del lavoro del tribunale della storia, tribunale che nell'era dell'informazione diffusa è sempre riunito. In seduta permanente».
Alberto Mieli dopo settant'anni racconta per la prima volta alla nipote Ester la sua infernale esperienza da deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. "Non c'è ora del giorno o della notte in cui la mia mente non vada a ripensare alla vita nei campi, a quello che i miei occhi sono stati costretti a vedere." Ricorda la vita in una Roma nazifascista, le leggi razziali e il giorno in cui è stato portato via dalle SS, dopo il tragico 16 ottobre 1943. Rivive, ancora con le lacrime agli occhi, l'arrivo nei campi, l'odore acre dei corpi che bruciavano nei forni crematori in funzione tutti i giorni. Parla del lavoro giornaliero e stremante, dei corpi senza vita ammassati gli uni sugli altri, della stanchezza e della fame continua e cieca che pativa, fame che ha portato alla pazzia e poi alla morte migliaia di deportati. Fame di cibo, di vita, di libertà. "Ad Auschwitz ho visto l'apice della cattiveria umana." Con queste parole Alberto Mieli racconta, con dolore, aneddoti e luoghi, parla delle torture subite. Ridisegna volti di gente incontrata e poi persa, spiega come sia riuscito a convivere tutta una vita con questa doppia cicatrice: una alla gamba, causata da una granata lanciata dagli Alleati esplosagli troppo vicino e che a volte ancora sanguina, e una più grande nel cuore.
Che cos'è la coscienza storica? È la capacità di risalire il corso della storia alla ricerca di quel retroterra di memoria in cui il nostro presente è radicato e che consente di orientare e progettare il futuro individuale e collettivo. È storia che si fa "coscienza" nelle grandi narrazioni collettive e nutre le azioni e le lotte dei movimenti politici della modernità. La coscienza storica spezza il cerchio dell'eterno presente in cui tendiamo a rinchiuderci e dà prospettiva e senso alla nostra esistenza. «Quando, come accade nel nostro tempo, si trascura la propria provenienza mediante la rimozione della memoria, e l'avvenire diviene uno specchio opaco che non lascia intravedere alcuna direzione significante, allora si smarriscono i legami che connettono il passato con il presente e il futuro, così che svanisce la possibilità non solo di comprendere la storia, ma soprattutto di "fare" la storia, di assumersi la responsabilità di agire in essa, proponendosi obiettivi da realizzare e prospettive di senso da costruire. [...] Questo è uno di quei libri che, come diceva Italo Calvino a proposito dei classici, non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire». (Elena Bein Ricco)
La guerra tra l'Italia e l'Impero Ottomano per il possesso della Tripolitania e della Cirenaica è stata un evento di particolare importanza sia per la politica interna italiana, sia per l'equilibrio internazionale europeo di quegli anni. Questo libro, a cento anni di distanza dagli avvenimenti, affronta il conflitto italo-ottomano con un approccio multidisciplinare, analizzando l'impatto che la guerra ebbe sul quadro internazionale europeo, sul sistema politico e sulla cultura italiana e, non ultimo, sulle strategie militari adottate. In tal modo, il volume si arricchisce della partecipazione di autori con sensibilità e approcci storiografici diversi, inserendosi nello sforzo di parte della storiografia italiana di recuperare, criticamente, su piani intersecantisi, la memoria storica dell'impegno coloniale italiano.
L'oggetto di interesse di queste pagine è la posizione della Chiesa cattolica, e del papato in particolare, nei confronti della questione ebraica e dell'antisemitismo quali si manifestarono nel corso dell'Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Se decisivo è l'atteggiamento - e le omissioni - di Pio XII di fronte alla violenza della persecuzione antiebraica scatenata dai nazisti e alla Shoah, all'indagine di questa figura lo sguardo dello storico non si può ridurre. Ben più ampio è il movimento della storia che comprende i fatti, le persone, ma anche la complessità di quegli anni e le preoccupazioni dominanti in Vaticano. L'intento del volume è recuperare lo spessore storico del problema, dove antisemitismo e cattolicesimo non sono definizioni a posteriori cui ricondurre gli individui, ma volti di un intricato contesto storico-culturale di portata assai vasta quanto al suo interno differenziata. Una prospettiva, critica, che rende questi saggi (composti fra il 1989 e il 2008) storiograficamente attuali per la loro impostazione: un paradigma divenuto ormai classico, dove le differenze aiutano a comprendere l'insieme dei processi e il contesto generale a rileggere i singoli eventi.
Il volume non è né vuole essere una storia degli anni santi. Si propone piuttosto di cercare di capire come si colloca, in una tradizione secolare e all'interno delle "novità" introdotte attualmente nella pratica del ministero papale, l'indizione giubilare di Francesco: la scelta di uno strumento collaudato e tradizionale come atto di un pontefice per tanti aspetti non tradizionale. I caratteri dell'Anno Santo infatti, quali si articolano nei settecento e più anni della sua esistenza, sono fortemente marcati, in una sorta di unità ripetitiva, anche se non priva di variazioni marginali e di differenze. A questi aspetti è dedicata la prima parte del lavoro (dal primo Anno Santo, indetto da Bonifacio VIII nel 1300, fino a quello del 2000 proclamato da Giovanni Paolo II), come premessi necessaria per un confronto con i caratteri e le prospettive dell'anno giubilare voluto da papa Francesco, oggetto della seconda parte del volume.
La ricorrenza del 150° Anniversario dell'Unità di'Italia, proclamato il 17 marzo 1861, ha offerto l'occasione a due istituzioni culturali e educative come l'Accademia "Marsilio Ficino" e l'Istituto paritario "Marsilio Ficino" (Figline Valdarno) di riaprire il dibattito storico sulla questione risorgimentale. Ripensare il passato della nostra nazione, dunque, alla luce del presente per trasmettere alle giovani generazioni l'amore e l'interesse per la storia.
Nel libro Thierry Meyssan insieme ad altri giornalisti ed esperti rifiuta la tesi ufficiale secondo la quale un Boeing 757 si è schiantato sul Pentagono l'11 settembre 2001. Secondo Meyssan un missile e non un aereo avrebbe colpito l'edificio. Pentagate è un'opera tecnica e argomentata nella quale si cerca di dimostrare con efficacia questa ipotesi attingendo a documenti ufficiali e appoggiandosi all'opinione di esperti per sottolineare non solo le incoerenze della versione ufficiale dell'esercito americano ma l'impossibilità tecnica di uno schianto dell'aereo sull'edificio.

