
"Non era forse un po' troppo azzardato pretendere di delineare in pochi capitoli le origini del pensiero greco, ossia di abbozzare il quadro delle mutazioni intellettuali che si producono tra il Dodicesimo secolo prima della nostra era, quando crollano i reami micenei, e il Quinto secolo, il momento in cui si colloca il fiorire di una città come Atene? Settecento anni da sorvolare, la massima parte dei quali, dal Dodicesimo all'Ottavo secolo, rappresentata dal periodo battezzato dagli storici dell'antichità come "secoli oscuri" giacchè, scomparsa in quell'epoca la pratica della scrittura, non disponiamo per conoscerla di nessuna fonte grafica, di nessun testo. Su un'estensione temporale di questo genere non era dunque possibile procedere come uno storico o un archeologo che mobilitano per la loro indagine tutte le risorse della loro disciplina. Nella forma di un semplice saggio, la cui ambizione non era chiudere il dibattito con una ricerca esaustiva ma rilanciarlo orientando la riflessione su una nuova strada, ho così tentato di ridisegnare le grandi linee di un'evoluzione che, dalla monarchia micenea alla città democratica, ha segnato il declino del mito e l'avvento dei saperi razionali. Di questa rivoluzione intellettuale ho proposto un'interpretazione globale che mi sembrava, nella sua coerenza, conforme ai principali dati di fatto di cui disponiamo. Qual è, mi sono dunque chiesto, l'origine del pensiero razionale in Occidente?" (Jean-Pierre Vernant)
A partire dalle opere di Omero, Esiodo, Erodoto, Callimaco, il libro rintraccia nella cultura greca la costante di un'opposizione tra Altro e Identico, civiltà e selvatichezza, ideale apollineo e frenesia dionisiaca. Una eterna oscillazione a cui presiedono tre divinità: Dioniso, Artemide e Medusa. Dioniso, dio del teatro, porta nel quotidiano l'ebbrezza e il delirio; Artemide, dea della caccia e delle zone di confine tra umano e ferino, tra adolescenza ed età adulta, assolve una funzione di mediatrice nella sua veste di dea dell'ospitalità. Medusa infine, con la sua maschera orrida e grottesca, è figura del disordine cosmico, dell'indicibile. Un classico degli studi sulla mitologia greca, che viene qui introdotto dalle belle pagine di Silvia Romani.
Jean-Pierre Vernant e altri studiosi come Marcel Detienne e Pierre Vidal-Naquet, oltre a delineare una panoramica delle istituzioni militari e a elaborare il ritratto psicologico del combattente, definiscono qui il ruolo, lo statuto sociale e il significato stesso della guerra nella civiltà greca.
Il mondo miceneo, il sistema classico e l’epoca ellenistica costituiscono i tre momenti in cui si articola il nuovo volto della guerra. Nel mondo miceneo, essa sembra costituire una funzione specializzata. Con la polis classica, la guerra diventa “politica” e l’attività guerriera si confonde con la vita in comune del gruppo. In epoca ellenistica, la guerra si separa dalla politica, per assumere la forma di un’attività professionale al servizio dei sovrani.
Per un greco dell'antichità, cosa significa essere se stesso di fronte agli altri? Perché negli occhi dell'essere amato è la propria immagine che l'amante vede riflessa in uno specchio? Come è possibile scoprire la propria identità senza perdersi nel desiderio dell'altro? E come mai si ritrova lo stesso corpo a corpo nella guerra come nel sesso? Vernant conduce il lettore tra i duelli sotto le mura di Troia, con Ulisse sedotto da Calipso, tra i giovani spartiati educati a frustrate e fra perplessi ateniesi che cominciano a gustare il gusto proibito della filosofia. Sospeso tra le Parche e la gloria dell'eroe, tra Eros e annientamento, l'uomo greco scopre le premesse dell'individualismo moderno.
La vita breve, l'ideale eroico, la bella morte: sono questi temi a creare una rete invisibile di corrispondenze tra la lettura dell'epopea omerica e l'azione nella Resistenza militare francese in questo libro di Jean-Pierre Vernant, illustre grecista. Attraverso il racconto della sua vita di militante negli anni neri della Francia di Vichy, assistiamo a passaggi continui tra domini opposti: passato e presente, mito e ragione, mondo arcaico e politica. Si tratta ogni volta di varcare le frontiere, non per cancellarle ma per mostrare più chiaramente i tratti caratteristici di ciò che separano.
Requisitoria appassionata, il "libro dell'orrore" costruito da Pietro Verri raccoglie le testimonianze documentarie del processo agli untori del 1630, uno dei casi più crudeli della storia del diritto, lo stesso poi ripreso nella "Storia della colonna infame" di Manzoni. In appendice, l'Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763) e le sezioni tratte dal testo di Beccaria e da "Su l'abolizione della tortura" di Joseph von Sonnenfels (1775) attestano la centralità del dibattito sulla tortura nell'Europa dei Lumi.
Il modernismo italiano è stato oggetto di molti studi, ma l'interesse per quel movimento che ha rappresentato, forse, la piú profonda crisi del cattolicesimo contemporaneo non si è mai sopito. L'apertura stabilita nel 1998 degli archivi della Congregazione per la dottrina della fede, il nuovo nome assunto nel 1965 dall'antica Congregazione del Sant'Offizio, è stata di grande importanza per gli studi e ha permesso a Guido Verucci di indagare l'aspetto rimasto forse piú in ombra della storia del modernismo: la sua repressione da parte della Chiesa, perseguita con attenzione e rigore lungo almeno quattro papati e ben piú di un trentennio.
Il deliberato tentativo da parte dell'istituzione ecclesiastica di opporsi alla marea montante delle nuove idee, storiche e scientifiche, si tradusse nel controllo e nella censura di centinaia di sacerdoti e intellettuali cattolici, uno sforzo repressivo in cui non mancarono eccessi e ingiustizie, ma che non fece che rimandare quella resa dei conti con la contemporaneità che contrassegna la storia novecentesca della Chiesa cattolica.
L'Italia e la Francia sono stati i paesi in cui maggiore fu la diffusione del modernismo. Ma forse l'Italia è stato quello in cui lo scontro fu piú aspro. Un grande scontro fra la Chiesa, i papi, il Sant'Offizio da una parte, e qualche migliaio forse di sacerdoti e di laici dall'altra.
Uno scontro impari, perché davanti a una Chiesa enormemente rafforzatasi nel corso dell'Ottocento, dotata di una naturale, sostanziale compattezza, non vi era un compatto movimento modernista, un intento comune di complessiva riforma religiosa, ma essenzialmente, e soltanto, vari e diversi tentativi, alcuni piú moderati, altri piú radicali, di proporre e di realizzare un cristianesimo e un cattolicesimo che tenessero conto di quelli che apparivano a molti i risultati della scienza storica moderna. Uno scontro impari anche per la capacità di ricatto dell'istituzione ecclesiastica, sia sul piano dottrinale e religioso, con avvertimenti, minacce, dimissionamenti, sia sul piano economico, con il controllo della congrua.
Ma, come scriveva Giorgio Levi Della Vida a proposito del modernismo, «se la condanna spietata del 1907 lo abbia distrutto per sempre, oppure, come il seme dell'inno di Prudenzio, sia morto e sia stato sepolto per rinascere, è, ovviamente, un'altra storia».

